Ho appena terminato di leggere “… Pensa
che mio zio una sera ha suonato con Jimi Hendrix! (Il rock ai tempi di facebook)”
del prolifico Glauco Cartocci e di getto provo a commentarlo, conscio che l’argomento
potrebbe portarmi fuori strada e il rischio di sostituirmi all’autore, parlando
in fin dei conti di me stesso, è probabile e reale.
Riflettendoci potrebbe essere questo
uno degli obiettivi, più o meno volontari, di chi crea: fornire l’input per arrivare
ad una reinterpretazione, un nuovo condimento degli ingredienti noti che possa disegnare
un rapporto osmotico tra scrittore e lettore, un’alimentazione nei due sensi
tipica, ad esempio, della relazione tra musicista e audience, soprattutto in
fase live. Insomma, “… tu mi dai la tua storia e io la adatto al mio
pregresso e te la rendo!”.
Ad ingarbugliare le cose il fatto che
io e Glauco ci siamo conosciuti tanti anni fa proprio in rete, tra forum ed
evoluzioni varie, e qualche dispiacere lo abbiamo pure condiviso, nel senso che non tutte le persone con cui abbiamo interagito ci hanno... soddisfatto appieno.
Ma raddrizziamo la barra e poniamo in
primis l’accento sull’obiettività, sui fatti raccontati, una sinossi estrema
che non possa scalfire la sorpresa del potenziale lettore.
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Il romanzo - definito da Cartocci anche
un po’ SAGGIO - prende la scena in un paese del centro Italia, luogo in cui
un pool di ex musicisti danno vita ad una sorta di “startup social”, il cui
primo fine non è certo quello economico, ma si basa sull’idea di collegare
diverse competenze aventi come collante la musica rock: forum, blog, TV
streaming, web serie… il concetto di “guadagno” sarà più legato ad un’autoalimentazione
dell’attività piuttosto che alla soluzione dell’equazione Impegno=Denaro e in questo senso il concetto di Startup da me usato appare inadeguato.
Ma nel loro iter costruttivo e
migliorativo dovranno fare i conti con le legioni di imbecilli a cui fa
riferimento Umberto Eco nella citazione pre-prologo, quelle che ora, sfruttando
la “libertà” donata della rete, hanno lo stesso diritto di parola di un Premio
Nobel.
Il successo - misurato - arriverà, ma
avrà un caro prezzo e quel punto nascerà spontanea la riflessione sulla qualità
della comunicazione in un mondo nuovo che regala a tutti la parola - e la
possibilità di celarsi - e con essa l’illusione che, finalmente, la piena democrazia
è realizzata!
Alla fine, saranno i sentimenti
nobili, come l’amicizia e l’amore, che forniranno la giusta proporzione ai
comportamenti di una serie di potenziali “macchiette”, un gruppo di anime come
quelle che tutti, prima o poi hanno trovato sul sentiero della vita, personaggi
intraprendenti/incoscienti sfuggiti all’anonimato reinventandosi Blogger, Team
Leader, Creatori Video, Social Media Manager.
Un classico esempio di nomofobia (attenzione alla “n” davanti!) che ha drammaticamente reso protagonista - e schiava - ogni famiglia, all’interno della quale esiste una sorta di perequazione comportamentale che fugge dall’elemento anagrafico: ormai anche la nonna dice la sua sui social, magari percepita come giovincella.
Il geniale Glauco Cartocci disegna
una storia di cui è stato ed è protagonista e lo fa con uno stile preciso,
condito di sarcasmo, intelligenza e un moto espressivo in cui il verbo appare a
tratti “popolare” e adeguato al racconto, ma l’acutezza di pensiero sconfina nella
psicologia, una perlustrazione delle anime - e un’introspezione - che si palesa
nel dare vita alle caricature dei suoi personaggi, che immagino siano l’elaborazione
di parte delle sue ultime esperienze.
Ma gli aspetti comunicativi vanno pesati
e trattati con cura, essendo il vero problema dell’umanità, tra micro-rapporti
quotidiani e grandi relazioni: “Pensa che mio zio…” ci ricorda anche che
abbiamo vissuto - e ancora stiamo vivendo - l’illusione che il nostro device
elettronico del momento abbia il potere di abbattere gli ampi spazi e i lunghi
tempi conseguenti, situazione che si scontra, il più delle volte, con l’impossibilità
di stabilire una connessione reale tra chi bazzica le mura di casa.
Alle skill e all’ipertecnicismo - vero o presunto - su cui si basano le attività in rete, raccontate da Cartocci con tratto sardonico, estrapolo la situazione che descrive aspetti caratteriali che rientrano nella sfera delle emozioni che governano Patrizio “Pat” Treves, ex cantante, ideatore del Team Creativo Sa Sam, ovvero il narratore e protagonista principe.
È pura poesia, quasi catarsi, la creazione di sculture di sabbia:
“Ero capace di passare tutta una giornata, fin dall’alba, in un tratto di spiaggia deserto, a modellare una forma complessa. Una nave, un fauno, i vagoni di un treno a carbone. Poi fotografavo il tutto, in varie ore del giorno, con la luce che cambia e dona alla figura effetti sempre cangianti. Al tramonto quell’oggetto che aveva costituito il centro della mia giornata veniva distrutto dalle onde, o semplicemente abbandonato, lasciando che il vento notturno lo facesse nuovamente tornare allo stadio iniziale, di cumuli informi.”
Metafora della bellezza, della felicità, del ricongiungimento con ciò che ci circonda, e sarà uomo fortunato colui che avrà la capacità di gestire il quotidiano, di inframmezzare le difficoltà con attimi puri, quasi aulici, avendo coscienza della brevità del momento sereno.
E cosa c’entra in tutto questo Jimi
Hendrix?
Il rock, soprattutto straniero, è
parte fondante della vita di Glauco Cartocci, uno scrittorearchitettomelomane
che recentemente è stato qualificato ironicamente come “conoscitore dei Jethro Tull prima ancora
di Ian Anderson”, tanto per fare un esempio calzante.
Ma per sapere che ci azzecca in tutto
questo il chitarrista di Seattle, beh, questo libro ve lo dovete proprio
leggere!