martedì 3 maggio 2022

Van der Graaf Generator in concerto-Genova, Teatro Politeama, 2 maggio 2022

 

Le immagini del concerto, così come i video, sono forniti da Marco Gozzi


Parlare di musica è come ballare di architettura”, diceva il saggio!


Il racconto degli eventi a cui partecipo fa parte della mia concezione di  performance totale, e questo accade da molti anni, indipendentemente dalla “grandezza” di chi ho davanti… il mio modo di operare tende al democratico…

Del commento fanno parte elementi oggettivi (video, immagini, set list ecc.) a cui si aggiunge un pensiero personale che unisce qualche competenza alla somma di emozioni sollecitate dalla musica. Certo è che la storia pregressa può pesare notevolmente.

Come spesso vado dicendo, un concerto può nascere nella testa mesi prima, con un’ansia positiva che si incrementa mano a mano che l’appuntamento si avvicina, sino ad arrivare alla “festa” finale, con l’eccitazione che prosegue per svariati giorni.

Quello che proverò a descrivere a seguire sfugge da ogni possibile regola, a causa del mio totale coinvolgimento legato ad un elemento storico che ha fatto sì che l’asticella delle mie aspettative si alzasse a dismisura, cosa poco razionale ma credo comprensibile e provo a spiegare il perché.

Partiamo dal titolone: concerto dei Van der Graaf Generator, Teatro Politeama di Genova, 2 maggio 2022.

Quando un paio di anni fa si presentò l’occasione di rivedere i VdGG non ci pensai su due volte e prenotai il biglietto che indirizzava alla data del 5 aprile 2020. Cosa è accaduto da quel momento è roba nota, e la possibilità di perdere per sempre l’occasione si è trasformata col passare dei mesi in quasi certezza.

E quando meno te lo aspetti spunta una nuova data, proprio nel mese di maggio, proprio nel 2022… sembrava che qualcosa stesse spingendo per arrivare alla celebrazione di quell’anniversario che in ogni caso avrei ricordato, il mezzo secolo esatto dal mio primo concerto (era il 30 maggio del 1972) quando, nello splendore dei miei sedici anni, vidi proprio i VdGG, sempre a Genova, seppur in differente location (Teatro Alcione).

Ricordo molto dell’atmosfera di quel giorno, a partire dalla modalità - furbesca e un po' ingannevole - che mi portò a convincere mia madre a darmi le 2000 lire necessarie per biglietto e treno (Savona-Genova-Savona); e poi il viaggio, l’attesa, la biglietteria, i profumi, la compagnia (molti di quegli ex ragazzi li ho ritrovati anche in questa occasione) … tutto in funzione di quel magico e indimenticabile pomeriggio.

L’immagine musicale più concreta riguarda l’inizio, un Peter Hammill solo sul palco che arpeggia la sua chitarra acustica e propone “Lemmings”, l’unico brano di quel giorno che ho ritrovato in questa occasione, seppur trasformato.

VdGG-Teatro Alcione-30 maggio 1972 (fotografia fornita da
 Oliviero Lacagnina)

Parto dalla fine e, per una volta, raccolgo anche il parere dei tanti appassionati/esperti da cui ho captato i giudizi.

Tutti entusiasti, tutti molto caldi e partecipativi e tutti concordi sulla bellezza estetica della performance. Certo… dopo tanto digiuno… tanta manna!

Ma a me non è bastato, chiedevo troppo nell’occasione, chiaramente l’impossibile, perché il mio inconscio suggeriva un replay del passato, un ritorno alla gioventù e alla spensieratezza, un’altra vita da vivere!

Tutto questo, con la musica, c’entra davvero poco, me ne rendo conto, ma esistono stati d’animo che non si possono soffocare.

Provo invece a fornire qualche indicazione mirata, più professionale.

A differenza di molti altri gruppi coevi, riunitisi again nel nuovo millennio, i VdGG possono contare sui ¾ della formazione di inizio seventies (quella che vidi tre volte in quegli anni), il che non è banale dal momento che è ormai routine spendere il nome di una band conosciuta costituita da un solo membro originario contorniato da sconosciuti, seppur bravi.

Tutto ciò dovrebbe essere garanzia di continuità.

In questo caso è presente il driver Peter Hammill, il genio, il frontman, il compositore, l’uomo dalla voce unica, per tonalità ed estensione. Nell’occasione è apparso in gran forma, anche se i bene informati riportano dell’esistenza di un ampio set (40 brani) dal quale Hammill pesca, di sera in sera, a seconda dello stato di forma della sua voce.


La sua conoscenza di un po' di italiano è risultata alla fine un mezzo efficacie per stabilire un ulteriore contatto con l’audience.

Hugh Banton è un musicista molto preparato, con precise conoscenze di elettronica applicata alla tradizione tastieristica; inoltre, spetta a lui il compito di compensare la mancanza del basso.

Anche Guy Evans è un maestro delle applicazioni alle sue percussioni, e possiede qualcosa che molti, di lui più titolati, non hanno, ovvero un drumming caratterizzante, riconoscibile in mezzo ad altri cento.

Questa line up si è dimostrata garante della qualità dell’evento e alla fine questi tre signori, la cui età si aggira mediamente sui settantacinque anni, hanno regalato lo spettacolo che tutti si aspettavano: le atmosfere dark, le vocalizzazioni estreme, le trame sonore complicatissime, la sollecitazione della memoria… tutto secondo copione, tutto fatto molto bene.

Ma io, ad ogni passaggio, sentivo la mancanza di uno dei muri portanti, di un pilastro, di una tessera del mosaico che, pur essendo a portata di mano, non si potrà mai più usare. Mi riferisco ovviamente a David Jackson, ma non necessariamente a lui, giacché di bravi sassofonisti è pieno il mondo, e sostituire le parti di fiati con un surrogato non significa peggiorare il pregresso, semplicemente fare una cosa diversa, e in tal senso non potrei muovere nessuna critica, anche se in questo caso preferisco la tradizione.

La set lista scelta per la serata è risultata abbastanza varia se si fa riferimento alla disposizione temporale. Vediamola con qualche nota che ci permette di avere un po' di statistica e il periodo di riferimento, con un grazie per l’aiuto a Mauro Costa:


Interference Patterns-dall’album “Trisector”, del 2008

Every Bloody Emperor- dall’album “Present”, del 2005

(In The) Black Room-dall’album “Chameleon in the Shadow of the Night” il secondo album solista di Peter Hammill, del 1973

Lemmings-dall’album “Pawn Hearts”, del 1971

Lifetime-dall’album “Trisector”, del 2008

Alfa Berlina - dall’album “Do Not Disturb”, del 2016

Childlike Faith in Childhood's-dall’album “End-Still Life”, del 1976

Your Time Starts Now-dall’album “A Grounding in Numbers”, del 2011

Room 1210- dall’album “Do Not Disturb”, del 2016

Scorched Earth-dall’album “Godbluff”, del1975 

BIS

Still Life-dall’album “Still Life”, del 1976

 

Per completare l’informazione aggiungo il video di un paio di brani (i primi due), concessi gentilmente, assieme a qualche immagine, da Marco Gozzi.

Alla fine, tutto bene, vedo il sorriso sul volto dei più giovani - pochissimi - e la soddisfazione che non può nascondersi tra le facce più collaudate… probabilmente sono l’unico che si aspettava di più, e l’essere in minoranza mi porta a dire che devo ancora riflettere su ciò che mi è appena passato tra le mani e provare a metabolizzarlo.

In fondo lo scopo della musica è quello di regalare benessere, spirituale e fisico, e usando questo termometro posso dire di essere stato molto meglio in altre occasioni, non necessariamente il 30 maggio del 1972!

Certo che a Peter Hammill qualcuno poteva ricordarglielo che quello non era, nemmeno per lui, un concerto qualsiasi!