A
distanza di quattro anni dal pluridecorato “Dedalo e Icaro”
(2013), Il
Cerchio d’Oro propone
il terzo episodio della sua più moderna vita musicale, quella che nel nuovo
millennio ha visto nascere “Il Viaggio di Colombo” (2009), e ora il
nuovissimo “Il Fuoco
sotto la Cenere”.
Una
cadenza ben precisa - quattro anni tra i vari episodi - che è dichiaratamente
non voluta, frutto del contrasto tra l’enorme peso realizzativo che si cela -
ai più - dietro ad un album di tale spessore e la mancanza di tempo che esiste
quando la musica è passione e non mestiere.
Il nuovo
album, targato ancora una volta Black Widow Records, presenta
analogie concettuali rispetto ai lavori pregressi, ma anche novità legate a
volontà precisa e ad atti organizzativi obbligati, come ad esempio la modifica
della line up, che ha portato un nuovo combustibile, non migliore, diverso.
Ancora
una volta un concept. Dice uno dei fondatori, Franco Piccolini: “Non è un concept tradizionale, ma gli argomenti sono
tutti collegati tra loro, una serie di favole, come si leggono ai bambini prima
di dormire, ognuna diversa, ma tutte legate dallo stesso denominatore comune,
il fuoco sotto la cenere, un
fuoco reale o metaforico, pronto ad esplodere…”.
Sei brani
inediti a cui si è aggiunta una cover a tema, di Ivan Graziani, “Fuoco sulla
collina”, inizialmente concepita come possibile 45 giri, ma successivamente
diventata parte integrante del disco, un omaggio al cantautore abruzzese a
venti anni dalla sua scomparsa ma, a ben vedere, perfettamente dentro al tema
proposto.
Per tutti
i dettagli dei crediti ed un commento della band ai contenuti delle varie
tracce rimando al seguente link: CREDITI E COMMENTO AI TESTI
Il sound
generale suona come il tipico brand del Cerchio - a mio giudizio, questo,
elemento di gran vanto -, con una creazione di parti vocali che non credo
abbiamo pari nel prog attuale, dove le vocalizzazioni dei fratelli
Terribile (altri due fondatori del gruppo) avvolgono la voce
prettamente hard rock di Piuccio Pradal, e dove i lunghi brani,
molto articolati e complessi, incontrano la melodia che addolcisce gli elementi
tecnici esasperati, tipici del genere.
Ma a
questa etichetta di fabbrica si aggiungono le novità a cui accennavo, prima fra
tutte l’innesto di un nuovo chitarrista, Massimo Spica, capace di
dare un contributo fondamentale sia in fase compositiva che di arrangiamento, e
con lui il Cerchio trova per la prima volta la stessa chitarra che, dopo la
registrazione, sarà presente anche nei live.
Vale la pena sentire
il suo pensiero perché fa riflettere sul modo di creare musica al giorno
d’oggi, almeno per alcuni:
“Situazione stimolante…
ho avuto la fortuna di arrivare nel “Cerchio” diversi mesi prima della
concezione dell’album, per cui ho avuto il tempo di acclimatarmi, e ciò che mi
ha più stimolato è che dall’inizio ognuno di noi aveva dei colori da portare
che si sono successivamente mischiati, ed è nato un effetto domino creativo che
ha portato a trovare gli incastri giusti; nel prog c’è molto cuore e in questo
disco ce n’è tanto, ma è anche importante l’aspetto cerebrale, se non è
esagerato, e tutto questo è nato proprio nel lavoro di gruppo, fatto in sala
prove, assieme dall’inizio, in uno status dove non dovevi seguire un copione
scritto da altri ma il tutto nasceva ed evolveva all’interno della
collaborazione reciproca.”
Altro aspetto importante e la cura degli arrangiamenti musicali, ad
opera di tutta la band, ma con il contributo importante di Simone
Piccolini, co-tastierista, ovvero la freschezza inserita nel
contenitore dell’esperienza. Simone e Franco, due tastieristi, una scelta anche
coraggiosa… qualcuno ha detto: ”Quattro tastiere accese, non è facile trovare suoni che
sono complementari… il gruppo con due tastieristi potrebbe spaventare, sia il
chitarrista che il pubblico, e invece…”
Beh, due elementi nuovi in un ensemble musicale portano
obbligatoriamente aria nuova, e “Il Fuoco sotto la Cenere” non sfugge
alla regola.
Sempre restando nel campo dei “suoni”, dai credits si osserva come l'apporto del fonico storico Enzo Albertazzi sia stato
circoscritto, ma il suo lavoro di missaggio ha richiesto un impegno enorme,
proprio nel tentativo di ricondurre il tutto al marchio tipico del Cerchio, che
forse nessuno conosce bene come lui.
Rimanendo in tema di collaborazioni consolidate, si rimarca il ruolo
di Pino Paolino che ha condiviso con Gino e Giuseppe
Terribile il ruolo di paroliere.
Come accaduto per il disco precedente la band si è avvalsa di alcuni
ospiti importanti, anche se occorre sottolineare come le scelte del Cerchio
siano sempre funzionali ai brani realizzati e non rivolte al nome di spicco.
Un esempio concreto riguarda il brano “Per sempre qui” - parole e
musica di Giuseppe Terribile - che vede la partecipazione
vocale di Pino Ballarini -, canzone che per ammissione dello
stesso ex vocalist del Rovescio della Medaglia risulta calata
su di lui come un abito da sartoria.
Gli altri due guest sono il batterista Paolo Siani e il
tastierista e vocalist Giorgio Usai - ex Nuova Idea -
che forniscono il loro contributo nel pezzo più rock del disco, “Il rock e
l’inferno”, con tanto di citazione finale per i Deep Purple (“Space Truckin’”).
Il mio pensiero…
In fase di chiacchiera approfondita mi sono accorto ancora una volta
come, anche tra gli addetti ai lavori, lo stesso disco possa suscitare
differenti reazioni. E meno male!
Ho trovato “Il Fuoco sotto la Cenere” estremamente complesso, nel
senso che ho provato ad entrare nelle singole trame e ho realizzato la
difficoltà che esiste nel mettere in logica sequenza certe fughe, cambi di
ritmo, modifiche repentine delle trame, incastri vocali.
Ma estrema articolazione può significare anche bisogno di tempo per una
sicura metabolizzazione, laddove il termine “metabolizzazione” serve a
sottolineare l’arrivo ad una buona confidenza con i brani. Per me
è stato così, e solo dopo il terzo ascolto il disco mi è diventato completamente…
familiare.
Del fatto che sia un disco marcatamente del “Cerchio” ho già detto, ma
personalmente l’ho trovato più “vintage” dei precedenti, nel senso che ho
percepito atmosfere tipicamente seventies che mi hanno riportato al prog
basico, miscela di puro rock e raffinatezze da virtuosi.
Gli aspetti lirici sono estremamente attuali, partendo dall’unico fatto
realmente accaduto, l’incendio londinese del ‘600 (“Thomas”, di Gino
Terribile) per arrivare al brano di Graziani, metafore di vita… fuoco e
cenere, elementi legati l’uno all’altra: il fuoco produce la cenere e la cenere
testimonia che c’è stato il fuoco, conservando a lungo la brace, in modo che il
fuoco possa nuovamente accendersi, ardere, essere ravvivato… ; è questo un
concetto che permea il tracciato disegnato dal Cerchio, e riconoscere il
quotidiano, il vissuto, appare estremamente semplice.
Curato il booklet - con i doppi testi - e una copertina a mio giudizio
molto adatta al vinile di prossima uscita, con una sorta di gioco ad uso degli
ascoltatori che potranno ricercare nel disegno di Stefano Scagni -
da un’idea di Marina Storace - gli elementi che riconducono ai
titoli del disco.
Il Cerchio d’Oro attuale mi dà l’idea precisa delle coppie al lavoro:
una sezione ritmica e vocale unica (Gino e Giuseppe
Terribile), un “padre e figlio” formato da tastieristi, coesi e
complementari (Franco e Simone Piccolini) e due
chitarre - acustica e solista - che cesellano (Massimo Spica e Piuccio
Pradal) e che forniscono “I due poli”, il prog melodico contrapposto
ad un duro rock. Ma il sunto risulta essere un lavoro in cui la squadra sopperisce
alle naturali predisposizioni del singolo a cercare l’evidenza personale, unico
metodo collaborativo da usare per dare il senso all’impegno di anni passati sul
pezzo, verso un obiettivo comune.
A cercare il pelo nell’uovo un bipolarismo lo si può trovare anche nei
modelli proposti nel disco, e se è vero che “Thomas” risulta essere
rappresentativo dell’intero lato progressivo della band, “Fuoco sulla
collina” propone invece l’immagine più pop, quella che ha contraddistinto
per molti anni il cammino dei gemelli Terribile… mai niente arriva per caso,
nemmeno le cover apparentemente riempitive!
Un album notevole, apprezzabile, un’altra pedina in una scacchiera in
cui Il Cerchio d’Oro ha ormai trovato posizione in pianta stabile tra i grandi del
prog nazionale.