Nel mio mondo musicale ideale la celebrazione dei 50 anni del
Festival di Woodstock, quella a cui ho assistito il 23 luglio a
Genova, Palco sul Mare, sarebbe un format itinerante da
spalmare nell’arco di un anno intero, dal 1° gennaio al 31 dicembre.
Tutto questo non c’entra nulla con gli aspetti nostalgici,
quelli che colpiscono solitamente i miei coetanei, e che permettono, spesso, di
rivivere momenti indimenticabili, ma l’utilizzo della storia e il dare vita a
sane memorie sono elementi che aiutano a rivitalizzare un racconto che può
diventare didattica, a vantaggio di una giovane popolazione di fruitori della
musica che, a mio giudizio, ne avrebbero davvero bisogno!
Non è un momento molto felice quello che stiamo
attraversando, e proporre musica di qualità e raccontare cosa si sognasse mezzo
secolo fa potrebbe rappresentare una discreta azione sociale, da cui trarre
vantaggi legati all’approfondimento, o più semplicemente al piacere da ascolto.
Woodstock mi ha cambiato, anche se ho vissuto il tutto da
adolescente, ma non si può minimizzare qualcosa che, a distanza di tanto tempo,
continua a provocarmi emozioni e pensieri positivi.
Non
è stato esattamente come molti lo hanno descritto, il festival svoltosi a Bethel
nella metà dell’agosto del ’69… non è stato né semplice nè perfetto, ma non è
questo lo spazio per descrivere nei dettagli una manifestazione avvenuta in un
anno irripetibile, carico di eventi significativi, tra storia e musica, all’interno
di una rivoluzione culturale senza precedenti.
E mentre Woodstock andava in scena, dall’altra parte dell’America
la strage di Bel Air tingeva di rosso un’estate infuocata, caratterizzata da un
raduno che vide un numero impressionante di anime raccogliersi oltre ogni più
rosea aspettativa, in tempi in cui l’informazione era minimale: questo è quanto
può accadere quando lo slogan proposto - in questo caso “pace amore e musica”
- contiene i presupposti del sogno collettivo e non quelli della pianificazione
e del mero businnes. Altamon, pochi mesi dopo, avrebbe sancito la fine di quei
nobili ideali.
Con questa voglia di rivivere l’evento ho partecipato al
concerto genovese ideato da Aldo De Scalzi. Vorrei dividere il tutto in tre
parti, un prima, un durante e un dopo.
Partiamo dalle premesse, da un’organizzazione che ha visto
sul palco musicisti volutamente locali, di cui non mi pare interessante tessere
le lodi, evitando di sottolineare l’ovvio: lo spirito della serata non aveva in programma la sfida tra le parti.
Però il livello delle competenze, come previsto, si è
dimostrato altissimo, così come accade quando entrano in gioco i
professionisti.
Occorre dire che Aldo De Scalzi possiede skills che vanno
oltre l’ambito strettamente musicale: mi riferisco alla capacità organizzativa
e al suo calarsi nella parte del catalizzatore, del filtro, del mediatore e, in
questo caso - ma succede con buona frequenza - è riuscito a portare su di un
palco un numero impressionante di “amici di alto rango", con cui diverte e si
diverte, dimostrando predisposizione all’empatia, verso i colleghi e verso l’audience,
con cui dialoga direttamente.
Proseguendo sull’ideale suddivisione in tre parti di questo “Woodstock
2019”, propongo il pensiero del “regista”, un’ora prima dell’inizio dello
spettacolo.
Dalle parole di De Scalzi emerge che sarà grande il numero dei
partecipanti, introdotti nel susseguirsi della “storia” dal narratore, il giornalista
Flavio Brighenti, il cui compito è stato quello di analizzare il
contesto e allacciare i fili di quanto accaduto, al di là del conosciuto, un
sapere legato soprattutto al film che portò il festival nelle nostre città. Normalmente
nel corso di un concerto si
cerca di dosare la parola, ma la cesellatura di Brighenti è stata particolarmente
apprezzata e ha aiutato nel ricollocare al posto giusto gli elementi del
puzzle, certamente non facile da costruire.
Chi ha ruotato sul palco? Da cosa è rappresentato il “durante”?
La base per chi si è esibito è la Too Little Time Band,
formata da Antonio Esposito al basso, Alessandro Pelle alla batteria,
Massimo Modesti alle tastiere e Gabriele Marenco
alla chitarra.
A rotazione è intervenuta una sezione fiati composta da Edmondo
Romano, Diego Servetto, Francesco Merlo e Enrico Allavena.
Tra gli special guests, oltre a De Scalzi,
onnipresente, i The Reunion (Luca Dondero, Luciano Ventriglia,
Franco Fisher Sandi, Luciano Ottonello, Enrico Spigno, Stefano
Cavallo), Paolo Bonfanti, Dado Sezzi, Attilio Zinnari,
Jenny Costa e Marco Matta.
Lunga la serie dei vocalist (Valeria Bruzzone, Matteo
Merli e Roberto Tiranti) a cui si sono aggiunti Morena Campus,
Daria Ciarlo, Claudio Boero, Agostino Marafioti e Fausto
Sidri.
Il frontman e la frontwoman sono solitamente gli artisti che
arrivano in modo diretto al pubblico, e in questo caso abbiamo avuto dimostrazione
di qualità eccelsa, e mi sono ritrovato a pensare come artisti simili non
avrebbero fatto fatica a trovare un ruolo tra i miti del rock, se avessero
vissuto epoche diverse: però... trovarsi al posto giusto al momento giusto non fa parte
delle scelte personali!
Lascio al lettore la possibilità di farsi un’idea propria,
giacchè nel filmato a seguire - oltre un’ora di video - ho cercato di
sintetizzare tutto quanto accaduto, mantenendo la scaletta programmata che
prevedeva la proposizione di alcune band e musicisti che parteciparono al
festival, e quindi, partendo dal finale di Jimi Hendrix, si sono
susseguiti brani di Country Joe, Canned Heat, Mountain, Joan
Baez, Creedence Clearwater Revival, Crosby Stills e Nash, Jefferson
Airplane, Joe Cocker, Richie Havens, The Who, Blood
Sweat & Tears, Janis Joplin e Santana, con il cui brano, “Soul
Sacrifice”, si è arrivati all’apoteosi, apice di una serata indimenticabile
che ha visto coinvolti tutti i musicisti on stage.
Il film della serata...
Il film della serata...
Per mancanza di tempo - deduzione emersa dalla scaletta in
mio possesso - si è dovuto “tagliare” Arlo Guthrie, Johnny Winter, Ten Years After,
Sha Na Na e Sly and the Family Stone.
Performance pazzesca, sicuramente non facilmente riproponibile
nonostante i miei sogni di inizio commento, perché esistono aspetti
organizzativi e costi conseguenti che rendono certi eventi come unici o
difficilmente irripetibili.
E qui arriviamo alla terza parte, quel “dopo” a cui
accennavo, il proseguimento del racconto.
Sì… per chi si fosse perso la serata del 23 e, magari
stimolato dal video precedente, cercasse una nuova chance, l’occasione è dietro
l’angolo, perché il 13 agosto, a Savignone, nell’entroterra
genovese, ci sarà una replica, gratuita, i cui dettagli si possono trovare cliccando
sul seguente link:
E per chi volesse approfondire l’argomento “Woodstock”, nei
prossimi giorni uscirà un numero speciale di MAT 2020 che racconterà nei
dettagli cosa accadde in quei giorni… in quell’anno… in quella dimensione… la
rivista è scaricabile, come sempre, gratuitamente, al seguente indirizzo: