A La Claque erano di scena un paio di band con un discreto
denominatore comune legato al genere musicale proposto, i “locali” e super
conosciuti Delirium IPG e i romani La Fabbrica dell’Assoluto, una novità nel panorama italiano.
Il sunto potrebbe essere... l’esperienza e
l’antica visibilità di Ettore Vigo e
soci contrapposte alla recente
costituzione - 2013 - di un ensemble musicale con le idee estremamente chiare,
che decide di percorrere una strada tutta in salita dopo aver assorbito la
discografia prog rock degli anni ’70.
Detta così
sembrerebbe quasi una sorta di passaggio di consegne, ma nella realtà dei fatti
la proposta dei Delirium vede il timone saldamente posizionato sulla direzione
“futuro”, perché la svolta di cui ho parlato più volte, e in differenti spazi,
ha portato ad un deciso cambio di strategia, probabilmente arrivato in via del
tutto naturale.
Ma il filo che
unisce le due band è più forte di qualsiasi razionale spiegazione, e risiede
proprio nel coraggio di affrontare sentieri sconosciuti, infarciti di
incognite: forse una necessità, nel caso dei Delirium, probabilmente coraggio per “La Fabbrica…”.
E sono proprio questi
ultimi ad aprire la serata, presentando un set che durerà quarantacinque
minuti, praticamente senza soluzione di continuità.
Loro sono: Claudio Cassio - voce e cori -, Daniele Sopranzi - chitarra elettrica e
acustica -, Daniele Fuligni -
tastiere -, Marco Piloni - basso -, Michele Ricciardi - batteria.
Si presentano
rigorosamente in tuta da lavoro e propongono parte del loro album di esordio, "1984 - L'ultimo Uomo d'Europa", disco di cui parlerò prossimamente,
cercando di captare i significati ed i particolari caratterizzanti.
Posso quindi
commentare in pillole ciò che ho visto, senza alcuna preparazione
preventiva: musica complicata, di non
facile assimilazione, costruita nei dettagli, con risvolti tecnici
impegnativi preferiti agli aspetti melodici; tempi composti impossibili e una
voce narrante coinvolgente e recitativa. Trame vintage con una proposizione
tastieristica variegata e molto seventies, atmosfere rarefatte che in alcune
sfumature inventano una miscela corposa fatta del mondo hammilliano intriso di
fratelli Shulman.
Suggestioni, solo
immagini che non determinano comparazioni ne estrema enfasi, ma solo la
sorpresa per l’aver trovato un profumo conosciuto che mi permette di
intravedere cosa possa esserci dietro l’angolo. Mi piacerebbe avere la
possibilità di risentirli, perché l’applicazione d’ascolto - necessaria al
cospetto di una novità, per giunta impegnativa - mi ha impedito quel dolce
“lasciarsi andare” che è l’aspetto ludico e piacevole degli eventi live.
A metà della loro
esibizione entra in scena un pezzo storico della musica prog italiana, il
cantante Pino Ballarini, ex Il Rovescio della Medaglia, che si
esibisce in un paio di brani, uno dei quali del vecchio repertorio del
Rovescio, documentato a seguire.
Una bella sorpresa!
Non è invece per me
una sorpresa la performance dei Delirium.
A fine esibizione Ettore Vigo, il tastierista storico, assumendo
il ruolo di archetipo del prog, sottolineava qualche imprecisione - come accade
in tutti i live di qualsiasi gruppo! - dando rilievo all’ultima cosa a cui il
pubblico è interessato in queste occasioni, ma si sa, i professionisti…
Molto più importante
il calore che scaturisce e porta ad interagire audience e palco.
Ritorno alla chiosa
precedente, quel cambio di strategia
naturale che è in atto dal cambiamento della line up, che attualmente
prevede: Ettore Vigo - tastiere -, Martin Grice - sax e flauto -, Fabio
Chighini - basso -, Alfredo Vandresi
- batteria -, Alessandro Corvaglia -
voce, chitarra acustica e tastiere -, Michele
Cusato alla chitarra elettrica.
Il set dei Delirium è temporalmente
il più ampio possibile, e parte dal primo album del 1971 sino ad arrivare
all’ultima creatura, L’era della menzogna,
disco che sta portando a casa molteplici soddisfazioni.
Ma anche la parte più
antica trova vivacità di colore grazie ai nuovi arrangiamenti e all’entusiasmo
dei “giovani”, che fanno da traino a chi pensava ormai di non poter trovare lo
stimolo giusto per innovativi filoni musicali.
I Delirium sono il gruppo che ho maggiormente seguito negli ultimi
sei anni, e sono testimone della sterzata che è stata sancita ancora una volta
a La Claque, dove il folto pubblico
ha accompagnato, brano dopo brano, l’evolversi del concerto.
Se nel caso de La Fabbrica dell’Assoluto, per i motivi
citati, era richiesta una buona dose di razionalità, nel caso
dei Delirium la “pancia” poteva
bastare, e questo mi sembra uno degli obiettivi primari di un live concert.
Va da sé che unire gli
elementi porta alla piena soddisfazione.
Ancora un pensiero per
i Delirium: osservare
l’affiatamento, il divertimento e lo scambio di ruoli e cortesia fa pensare ad
un progetto davvero riuscito, ed è bello e didattico vedere musicisti in pista
da diversi lustri protesi in avanti e non fossilizzati sui successi passati,
che mai vanno rinnegati, ma dosati sapientemente, come accaduto nel canonico
bis, quando a Dolce Acqua ha fatto
seguito Jeshael, brani che hanno
provocato l’entusiasmo generale.
Tutto esaurito a La Claque, molti i musicisti tra il
pubblico, e sottolineo la presenza di Mauro La Lluce, storico paroliere dei
Delirium, e di Anna Ferrari,
pittrice che ha realizzato il dipinto da cui fu tratta la copertina dell’album
“La voce del vento”.
In visita anche l’amica giapponese Yoshiko, ma ormai è una di casa e fa parte dei fedelissimi.
Una bella serata di
musica organizzata in collaborazione con Black
Widow: un piacere essere stato tra i presenti.