Conosco
Fabio Biale da
molto tempo: era forse un 24 dicembre di qualche anno fa, solita eccitante vigilia
di Natale, e nelle vie intestine della nostra città lo vidi esibirsi in gruppo,
in modo itinerante, con uno strumento inusuale, un paio di cucchiai! E poi
assieme a Zibba, Liguriani… protagonista di tanti progetti in cui lui emerge
sempre come impareggiabile violinista e “uomo da palco”.
Quando
tre anni fa uscì il suo primo album solista, “La sostenibile essenza della leggera”, si evidenziarono le sue doti compositive e il suo status di polistrumentista,
e in quel contenitore Fabio iniziò a riassumere i fatti salienti della prima
parte del suo percorso.
Ciò
che propone oggi Fabio Biale è il secondo step, quello della prima maturità,
legato a cambiamenti personali importanti e a un’evoluzione musicale che,
vivaddio, non abbandona mai, almeno chi si mette sempre in gioco e affronta il
futuro professionale con umiltà e voglia di incidere sul proprio destino.
Il nuovo disco si presenta, ancora, con un titolo carico di
significati, che lui stesso spiega nello scambio di battute a seguire: “La
gravità senza peso". Se la curiosità iniziale è lecita, lo scorrere delle parole e delle note illuminano ciò che si
nasconde tra le righe, e l’intestazione assume un peso rilevante, un “romanzo
in quattro parole”, seguendo più o meno volontariamente l’insegnamento di Hemingway, che
tracciò una linea guida con la sua storica sintesi: “Vendesi: scarpine per
neonato, mai indossate”: in quel caso il capolavoro necessitava di sei
parole, classico esempio di pathos e brevità. Non è accostamento irriguardoso, dai grandi
occorre prendere esempio!
Fabio Biale diventa direttore d’orchestra,
scrive ogni partitura a tavolino e consegna il compito scritto ai suoi incredibili
compagni di viaggio - è lui stesso che li nomina nel corso dell’intervista - dettando regole e modus operandi.
Ne esce fuori un buon numero di tracce,
13 - con l’aggiunta della ghost track “Rock
‘n’ Roll”, del 1992 - che dipingono
un altro spicchio di vita, più attuale, con il vezzo di chi scrive di sé pensando
di osservarsi dall’alto e in qualche modo giudicare, o trarre conclusioni. Ci
sono tutti nel racconto - chi si incontra per caso o con continuità -, quelli
che espongono il fianco senza controllo, anche quando sono attori secondari, perché
anche il loro silenzio arriva al cuore e al cervello, certamente più di un discorso
prolisso. E così il diario in cui Fabio ha annotato il suo
vissuto/sognato/desiderato diventa un album che è molto più di somma di
canzoni, con cui si può… si deve sorridere, cercando di immaginare di più di
quello che viene mostrato; entrando un po’ in profondità, magari aiutandosi con
la lettura dei testi, ci si fa un’idea chiarissima dell’arte di Fabio Biale e
del suo essere musicista, sensibile e virtuoso, non solo portatore di alte
capacità musicali, ma interessato e impegnato nel regalare messaggi personali
che diventano universali, assumendo il ruolo di didascalia di alcuni momenti di
vita.
Certo, è un disco di cui si può godere
in modo diverso, più “leggero”, ma se ci si spinge oltre, quel concetto di
estrema gravità che attanaglia le nostre vite, accomunato all’assenza di peso,
porta a pensare a quale sia il nostro comportamento rispetto alle
insoddisfazioni del quotidiano, momenti difficile a cui spesso non si può
trovare soluzione, che si superano solo con un diverso atteggiamento. E
chiudendo tutti i cerchi.
Un bellissimo lavoro quello dell’ormai
saggio Fabio Biale.
L’INTERVISTA
Quando tre anni fa è uscito il tuo album di esordio, “La sostenibile essenza della leggera”, pensai potesse essere episodio isolato, solo perché avevo l’abitudine a vederti in gruppo, strumentista virtuoso che ama cesellare per altri, e invece… che è accaduto nella tua vita da allora?
Nonostante “La sostenibile essenza della leggera” sia stata un’esperienza alquanto inaspettata anche per me - registrato un pò per caso, un pò per gioco, un pò per sfida - non ho mai pensato che sarebbe stato un episodio isolato. E’ anche vero che, dopo quel disco, sono accadute tantissime cose: ho lasciato la band di Zibba e Almalibre e, almeno per un pò, il mondo del rock e del pop, sono tornato a fare l’insegnante di italiano abbandonando la nobile arte della pizzicagnoleria, mi sono sposato, ho un figlio. Tutte queste vicende hanno avuto sicuramente un peso. Indubbiamente mi hanno responsabilizzato; mi hanno consegnato una coscienza di personalità autonoma, maggiormente centrifuga rispetto alla realtà del gruppo. In un certo senso l’album d’esordio chiudeva la fase della giovinezza: raccontava la mia storia dai sedici ai trentuno anni. Questo secondo capitolo, “La gravità senza peso”, fotografa esattamente il mezzo del cammin di nostra vita. E’ come un grosso serpente sonnacchioso, arrotolato sui trentacinque anni. Si guarda intorno, ride del prima e irride il dopo. Ma dopotutto non si sente cambiato e teme che non cambierà. Ho letto da qualche parte che quando nasce un figlio una parte dell’uomo che sei muore e devi elaborare il lutto di quel te stesso. Allo stesso tempo ritorni bambino: Babbo Natale ricomincia a farti visita, giochi, racconti favole. Quindi allo stesso tempo è una scoperta individualistica, una riflessione sul giro di boa, un requiem edipico, un inno alla seconda fanciullezza.
Anche in questa caso giochi con le parole a partire dal titolo: se
nel primo album c’era bisogno di una sorta di traduzione per i “non liguri”,
l’ossimoro contenuto ne “La gravità senza peso” non mi pare da meno e richiede
qualche spiegazione da parte dell’autore…
La gravità senza peso è un regalo di Italo Calvino. Nelle Lezioni americane si proponeva di trovare sei valori per la letteratura del millennio successivo, questo millennio. La leggerezza è il primo di essi. Calvino, ad un certo punto, scrive che dal sangue della Medusa, che trasformava chiunque la osservasse in pietra, era nato il cavallo alato Pegaso. La pesantezza si rovescia nel suo contrario. Una leggerezza pensosa che prende parte all'amara commedia della vita e che sola la può alleviare. Una leggerezza che non è frivola perché è, appunto, gravità senza peso.
Possiamo considerare questo nuovo album collegato al lavoro
precedente?
Assolutamente. Lo definisco sempre come il secondo capitolo della
trilogia della leggerezza ma non aggiungerò altro. (Ti sto già confessando che
ci sarà un terzo album, che vuoi di più?).
Sono 13 i brani contenuti: qual è l’essenza del disco, dal punto
di vista del messaggio? Esistono concettualità e tratti biografici?
La leggerezza, come si diceva. Racconto storie la cui gravità ne
insegue il segreto: ci sono eroi, innamorati, assassini, mendicanti; i
disillusi e gli indomabili. Sono tutti racconti che hanno un legame
autobiografico diretto. Fatti accaduti, visioni, deduzioni. In una canzone
dico: “Quando il tono è piuttosto sincero/e ti mostra per quello che sei/e
il racconto non è tutto vero/ma tu sei quello lì e lei è lei.” Giusto per
fare un esempio: il bolo isterico ce l’ho davvero.
Non posso dimenticare il tuo valore come polistrumentista: cosa si
trova dal punto di vista strettamente musicale dentro al tuo nuovo contenitore?
Intanto è un disco interamente di composizione. Non c’è stato
lavoro di squadra o work in progress nella creazione dei brani. Mi sono sfidato
nello scrivere tutte le parti a tavolino: ho somministrato la partitura ai
musicisti che ritenevo più adatti i quali la hanno meravigliosamente arricchita
con la loro personale sensibilità e interpretazione. E’ stato davvero
emozionante sentire che la carta scritta pian piano cominciava a suonare
davvero. Come polistrumentista mi sono occupato di cantare, suonare il
violino, registrare qualche chitarra acustica, il bodhran e le tastiere. Una
bella sfida e una bella fatica. Mai più! (Scherzo!)
Tu dici che non c’è stato lavoro di squadra a livello compositivo,
ma presenti un team al lavoro ricco di elementi importanti: come l’hai
composto… con quali criteri?
Il suono del disco era già tutto in testa prima di entrare in studio.
Il timore più grande durante tutte le registrazioni è stato quello di mancare
quel suono. Il raggiungimento di quell’obiettivo mi ha fatto comporre la
squadra. Di grande aiuto sono stati i suggerimenti di Rossano Villa,
espertissimo conoscitore della realtà musicale ligure. Super professionisti,
amici di lunga data e musicisti incredibili ecco tutta la banda: Fabio Vernizzi
al pianoforte, Stefano Cabrera al violoncello, Stefano Ronchi, Luca Falomi e
Marco Vescovi alle chitarre, Saverio Malaspina alla batteria, Riccardo Barbera
al basso e contrabbasso, Giorgia Mammi al clarinetto. E poi gli ospiti: Dario
Canossi dei Luf, l’attore Mauro Pirovano e Zibba (che è presente in Albergo
zot nella versione digitale dell’album). Con quale criterio li ho
scelti? Ma hai sentito come suonano? Come fai a non sceglierli?
L’album è stato registrato agli Hilary Studio del già citato Rox
Villa: quanto ha inciso la sua professionalità nella realizzazione delle tue
idee?
Rox è un amico e un giudice inflessibile. Ha ottime orecchie e sa
ascoltare quello che gli proponi come riferimento per il tuo sound. Quanto ha
contato? Forse senza di lui questo album non ci sarebbe stato. In parte perché
la scintilla per pubblicare un secondo album è scoccata dalle sue pressioni e
dal suo entusiasmo dopo La sostenibile essenza della leggera, e
inoltre perché ha saputo cogliere le non poche follie musicali che mi correvano
per la testa. Abbracciare l’aria sottile e farne un mazzo non è roba da tutti.
Come pubblicizzerai l’album? Hai previsto presentazioni e concerti
di pubblicizzazione?
Il disco è uscito ufficialmente il 13 dicembre e sto concludendo
ora gli accordi promozionali e di ufficio stampa. Fino a qui mi sono occupato
personalmente della promozione. Per quanto riguarda il live uscirà presto un
calendario del tour di presentazione. C’è stata una data numero zero il 17
dicembre a Laigueglia a Le Malebolge, in duo con Ivano Vigo alla chitarra.
Come ti si può seguire in rete?
Ho un sito freschissimo, www.fabiobiale.com,
e una pagina sia su Facebook sia su Instagram. Cercate e seguite Fabio Biale
per avere aggiornamenti costanti!
Guardiamo oltre: che cosa farà Fabio Biale dal 1 gennaio 2017?
Suonare, scrivere, studiare. Le tre S che mi fanno compagnia da
una vita. Poi c’è la scuola, la quarta S. Passare un po’ di tempo con mio
figlio e mia moglie. Che ha un nome che comincia per S, guarda caso.
Temporeggio nella risposta perché tutto sommato non lo so. La sesta
S. Stop.