Nathan-“Uomini di Sabbia”
AMS Records
È stato pubblicato a fine febbraio il
terzo album dei Nathan, prog band
savonese.
Il titolo è “Uomini di Sabbia”, realizzato ancora con AMS
Records.
Il progetto ruota da sempre attorno
al duo autorale formato da Bruno Lugaro (voce) e Piergiorgio Abba
(tastiere), ed è proprio con quest’ultimo che ho chiacchierato a lungo, per
cercare di entrare nel dettaglio delle composizioni, soprattutto la parte
prettamente musicale, giacché i testi restano il pane quotidiano di Lugaro.
L’intervista, oltre a soddisfare le mie curiosità sparse, si sofferma sulle singole tracce, facendo emergere ciò solo gli autori possono spiegare nel particolare:
https://athosenrile.blogspot.com/2022/02/esce-oggi-uomini-di-sabbia-terzo-album.html
Tre album in cinque anni sono la
testimonianza di una grande prolificità e abbondanza di idee, certo è che le
costrizioni legate all’emergenza sanitaria hanno favorito l’impegno creativo, a
cui si è aggiunto l’incremento dell’utilizzo della tecnologia disponibile,
quello che permette di coinvolgere musicisti terzi, e in questo caso ne
troviamo alcuni “nuovi”.
Parto perciò con l’evidenziare l’oggettività e quindi la lista degli artisti coinvolti:
Bruno Lugaro-voce solista e seconde
voci
Piergiorgio Abba-tastiere e chitarra
acustica
Giulio Smeragliuolo-chitarre
Luca Grosso-batteria
Fabio Zunino-basso
Dino Cerruti-basso
Fabio Sanfilippo-batteria
Mauro Brunzu-basso
Se Sanfilippo e Brunzu hanno sempre fatto parte del “circuito Nathan”, tutti gli altri rappresentano una piacevole novità.
Non è un disco concettuale ma il fil
rouge tra le varie tracce è palese, e le tematiche sociali e culturali che da
sempre guidano il percorso di Lugaro non potevano non palesarsi nelle liriche,
condizionate dalle lunghe riflessioni forzate dal periodo di inattività
pressoché totale.
Dal punto di vista musicale trovo ci sia grande continuità con i lavori precedenti, ovvero esiste ormai una “caratterizzazione Nathan”, frutto di anni di amore per il prog miscelato ad esperienze ottantiane, un tratto facilmente riconoscibile, aperto alla variante del momento, in questo caso rappresentata da una decisa durezza derivante dal DNA del chitarrista Giulio Smeragliuolo che, un po' come Daniele Ferro - presente nei primi due album -, percorre sentieri molto... metallici, ruvidi, graffianti.
Il titolo “Uomini di Sabbia” è
estrapolato dalla lirica della lunga suite finale “Egos” e nasce
dell’idea che l’uomo, sempre in movimento - come la sabbia del deserto -
presenti al contempo dinamicità positiva e fragilità/debolezza, una continua e
minuziosa costruzione di un castello di sabbia spazzato via dal vento notturno,
invalidante di quanto creato poco prima.
La splendida copertina risulterà come rappresentazione icastica del concetto racchiuso nella denominazione discografica.
Provo a passare in rassegna l’album, brano dopo brano, evidenziando che cliccando sui titoli in blu è possibile dare il via all’ascolto.
Apre il disco “Fatti non foste”,
riferimento ad un canto della Divina Commedia, quello in cui Dante colloca
Ulisse nell'ottavo cerchio dell'Inferno, colpevole per aver trascinato i
compagni di viaggio nel suo “folle” progetto di conoscenza, oltre i limiti
imposti da Dio.
Ma il senso che afferro in questo caso è positivo, legato all’idea di viaggio e di ricerca dell’ignoto, una spinta inarrestabile verso la sapienza...
Ci muoveremo in branco come lupi
questa è la nostra missione.
Oltre i confini dell'infinito,
laggiù troverò le risposte.
La conoscenza è un fiume impetuoso
che non si lascia arginare.
Oltre a Lugaro, Abba e Smeragliuolo, presenti in tutti i brani, troviamo qui la partecipazione di Grosso e Zunino.
Partenza aggressiva, con tempi
composti impossibili e un perfetto mix tra aspetti sinfonici e rock marcato, un
cantato evocativo a cui si alternano passaggi “delicati”, un perfetto esempio
di evoluzione del prog, e sottolineo la difficoltà che comporta incollare
liriche studiate nei particolari a trame sonore pregne di tempi dispari.
Coinvolgente!
A seguire “Monoliti”, che vede l’entrata in scena di Dino Cerruti, bassista dedito al jazz che ritorna ad un suo vecchio amore musicale..
Monoliti si stagliano all'orizzonte
Cerchi di pietra, misteriose civiltà
chissà cosa lasceremo noi.
Cerchi di pietra, 5000 anni fa
quanto tempo ci rimane.
Brano fortemente immaginifico, dove
aleggia il senso epico e la musica spinge all’immedesimazione, all’osservazione
della storia e dell’uomo che l’ha modellata.
Ma sono inquietanti le sonorità che, corroborate
dalla vocalità di Lugaro, realizzano un quadro che racconta il passato
attraverso la luce del presente, con una proiezione distopica verso l’ignoto.
Oltre sette minuti di tensione, che
propongono in ogni caso una sezione melodica che addolcisce l’austerità proposta
dalle tastiere di Abba.
Suggestivo e aulico!
La terza traccia si intitola “Delirio Onirico” dal cui testo estrapolo momenti significativi...
Dalle gabbie si levò
un ruggito ancestrale.
Un fulmine l'alba incendiò
e fu per molti l'ultima.
Mute espressioni del tempo,
cortei silenziosi di esuli in fuga
diretti alla valle dei re.
Servi, obbedienti al potere,
tirano a sorte le loro fortune,
cercando un riscatto se c'è.
Nell’occasione ritornano Sanfilippo e
Brunzu e le sonorità genesisiane post Gabriel vengono spezzate in due da un
assolo chitarristico virtuoso e molto rock di Smeragliuolo.
Imponente!
“Il pianto del cielo” (con Grosso e Cerruti) è il pezzo più corto - sotto ai quattro minuti - e nasce con un deciso piglio melodico e un cantato di facile presa. Ma lo scatto è dietro all’angolo e dopo un minuto e mezzo di atmosfera quasi sacrale ci si ritrova in una sorta di “The Cinema Show” (seconda parte)...
Aspettiamo il pianto del cielo
benedetto ovunque egli sia
se una goccia dopo l'altra
verserà sopra i campi.
Aspettiamo il pianto del cielo
che ci tolga questa sete.
Aspettiamo il pianto del cielo
con il vino, le danze e i canti.
Magnifico!
“Madre dei sortilegi” supera i nove minuti, e in questo lasso di tempo ritmi e umori si rincorrono. Ho sentito un acceso profumo di YES, sia quello degli esordi, ma anche tracce di primi anni ’80, con quel ritornello che mi ha riportato a “Drama”, uscito appunto nel 1980. Il decremento dei toni è il preludio ad una sferzata di rock in cui la sezione ritmica (Grosso e Zunino) ha ruolo preminente e la solista di Smeragliuolo si intreccia alle aperture sinfoniche di Abba..
Quando la notte grida,
lei si risveglia da suo torpore
esce dalla foresta, entra nella mia
stanza
Sento il suo fiato addosso
le mani gelide sul cuscino
ed io sprofondo ancora nel pozzo dei
ricordi
Madre dei sortilegi
esci da questa casa
Di te non ho paura…
Il testo si presta come sempre a
interpretazioni personalissime e, una volta catturato, può essere trasformato a
piacimento dall’ascoltatore che si lascia coinvolgere… e quando arriva la notte
si scatenano movimenti intangibili e incontrollabili, con lunghe battaglie che
terminano solo col ritorno della luce del giorno…
Pace e angoscia, sentimenti contrastanti alimentati da questo componimento!
“Nel giardino di Maria” si distacca un po' dal resto del disco, una proposizione rock più ortodossa, dove un ossessionante riff, caratterizzante di tutto il brano, viene interrotto da un frammento onirico a cui si allacciano durezza e complessità musicale. Stessa sezione ritmica del brano precedente...
Ciondolavo nel giardino di Maria
tra farfalle e tulipani blu.
Mi cullavo tra le braccia di Maria
steso sotto un cielo che non so
mi stupivo di ogni cosa intorno a me.
Ruvida, ruvida come la verità.
Ruvida, umida la notte che verrà
La lirica mi ha riportato, con un bel
salto temporale carico di fantasia, alla “White Rabbit” dei Jefferson Airplane,
e sì, perché nel titolo, “Maria” andrebbe sostituito con “marijuana”: chi entra
nel giardino perde il contatto con la realtà, finisce in un mondo che non
conosce ma si sente libero, in pace con il mondo e si fa coccolare da… Maria.
Psichedelico!
“L’acrobata” (ancora
Grosso e Zunino titolari di batteria e basso) occupa, finalmente, degna
collocazione. Scritto quattro anni fa, non aveva trovato spazio nei precedenti
due lavori, nonostante la sua bellezza.
Decisamente melodico, in bilico tra fraseggi
di pianoforte e voce evocativa, adatto ad una potenziale rotazione radiofonica…
rigorosamente di nicchia!
L’acrobata, seppur instabile sulla sua fune, osserva con distacco fisico la realtà, e la sua superiorità potenziale del momento gli consente di giudicare e valutare la bassezza dell’uomo, quella di cui anche lui è parte, una volta sceso dalla sua corda...
Vento da nord, notte di luna piena
in punta di piedi con la vita
giocherò.
La fune è una strada
sospesa sul vuoto
nel cono di luce amore mi sento un
dio.
Da quassù è più facile distinguere la
scia
dei servi di menzogne e falsità.
Illuminante!
L’album si chiude con una suite,
quella di “Egos”, quasi quindici minuti suddivisi da sottotitoli
concettuali ma con sonorità proposte senza soluzione di continuità.
Un cambio al basso con il ritorno di
Cerruti.
Vediamo di seguire le differenti
sezioni, sottolineando che l’idea iniziale nasce… molti anni fa!
Il tema è la perdita delle libertà. Egos è il nome di fantasia di una città, dove il tiranno di turno leva ogni tipo di indipendenza ai cittadini, e il luogo diventa la rappresentazione della tirannia.
Si parte con “Uomini di sabbia”: una calma iniziale descrive l’alba del racconto attraverso arpeggi di chitarra e atmosfere rarefatte, con il suono di un flauto che introduce l’immagine del dubbio e al contempo della speranza…
Egos terra amica non ti riconosco
vedo solo strade deserte.
Anime perdute vagano nel buio
cercano un'identità.
Dormono i poeti il sapere è un'eresia
false ogni libertà
Che sarà di noi, che sarà di noi
uomini di sabbia.
“Avanti signori” è
caratterizzato da un fraseggio di chitarra finale che si trasforma all’impatto
in tormentone, con un interessante timbro proposto da Smeragliulo che mi ha
ricordato l’interazione finale di “La danza dei grandi rettili”, del Banco.
Il testo è l’emblema della propaganda illusoria, spesso ammaliante per il popolo…
Fatevi avanti signori, nasce una
nuova città
avrete i posti migliori nell'alta società
“L’indovino” presenta un altro cambio di passo, una trama molto articolata che riporta alle creazioni impossibili dei Gentle Giant, con un tocco di Banco.
C’è sempre chi vede, profetizza e suggerisce la fuga, alla ricerca della verità, della libertà e della rinascita.
Vede l'indovino forze degenerate
soffocare ogni atto di libertà.
Vattene, mi dice il saggio dagli
occhi stanchi
lascia questo posto e cerca la verità
l'ultimo baluardo prima del
precipizio
l'imbalsamatore ovunque ti cercherà.
L'attimo di tensione narrativa
trova approdo nello strumentale “Tempi bui”,
sviluppato su tre “giri”, tra organo,
piano elettrico e chitarra.
Il momento di sfogo/respiro traghetta
verso “La danza dei tiranni”.
Difficile spiegare come certi passaggi musicali riescano al legarsi al testo in modo così netto, tanto da pensare alla fine che, sì, il significato sarebbe arrivato anche senza il verbo, tanto è didascalica l’atmosfera sonora…
Venne l'alba cieca del tiranno
Così all'improvviso, senza lasciare
scampo.
Ora il vostro nome è un numero,
niente di più
figli di un pensiero unico
ascolterete solo me
la democrazia è fragile, pura utopia
la memoria è un limite
solo il domani conta ormai.
Ma nulla è perduto, fidati di me
c'è una fiamma ancora accesa
e alta la terrò.
Fuori strada è un attimo, non finirò
la mia fede è solida.
E arriva il secondo strumentale della
suite, “La culla del sapere”, e si palesa ancora una volta la
complessità creativa di Abba e Lugaro, così come le enormi skills dei
collaboratori.
Non facile utilizzare le parole per descrivere il susseguirsi di situazioni, e ricordo ancora che i dettagli tecnici di ogni singola parte sono delineati da Abba e fruibili cliccando sul link di inizio articolo.
A conclusione arriva “Siamo l'aria ferma ed il vento”, il degno finale, ossessivo, spinto al massimo, quasi un’azione fisica atta ad allontanare il male attraverso il sacrificio e la forza donata dalla consapevolezza di essere nel giusto…
Egos tornerai quello che eri
libera custode del sapere.
Siamo vivi e forti, figli
dell'uragano
pronti a morire per te.
Siamo uomini di sabbia, partigiani
senza terra
visionari all'occorrenza, siamo l'aria ferma e il vento
La suite appare perfetta per la
descrizione del momento contingente che il mondo sta vivendo ma, purtroppo,
potrebbe essere traslata nel tempo e nello spazio e troverebbe sempre un’adeguata
collocazione.
Emozionante!
Album spiazzante, adatto a chi cerca
significati oltre i suoni, a chi ama certa musica del passato basata su di una struttura complessa, ma rivisitata e
tinteggiata, tanto da essere considerata una novità.
Lugaro e Abba, per mero elemento
anagrafico, hanno vissuto in diretta il prog di ritorno, quello più vicino agli
Ottanta, e la commistione tra sonorità prog dei seventies e quelle più
elettroniche degli anni a seguire sono il loro DNA distintivo.
Un plauso al parterre di musicisti che hanno collaborato - davvero superbi -, alla perizia di Alessandro Mazzitelli ed Edoardo Nocco per quanto riguarda gli aspetti tecnici e ad AMS Records che crede fortemente nel progetto Nathan.
Ancora un paio di aspetti relativi al
futuro.
Mentre è possibile ipotizzare momenti
di presentazione del progetto, appare più complicata la proposizione live, se
non come inserimento di sample all’interno di una setlist già rodata.
Altro pensiero è rivolto alla realizzazione di un formato fisico iconico, il vinile, ma per arrivare a ciò occorrerà che i Nathan accorcino il tempo dei loro album, e anche questo si avvicina ai sessanta minuti, tempo complicato per un LP!
Ma dietro all’angolo, lo so per certo, incombe un nuovo progetto discografico, e magari, questa volta, il 33 giri ci scappa!
Tracklist:
1 Fatti non foste 4:41
2 Monoliti 7:05
3 Delirio onirico 7:55
4 Il pianto del cielo 3:56
5 Madre dei sortilegi 9:19
6 Nel giardino di Maria 6:28
7 L’acrobata 5:32
8 Egos 14:54
Release
date: 25 febbraio 2022
Formato: CD papersleeve