TRATTO DAL LIBRO “PETE TOWNSHEND-WHO I AM
"Il più controverso memoir rock di tutti i tempi. Un dio del rock rivela le sue più umane fragilità" (Rolling Stone)
Gli Who erano
apparsi sulla scena quando tra i giovani della classe operaia si diffondeva la
speranza di cambiare e migliorare. Per la prima volta nella storia, un’intera
generazione poteva contare su opportunità economiche ed educative grazie alle quali
dire addio al destino segnato dal lavoro in fabbrica che era toccato ai loro
genitori, i quali, traumatizzati da due guerre mondiali, avevano risposto
rifugiandosi sotto la comoda coperta del conformismo.
Sull’onda di
questo moto di speranza e di ottimismo gli Who avevano deciso di dare voce alla
gioia e alla rabbia di una generazione che lottava per la vita e la libertà.
Quello era stato il nostro lavoro. E nella maggior parte dei casi eravamo
riusciti ad ottenere dei risultati, dapprima con i singoli pop, poi con modalità drammatiche
ed epiche, con forme musicali estese che servivano da veicolo per l’autoanalisi
sociale, psicologica e spirituale della generazione del rock’ n’ roll.
Tuttavia in Gran
Bretagna, dopo due governi laburisti e alla vigilia di quello conservatore
della Thatcher che quadruplicò le code di disoccupati in attesa del sussidio, fu
il punk che alla fine degli anni Settanta seppe esprimere la furia, il
nichilismo e il disprezzo di una nuova generazione di giovani, traditi e
gettati nel dimenticatoio. Senza futuro, né speranza, il manifesto originale
degli Who era colpito a morte.
Questo è il
racconto di ciò che è realmente accaduto. Le cose erano cambiate con gli Who.
Canzoni come My Generation e Won’t Get Fooled Again divennero inni di
un tempo ben preciso, ma nel 1981 un abisso si era aperto tra la nostra band e
le generazioni più giovani. Dovetti accettare la realtà: avevamo raggiunto il
nostro picco di popolarità a Woodstock e, benché fossimo ancora famosi, la
nostra capacità di reinventarci era in esaurimento. La lenta discesa era
iniziata nel momento in cui Roger aveva cantato “See me, feel me, touch me, heal
me”, con il sole che sorgeva alle nostre spalle e la mia chitarra che
urlava davanti a cinquecentomila persone ancora assonnate”.