JULIUS PROJECT è il nome di un nuovo progetto musicale guidato da Giuseppe
"Julius" Chiriatti - musicista salentino dai trascorsi prog - e
coordinato dall'ex-JUMBO Paolo Dolfini.
Il titolo dell'album di esordio distribuito da G.T.
Music Distribution è "Cut the Tongue".
Prima di addentrarmi in un commento di un disco che, lo
anticipo, mi ha entusiasmato, riporto i dati oggettivi, quelli che estrapolo da
un ‘intervista che ho realizzato con la band e che sarà pubblicata per intero
nel prossimo MAT2020.
Sarò prolisso… volutamente prolisso!
Partiamo dalla storia raccontata e dal contenuto del concept
album, anche se il messaggio si presta a differenti varianti che dovrebbero
coinvolgere l’ascoltatore attento e sensibile, che avrà la possibilità di
elaborare la proposta interpretandola in modo personale. La traduzione in
italiano compresa nel booklet potrà facilitare l’opera di comprensione.
“Cut The Tongue” è un viaggio, difficile e a tratti doloroso,
che Boy, il protagonista, affronta per trovare il senso della propria vita e
per sconfiggere la nebbia che è calata nella sua mente. Dapprima si chiude in
sé stesso, poi, su indicazione di un amico di famiglia, si affida a un “profeta”
che gli decanta le meraviglie della ricchezza e l’importanza dell’apparenza,
fino a quando, la notte di San Silvestro, Boy non si rende conto che si tratta
solo di false illusioni. All’alba, in una dimensione onirica, ascolta la voce
di uno spirito guida che gli raccomanda di “tagliare la lingua” (“Cut the
tongue”) ai falsi profeti. Dopo varie vicissitudini, affrontando le tempeste
nel mare della vita, dove si troverà anche a naufragare, alla fine Boy troverà
il significato della sua esistenza, accettando la solitudine come virtù.
Oggettivamente un percorso e una metafora molto attuali,
probabilmente senza tempo.
Ma quando e come è nata l’idea? Cosa ha scatenato la voglia
di espressione?
L’iter creativo è antico e risale a una quarantina di anni fa…
Fra il 1978 e il 1981
Giuseppe “Julius” Chiriatti ha scritto 17 dei 18 brani che compongono “Cut The
Tongue”. La sua intenzione era quella di suonarli con la propria band
dell’epoca, ma alcuni membri li ritennero superati e poco interessanti e il
progetto fu così abbandonato. Nel 2014 la figlia maggiore di Julius, Bianca,
che impersona il protagonista del disco, scopre le vecchie carte e i provini
registrati su musicassetta e convince il padre a riprendere il tutto. Nel 2019
Julius completa, infine, l’opera scrivendo la title track su propri testi
dell’epoca. Tutti i pezzi sono stati ripresi solo nel 2014, dopo 33 anni di
“sonno” nel cassetto. Subito si è posto un problema di ordine concettuale, se
rispettare lo stile originale del 1978/81 oppure adattarlo all’attualità. È
stata scelta la prima soluzione e anche gli arrangiamenti hanno rispettato i
brani originali senza stravolgerli; sono stati usati moltissimi strumenti
vintage e il missaggio finale è stato fatto utilizzando apparecchiature
analogiche. I brani di “Cut The Tongue” sono molto attuali e forse sono nati
già proiettati nel futuro. Ciò probabilmente spiega anche il rifiuto degli
altri componenti della band dell’epoca ad abbracciare il progetto.
Accennavo inizialmente all’idea di “collettivo musicale” e
allora appare necessario delineare il pool di musicisti che hanno collaborato…
Oltre a Julius (Hammond, Mellotron, Moog Voyager, tastiere e
voce) e Paolo Dolfini (Piano, Moog model D, Korg Lambda, tastiere e cori),
Julius Project ha una base ritmica possente, costituita dal figlio di Paolo,
Filippo, alla batteria e dal bassista Marco Croci (ex-Maxophone) che ha anche
interpretato un personaggio dell’opera. Alle chitarre ci sono i salentini
Francesco Marra e Mario Manfreda e al flauto e voce l’ex Jumbo Dario Guidotti.
La voce del protagonista, Boy, è invece affidata alla figlia di Julius, Bianca
(in arte Bianca Berry). Successivamente sono stati chiamati a partecipare
grandi nomi del Prog italiano, quali l’ex-Jumbo Daniele Bianchini (chitarre) nonché
Flavio Scansani (chitarre) e, sul fronte salentino, Egidio Presicce al sax e
l’altra figlia di Julius, Martina, che interpreta la voce del “profeta”. La
title track è cantata dal grande Richard Sinclair, ex membro di gruppi storici
come i Caravan, i Camel, Hatfield and the North.
Veniamo alla musica, 57 minuti di sonorità sontuose, diciotto
episodi senza soluzione di continuità, una mini-opera che vede differenti
protagonisti, a partire da un “narratore” che introduce i vari “attori”.
Proverò a fornire pillole per ogni episodio.
Mi soffermo maggiormente sull’introduttiva
“The Fog” perché musicalmente mi ha spiazzato. Vorrei uscire dal
razionale e sottolineare come mi accada ogni tanto di essere colpito da una
trama, un’atmosfera, un particolare tratto vocale che mi induce ad un rapido
riascolto. È quanto mi è successo con “The Fog”, che è a mio giudizio la
sintesi perfetta della bellezza delle costruzioni prog: atmosfere sinfoniche
sostenute da una sezione ritmica virtuosa, una voce caratterizzante - in questo
caso di Julius - e, nello specifico, un particolare e semplice passaggio
ripetuto, che mi è rimasto in testa e ho
fatto mio.
Aggiungo l’importanza della lirica
che descrive una famiglia comune, tradizionale: “Sta arrivando la nebbia e
l’assassino della mente cancellerà tutto e distruggerà la ragione, anche quella
dei cervelli più brillanti. È facile abbattere ogni pensiero, anche il più
giusto, e quando la nebbia aprirà il suo ampio mantello potrai solo chiuderti
nella stanza, sperando che scompaia”.
Concetto semplice ma profondo, illuminato e incredibilmente attuale.
L’album prosegue tra virtuosismo, estrema bellezza estetica e facilità di ascolto, con un lavoro di squadra che vede in evidenza differenti lead vocal, e questa varietà espressiva mi appare premiante e un punto di forza del progetto.
Con “In the Room” entra
in scena “BOY”/Bianca Berry, imprigionato/a in una stanza da cui vuole fuggire
per ritrovare la libertà, e chiede aiuto: “Aiutami, rompi questo lucchetto,
liberami!”.
Pezzo per metà molto “tirato”, con la chiusura affidata al nuovo cantato, che permette di conoscere una vocalità davvero nobile e delicata.
E arriva l’amico di famiglia che
suggerisce l’aiuto di un profeta (“You Need a Prophet”): “Se
vuoi spazzare via tutta la tua nebbia e il nemico della mente che ti minaccia…
paga il profeta e sarai salvato”.
Altra nuova e piacevole voce - un po’ “morrisoniana” -, quella di Dario Guidotti, per un’altra traccia che colpisce al primo giro di giostra. Perfetta armonia tra sezione ritmica e aspetti melodici.
“Mask & Money” ci
presenta il dialogo tra BOY (Bianca Berry) e il profeta evocato (Martina
Chiriatti): “Ho cercato in tutti i modi di sapere come distruggere la
nebbia, ma è inutile…”; “Se vuoi un futuro luminoso devi seguire il mio
consiglio, dimentica tutti i tuoi sentimenti e pensa all’oro e il gioco
incomincia…”; “Il profeta è stato chiaro, devo cambiare e intraprendere un
nuovo corso…”.
Dialogo vocale delicato e sostenuto dai tempi composti tipici del genere, con una sezione centrale che mi ha riportato ad antiche costruzioni targate “Genesis”, con l’intervento pianistico di Paolo Dolfini: una chicca!
In “Welcome to the Meat Grinder”
il conflitto è interiore: “Ora non sono più un ragazzo pieno di nebbia, ora ho
mucchi di soldi tutti per me, sono un uomo nuovo e recito la mia parte”; “Ma
forse sto sbagliando tutto, sono insoddisfatto, vuoto, triste, questo
tritacarne mi ha macinato troppo…”.
L’ascolto mi ha riportato a “Tommy” - l’opera rock dei The Who -, una serie di immagini sonore che danno la perfetta idea di “racconto musicale”, con un virtuosismo strumentale mai fine a sé stesso ma al servizio della trama.
“Speed Kings” introduce i re della velocità che influenzano il BOY: “Ti piacciono le
macchine? Possiamo dartene una, dobbiamo correre, domani è il nuovo anno e ci
ubriachiamo stasera… siamo i re della velocità… viscidi, nebbiosi, sporchi,
polverosi…”.
La velocità a cui ho accennato è rappresentata da uno start sostenuto, dove basso e batteria recitano ruolo preminente ed entra in gioco un’altra voce, quella di Marco Croci, che presenta una vocalità molto interessante e matura, da rocker tradizionale navigato.
“Clouds pt. 1 e 2” è divisa in due parti: “È l’alba del giorno di Capodanno, la gente dorme perché la festa stanca, è orribile essere bagnati e soli in questi giorni, mentre tutti rimangono davanti a un camino; vedo nuvole che corrono via e la mia anima corre via con loro… e il profeta era una frode!”.
Dolce melodia condotta vocalmente da Bianca Berry, passaggio lento e intimistico con il sax tenore di Egidio Presicce che ricorda i giochi fiatistici di David Jackson.
E arriviamo a “Cut The Tongue” che vede un ospite di eccezione, quel Richard Sinclair che non ha bisogno di presentazioni. Sono stato testimone, negli ultimi dieci anni, di alcune sue collaborazioni “italiane” un po' superficiali in fase live, ma in questo frangente l’ospite dalla storia nobile regala vero valore aggiunto, un’interpretazione magica che riporta ai fasti della “Canterbury Scene”.
“Taglia la lingua di ogni cattivo
profeta, di ogni uomo che cerca di portarti fuori dai tuoi giusti pensieri,
taglia le nostre lingue per parlare ogni lingua, la lingua del silenzio, taglia
tutte le lingue perché dobbiamo imparare a sentire la persona che ci sta vicino,
senza parlare…”.
Protagoniste le tastiere di Paolo Dolfini - pianoforte e moog - che accompagnano l’iniziale delicatezza dell’ex Caravan che sfocia in una atmosfera lacerante in cui si inserisce la solista di Daniele Bianchini.
“The Swan” prosegue il
racconto: “Un cigno proveniente dal cielo mise le ali su di me… prese un
coltello e mi tagliò la lingua mettendola in una posizione diversa nella mia
gola e così posso parlare in tutte le lingue che il mondo conosce, io capisco
il mondo…”.
La mutazione del protagonista è musicalmente commentata utilizzando pacatezza e profondità onirica; Bianca Berry e Paolo Dolfini ancora in evidenza.
“Island” è il primo strumentale, molto funky e “anni ‘80”, giri importanti di un basso elettrico che gioca quasi a fare il solista, in contrapposizione all’elemento tastieristico.
La breve “We Know We Are Two”
parla di amore: “Non vedo il tuo volto ma so che stai pensando a me, mi dai
la luce, mi fai sorridere, mi dai la luna… siamo due anime e sappiamo di essere
due…”.
Brano acustico, orchestrale, striscia di passaggio, potenziale colonna sonora di una favola.
“I See the Sea” é il secondo strumentale, inizialmente movimento aulico, quasi elegiaco, sfocia in un “veloce andante e gioioso” dove sezione ritmica e moog conducono il gioco con orizzonti molto “seventies”.
“Glimmers” rappresenta
il pensiero espresso da BOY, mentre naviga lontano dal suo amore: “Non
essere triste se devi partire, lei ti aspetta e dice che quei bagliori sul mare
sono i suoi occhi bagnati che ti vedono e ti seguono ovunque…”.
Brano magnifico che riporta alle ballad di Gabriel e soci dei primi ’70 e vede la partecipazione preziosa di Flavio Scansani alla chitarra (solista e 12 corde).
“Castaway” è un altro strumentale di breve durata che rappresenta il naufragio di BOY, una marcetta molto evocativa e immaginifica.
“Wood on the Sand” presenta
il dialogo tra il narratore e BOY: “C’è legno sulla sabbia, puoi accendere
il fuoco e scaldarti e passare la notte… cigno per quanto tempo starò qui ad
aspettare la tua chiamata?”.
Ritorno alla lead vocal per Julius - che duetta con Bianca Berry -, una proposta davvero gradevole per una traccia che riporta al prog più amato da chi ha vissuto il periodo d’oro del genere.
Con “Wandering” - ultimo e breve strumentale - si sprigiona la forza della band prog, con tutti gli elementi che sono diventati il brand di un movimento musicale mai sepolto.
Chiude l’album “Desert Way”
e la storia di BOY giunge all’epilogo: “Ora posso dire di conoscere la via deserta,
che amo dimenticare il giorno per vivere in una notte tranquilla, rinunciando a
lottare per uscire e andare via, per tornare nella mia strada deserta dove
cercherò di trovare tutto quello che ho perso nella mia mente, per trascorrere
una giornata deserta senza andare più via.”
L’approdo al porto sicuro e alla serenità è magistralmente rappresentato da una fermatura musicalmente epica, con arrangiamenti ad ampio respiro, la scena finale di un film che ha mantenuto una forte tensione per tutta la narrazione.
E a questo punto viene la voglia di ricominciare l’ascolto.
Mi sono dilungato nella descrizione di un progetto che credo valga la pena divulgare senza esitazione, un album che pongo tra i primissimi di questo 2020.
La speranza è che nascano le possibilità per vedere JULIUS PROJECT dal vivo, e per fare ciò - emergenza sanitaria permettendo - bisognerà individuare la giusta organizzazione/logistica che possa oltrepassare i problemi legati ai collettivi musicali, per definizione composti da un numero svariato di artisti, molti dei quali lontani tra loro. Non meno importante il fatto che “Cut the Tongue” si presta ad una rappresentazione teatrale, oggettivamente difficile, ma non impossibile.
Una segnalazione per il magnifico artwork che, anche nel formato ridotto del CD, riesce da dare contributo rilevante all’iter narrativo.
Il mix & mastering sono stati completati nell’agosto del 2020 ai RecLab Studios di Buccinasco (Milano) grazie all’esperienza e all’estro di Larsen Premoli, anche lui catturato dal fascino di questo progetto e felice di “mettere la parola fine a un disco che ha iniziato a vedere la luce nel 1978”.
TRACKLIST:
1. The Fog
(6:27)
2. In the
Room (3:40)
3. You Need a
Prophet (3:30)
4. Mask &
Money (4:23)
5. Welcome to
the Meat Grinder (3:10)
6. Speed
Kings (3:33)
7. Clouds pt.
1 (3:06)
8. Clouds pt.
2 (4:45)
9. Cut the
Tongue (5:06)
10. The
Swan (2:17)
11. Island
(1:56)
12. We Know
We Are Two (2:06)
13. I See the
Sea (3:07)
14. Glimmers
(3:55)
15. Castaway
(1:07)
16. Wood on the Sand (3:06)
17. Wandering (1:39)
18. Desert Way (2:53)