venerdì 30 gennaio 2015

Maurizio Guarini-"Creatures From A Drawer"


Non sapevo dell’esistenza di “Creatures from a drawer”, l’album uscito esattamente due anni fa ad opera di Maurizio Guarini, musicista legato indissolubilmente al nome “Goblin”.
E non sapevo che Guarini vivesse lontano dalla sua casa d’origine, in un paese, il Canada, dove la cultura musicale è probabilmente più “matura” rispetto a quanto accade in Italia.
Di tutto ciò, album e contorni geografico sociali, si parla diffusamente nell’intervista a seguire, con Maurizio che spazia tra gli ampi argomenti che riguardano la sua sfera professionale e con un racconto dei dettagli relativi al disco.
Dieci tracce, dici composizioni personali che riallacciano un lungo periodo di vita, brani - come svela il titolo - dimenticati in alcuni casi nel cassetto, quelle creazioni, a volte estemporanee, che si mettono da parte in attesa dell’occasione giusta che… potrebbe non arrivare mai.
Ma per fortuna Maurizio Guarini fornisce una chance alla sue “creature”, degne di un ampio e diffuso ascolto.
Appassionato di tecnologia, Guarini miscela questa sua attitudine all’informatica e alle nuove tecniche  applicate alla musica, e ciò che emerge è un album che in qualche modo riesce a mascherare il gap spaziale delle creazioni, nel senso che non si avverte la differenza che normalmente esiste quando si comparano musiche realizzate in periodi diversi, condizionate dalla maturità e dal mood momentaneo dell’autore.
Emerge invece una grande omogeneità dove occorre sottolineare un paio di cose.
Innanzitutto il brand di Maurizio Guarini. Posso giudicare solo rifacendomi alla sua storia nei Goblin, e pensando a quelle trame mi viene spontaneo abbinare l’ascolto di “Creatures...” al “tocco” di Maurizio, e questo mi pare un grande pregio ed elemento di sua soddisfazione.
Altra cosa è la materia proposta, qualcosa di antico che diviene avanguardia, tempi composti su un tappeto elettronico melodico e mistura di rock, prog e intimismo elettronico dei maestri tedeschi degli anni ’70.
Prendo ad esempio Black Dog, brano capace di far rivivere i Gentle Giant, ammodernandoli con una pennellata di vernice musicale anni 2000: il risultato è sorprendente!

Un disco gradevole che mi pare adatto ad un pubblico trasversale, un album che appare come buona sintesi di un lungo percorso di vita, un contenitore che, facendo quattro calcoli, potrebbe non avere un seguito immediato, anche se Guarini sta lavorando ad un nuovo episodio solista, ma si sa, i Goblin sono i Goblin, e il mondo li aspetta in tour!



L’INTERVISTA

Un po’ di storia: come si può sintetizzare la vita musicale di Maurizio Guarini?

Difficile decidere da dove iniziare. Partiamo dai veri inizi, cioè dal mio incontro con la possibilità di creare musica, cioè avere uno strumento musicale tra le mani e creare suoni e rumori. Il primo strumento che ho avuto occasione di suonare è stato una chitarra, che mi fu regalata dal fratello di mia nonna. Una volta che i miei hanno capito che riuscivo a tirare fuori delle cose che avevano senso, si sono probabilmente impietositi guardandomi trafficare ore e ore al giorno con quell'arnese, e mi hanno comprato una pianola. Da lì inizia il mio percorso da autodidatta, rubando trucchi dai musicisti che avevo la possibilità di sentire e vedere, solo per il piacere di divertirmi e imparare. Le prime esperienze con gruppi, nel senso di suonare insieme ad altre persone, risalgono agli inizi del liceo e in quel periodo ho avuto i primi incontri con un pubblico vero. Facevo più che altro rock, sentivo i Deep Purple e gli Huriah Heep, poi ho scoperto Emerson e i Pink Floyd. Qualche anno dopo ho iniziato a fare più sul serio, e mi sono avvicinato parallelamente al jazz rock e a quello che oggi si chiama progressive, come Gentle Giant e Genesis. I gusti si evolvevano rapidamente per approdare così ai Weather Report, Zappa e Mahavishnu. Erano i primi anni ‘70, c'era molta attività di gruppi a Roma, e si suonava tanto, jam sessions praticamente ogni sera. Non ho mai pianificato di diventare un musicista professionalmente, mi ci sono trovato senza accorgermene, ho solo seguito l'istinto. Il primo tour "vero" l'ho fatto nel 1974 con due cantautori, Loy e Altomare. L'anno dopo, grazie a un chitarrista, amico comune,  ho incontrato Massimo Morante, che cercava un tastierista per suonare dal vivo con questo gruppo - che io non conoscevo - chiamato Goblin, dopo il grande successo del film Profondo Rosso e della colonna sonora, visto che Claudio Simonetti, co-fontatore con Massimo, aveva deciso di andare per la sua strada. Da lì è iniziata la mia carriera gobliniana. Il primo tour - dopo il rientro lampo di Claudio - fu un grande successo. Era fine 1975, eravamo in coppia con Riccardo Cocciante e durante il tour siamo diventati primi in classifica con Profondo Rosso. Nello stesso periodo abbiamo registrato il disco Roller. A fine 76 sono uscito dal gruppo per dissidi interni, mentre eravamo in studio durante la registrazione di Suspiria (tra parentesi nel disco non sono menzionato, ma ho partecipato appunto alla prima fase di registrazione). Da lì è iniziato il mio andirivieni nei Goblin, in alternanza con Claudio. Con i Goblin ho partecipato alle colonne sonore di Patrick, Buio Omega, Contamination, Saint Helens, Notturno, e un disco che si discostava dal nostro genere standard, Volo, dove ho conosciuto anche Cinzia Cavalieri, autrice dei i testi di Volo, che poi èdiventata la mia compagna. Nel frattempo lavoravo come session man con altri artisti, direi tra i più importanti in Italia, sia in studio che dal vivo. Per nominarne alcuni, Cocciante, Venditti, De Gregori, Mannoia, Patty Pravo, Renato Zero, Mia Martini, Nada, eccetera. In quel periodo ho lavorato molto in studio anche nell'ambito delle colonne sonore, soprattutto per film horror ma non solo, collaborando con altri compositori. Per i curiosi ci sono più informazioni nel mio sito: www.maurizioguarini.com
Dopo il 1990 ho iniziato ad affiancare lo sviluppo di software alla musica, e nel 1998 una serie di eventi legati al mio lavoro mi hanno portato a trasferirmi in Canada. Dopo qualche anno di attività nel campo informatico ho messo su uno studio di registrazione nel mio basement e sono tornato gradualmente alla musica, e nel 2004 Massimo Morante mi ha ricontattato dall'Italia e abbiamo fatto una reunion con i Goblin che si è coronata con l'uscita di BackToTheGoblin e successivamente con il ritorno alle performance live nel 2009.

Dopo anni di esperienze multiple, che giudizio ti senti di dare del ruolo dei Goblin all’interno del panorama musicale nazionale e oltre?

Che ai tempi fossimo innovativi non c’è dubbio, è riconosciuto da tutti. Innovativi rispetto alle sonorità e rispetto all'approccio riguardo al commento musicale, che era molto distinguibile. Non saprei come collocarci. Alcuni ci classificano progressive, ma avevamo decisamente la nostra sonorità, riconoscibilissima. Oserei dire che il ruolo della nostra musica ha acquisito più importanza dopo il 2000, con la diffusione della rete e il proliferare dei social network e quindi con la possibilità per tutti di sentire cosa facevamo 30 anni prima. Stavolta, invece di essere un fenomeno prettamente italiano come negli anni ‘70, la nostra popolarità è cresciuta globalmente, in tutto il mondo, e questo ci ha fatto ovviamente molto piacere. Sono rimasto sorpreso quando giravo per locali e tra musicisti, le prime volte qui a Toronto, se dicevo di essere parte dei Goblin vedevo gente che quasi si prostrava come se fossi un Dio. Ho realizzato che col tempo siamo diventati sempre più importanti a nostra insaputa, e le nostre sonorità sono diventate in qualche modo un punto di riferimento. Abbiamo involontariamente influenzato molti gruppi techno o metal. Adesso se senti un certo tipo di atmosfera puoi descriverla come "alla Goblin". E' una cosa bellissima ma che ti fa anche sentire il peso di una certa responsabilità. Alla nostra notorietà hanno anche contribuito gruppi famosi che hanno usato nostri suoni campionati per brani di successo, e magari servizi giornalistici che usano la nostra musica come commento per identificare suspence - Profondo Rosso e Suspiria sono usati ancora oggi dovunque, dopo quasi quarant'anni. Dal 2009 comunque abbiamo riiniziato la nostra attività live, abbandonata nel 1976, e abbiamo avuto un successo sorprendente. Non solo in Europa, dove abbiamo fatto il tutto esaurito a Parigi, Londra, Berlino, ma anche oltre oceano, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. Dovunque tutto esaurito e folle impazzite per la nostra musica. Nell'autunno 2013 la coronazione con il primo tour negli Stati Uniti. Sold out quasi dappertutto, con date che abbiamo dovuto fare tre volte, e altri due tour aggiunti. Incredibile per un gruppo italiano che fa musica solo strumentale. Peccato che in Italia non siamo così popolari e che soprattutto non ne parli nessuno. Ma sappiamo come funziona, è la solita passerella dei soliti noti, quindi non ci proviamo neanche. Adesso stiamo lavorando al nuovo album, che sarà pubblicato a fine gennaio, e organizzeremo date in giro per il mondo. La formazione attuale vede i quattro quinti della formazione originale del 1975, ti assicuro che la chitarra di Massimo Morante, la ritmica originale di Fabio Pignatelli e Agostino Marangolo, e le mie tastiere, dal vivo sono garanzia per una sonoritàGoblin DOC, e il pubblico lo sa.

La tua attività musicale si interseca con quella professionale, dove regna la tecnologia: quanto ha inciso l’evoluzione tecnica sul tuo essere artista?

Ho sempre avuto un'attrazione per la matematica e la tecnologia in genere, e ho iniziato a trafficare con il software agli albori del personal computer, a fine anni ‘70, prima con schede di sviluppo, poi con PET e poi il primo Apple II nel 1978. Già allora, prima dell'avvento del midi, ho iniziato a usare il computer in studio di registrazione per costruire sequenze altrimenti impossibili con i sequencer dell'epoca, limitati a poche note, e nel 1984 ho realizzato una scheda con relativo software per Apple II, chiamata YUK, che è stato uno dei capostipiti dei moderni software musicali, e ne sono molto orgoglioso. Quindi, direi che da subito la tecnologia ha influenzato molto la mia produzione musicale, la mia capacità di produrre musica e la mia vita in genere, ma nonostante questo sono convinto che l'evoluzione tecnica non possa incidere più di tanto sull'essere artista. Sicuramente ti può guidare e direzionare sulle tue scelte, e ti amplia le possibilità in un modo sorprendente, ma non è detto che questo sia un bene, anzi a volte se usata a sproposito la tecnologia può incidere negativamente, rallentando la creatività, portandoti a focalizzare il tecnico, e questo va a discapito di quello artistico. Per farti un esempio, tanti anni fa un tastierista magari spendeva il 10% del tempo a creare suoni, e il 90 a suonare, adesso il rapporto è invertito, si tende a rimanere aggiornati con le migliaia di innovazioni e updates che arrivano giornalmente e di tempo per creare musica ne rimane veramente pochino. E il danno della tecnica sull'arte non si ferma a questo: purtroppo c’è un effetto collaterale che a mio parere è stato deleterio per la musica e l'arte in genere: negli anni ottanta le case di produzione discografiche, alcuni produttori, insomma, parte dell'industria, ha pensato bene che con le nuove tecnologie emergenti chiunque potesse essere in grado di produrre musica, e hanno pensato bene di iniziare a fare da soli, eliminando i musicisti e stravolgendo il processo compositivo, tentando di farne un business fine a se stesso. Risultato: abbiamo avuto la più grossa crisi che ci sia mai stata, riguardo la qualità e, dopo qualche anno, ha avuto anche ripercussioni economiche sul mercato. L'industria non aveva pensato che la gente compra la musica quando è bella, quando è composta e suonata bene, non solo se sei bravo a venderla. La gente non è stupida. Le masse sono manipolabili, ma dopo un pò la realtà trionfa sempre. Sono andato fuori tema? Decisamente sì. Per tornare alla tecnologia applicata all'arte, ne sono un profondo sostenitore, quando la tecnologia è usata bene è al servizio dell'arte, ma dipende da come e da chi. E questo non si limita alla musica.

Vorrei soffermarmi sul tuo album, “Creatures from a drawer”: come nasce l’idea?

Nei tanti anni spesi tra studi di registrazione e tour, spesso a lavorare per altri artisti, ho composto molti brani, che non ho mai avuto il tempo e la determinazione di pubblicare, e se ne sono accumulati veramente tanti. Anni fa, approfittando di un riordino totale delle mie cose, che comprendeva la digitalizzazione di tutti i vecchi nastri e cassette prima di disfarmene, ho fatto un riascolto del materiale, e ho ritrovato idee e composizioni interessanti. Alcune le avevo addirittura dimenticate. Appunto, delle "Creature da un cassetto", dimenticate lì e in attesa di prendere vita. Ho deciso che era ora di mettermi alla prova producendo un mio album, usando parte di quel materiale e componendone di nuovo, e vedere cosa la gente pensa veramente della mia musica. Insomma mi serviva un feedback mettendo in gioco me stesso in prima persona, non come elemento di un gruppo o arrangiatore o musicista per qualche altra produzione. Ho deciso di fare i pezzi proprio come piacevano a me, non pensando assolutamente al lato commerciale. Non è stato facile, ma credo di avercela fatta. Ora sono piacevolmente sorpreso della quantità di persone che apprezzano la mia musica, che alla fine ho prodotto solo per me. Ho optato per una distribuzione solo online, e non ho fatto alcuna campagna pubblicitaria, solo passa parola. Si possono trovare più informazioni sul sito www.creaturesfromadrawer.com

Potresti definirlo un album concettuale?

Parzialmente sì, ma solo dopo un lavoro di ricostruzione, essendo l'album stato concepito solo in un secondo tempo, quando le composizioni erano già lì, indipendenti e in attesa di essere realizzate. Diciamo che ho cercato di concentrarmi sull'essenza delle composizioni, e il filo conduttore lo puoi trovare proprio estrapolandolo dalla natura staccata dei brani. Sembra un controsenso ma non lo è. Uno dei problemi che ho incontrato inizialmente era proprio l'omogeneità: siccome i pezzi venivano da epoche diverse, non c'era una continuità compositiva. Noi tutti cambiamo, nel tempo, le nostre idee, i nostri stati d'animo durano per periodi limitati, nascono e muoiono, cambiamo in continuazione, e mi sono ritrovato pezzi totalmente diversi tra loro. Comunque ho deciso di non esagerare con questo processo di “omogeneizzazione” estetica, cercando di mantenere il più possibile lo spirito delle composizioni originali, quindi troverai dal jazz al progressive, dall'atmosfera all'elettronico, tutto diverso. E se c’è qualcosa che lega, non è certo voluto, non è sotto il mio controllo. Insomma, se riconosci che è un pezzo mio non è per i suoni o le ritmiche o l'arrangiamento, è per l'essenza e il concetto.

Mi parli degli ospiti del disco?

Per il disco ho provato a seguire quello che faccio nella vita, quando è possibile, cioè mescolare persone di provenienza culturale diversa, e che magari neanche si conoscono, in modo da cercare nuove energie. Se da una parte lavorare con persone che si conoscono bene e affiatate musicalmente è un vantaggio per ottenere un suono definito e collaudato, mettere insieme musicisti che non si conoscono può essere uno stimolo per creare qualcosa di nuovo. I musicisti si trovano in un ambiente sconosciuto, senza scudo, e potenzialmente liberi da vincoli. Per esempio, bassista, batterista e chitarrista che hanno suonato sul pezzo “Gentle Robbery” si conoscevano a malapena prima di collaborare al brano, e questo a mio parere fa avvertire quel non so che di freschezza che non si ottiene quando una situazione è collaudata e i musicisti si conoscono. E' una cosa che arricchisce il pezzo e tutti quelli che chi partecipano.
Il disco in genere è stato registrato in diversi studi e alcune cose sono state impostate elettronicamente. Ho chiamato musicisti diversi nei vari pezzi: Great Bob Scott alla Batteria e Chris Gartner al basso sono due musicisti di Toronto che ho conosciuto 7-8 anni fa - ho sentito Bob suonare la batteria in un after hour e mi hanno colpito la sua tecnica e soprattutto il suo approccio sempre positivo e scherzoso con il suo strumento. Suonare con lui è una gioia, una botta di positività. Con loro ho formato un trio anni fa, chiamato “Orco Muto”, e abbiamo fatto dei concerti a Toronto e in giro per il Canada.
Cinzia Cavalieri, mia moglie, ha partecipato come vocalist e ha scritto le parole di uno dei brani. In Italia aveva già collaborato con me in studio e dal vivo  in diverse occasioni.
Brandi Disterheft, con cui ho avuto l'occasione di suonare a volte in jam session, è una contrabbassista molto talentuosa, vive a New York e ha una sua produzione musicale propria. Suona soprattutto jazz, nel mio disco suona su due brani molto complessi armonicamente e ritmicamente.
Matt Campbell è un chitarrista molto interessante, eclettico e pieno di idee, a cui piace spaziare e che non ama seguire schemi.
Con Bryant Didier ho suonato live innumerevoli volte, è un bassista molto funk e ritmico, ottimo suono.
Stesso dicasi per Marcello Ciurleo, batterista. L'ho conosciuto solo recentemente, da un paio di anni. Ha una mente e una precisione fuori dal comune, un suono veramente interessante e energia da vendere.

Chi ha curato l’artwork e quanta importanza dai all’aspetto visual?

Ho pensato a tutto io, con l'aiuto di Cinzia che mi ha dato un prezioso feedback e molti consigli sull'impostazione generale della grafica, scelta delle foto eccetera. Riguardo il disegno dello gnomo, lo avevo ritrovato anni fa nei vecchi scatoloni provenienti dalla cantina di Roma. Era un disegno a penna. L'ho scannerizzato, ripulito, colorato, modificato un pò, e aggiunto un ritratto di me stesso. Poi l'ho usato come icona per il mio disco, mi sembrava che questi strani esseri di fantasia fossero in tema con l'idea dell'album. Alla fine sono riuscito a risalire all'autore del disegno originale, Sandro Cesaroni, “Cicero”, un sassofonista con cui ho suonato a Roma e che lo aveva fatto estemporaneamente come regalo di un mio compleanno, negli anni 70. Sono contento di averlo ritrovato. Altra grafica, mie idee e disegni, che più o meno descrivono le situazioni da immaginare nei brani. Mi divertivo a disegnare da piccolo, e mi piace ancora. Invece che a mano, con la tavoletta grafica - tornando al discorso tecnologia e arte…
L'aspetto visuale è importante, e credo sia sempre più importante col passare del tempo, vista la velocità con cui il pubblico deve "digerire" i bombardamenti giornalieri di contenuti grafici da ogni parte, e anche perchè le nuove generazioni tendono a classificare qualunque cosa. In qualche modo l'aspetto visuale deve matchare col contenuto nell'immaginario collettivo, altrimenti il prodotto non trova la giusta collocazione. E' triste, ma è così, siamo assuefatti agli stereotipi nostro malgrado. Io ho rischiato un pò, potevo dirigermi maggiormente su una grafica più scontata o standard, magari più dark o horror, ma ho provato a discostarmi e farne una cosa più mia, che credo rispecchi un pò il contenuto dell'album.

L’album è uscito nel 2013: sei riuscito a riproporlo dal vivo?

Una sola volta al release party al Lula Lounge di Toronto, nel giugno 2013. E' stato un successo decisamente oltre le aspettative. E' stato messo su tutto velocemente, abbiamo avuto pochissimo tempo per provare, ma alla fine è andata alla grande, con locale pieno e pubblico molto attento. Grazie a tutti quelli che sono venuti e mi hanno sostenuto. Presto mi organizzerò e inizierò a fare dei concerti suonando le mie cose, ho già molte idee a riguardo. Per ora sono super impegnato coi Goblin.

Da qualche anno vivi in Canada: potresti comparare il modo in cui si vive la Musica nei “tuoi” due paesi?

Parlo di Roma e Toronto, per non generalizzare troppo. Dal punto di vista di quantità di musica live, non c’è neanche da fare il paragone. Qui c’è' molta, moltissima musica dal vivo, in centinaia di locali sparsi per la città. Si suona tutto, dal Jazz al progressive al metal al funk, al folk alla musica sperimentale. E' molto di moda la musica improvvisata. Non parlo solo di Jam session Fusion o Jazz, ma di totale improvvisazione che può spaziare da musica atonale a ambiente, effetti e elettronica. Se vivi qui scopri che ci sono tantissimi posti dove si suona, non menzionati da nessuna parte, ma che impari a conoscere solo per passaparola. E' proprio in uno di questi after hours che sono venuto in contatto con i primi musicisti, anni fa. L'approccio dei musicisti tra di loro è molto diverso da quello che succede in Italia, almeno nella mia esperienza. Qualcuno storcerà il naso sentendomi dire questo, ma secondo me è così: qui c’è  molto più rispetto tra musicisti e quelli meno bravi non vengono criticati, ma accolti, incoraggiati e spronati da quelli con più esperienza. Suonare in un ambiente amichevole e rilassato, essere a proprio agio, è fondamentale per un musicista. Non ha paura di sbagliare e libera la sua fantasia e creatività. Se sei a tuo agio riesci a fare cose che non riusciresti a fare altrimenti in situazioni di stress o in un ambiente ostile, specie se sei emotivo. Mi raccontava il mio amico compianto Stefano Cerri che nel tour Animation che fece con Jon Anderson in Nord America intorno al 1980, gli fu chiesto di fare dei cori, ma le note che doveva fare erano bel al di sopra delle sue possibilità. Ebbene, l'ambiente era talmente amichevole e stava talmente a suo agio che nel giro di pochi giorni riuscì a raggiungere quelle note che non avrebbe mai immaginato prima. I musicisti sono più aperti mentalmente e meno con la puzza sotto il naso. Si divertono, e non si vergognano di scherzare, insomma non fanno pesare il loro essere musicisti. Anche quelli più bravi, anzi, soprattutto loro. Questa è una cosa che mi piace molto del Canada e del Nord America in genere. Non so, quando ho lasciato l'Italia la situazione mi sembrava molto cupa e di casta. Mi ricordo locali jazz a Roma molto tristi, da farti venire la depressione. Magari è cambiato, sono 16 anni che vivo qui ormai. Un altro motivo che aiuta a far emergere musicisti e i gruppi è proprio suonare dal vivo. Prendi un gruppo di giovani che vogliono iniziare: cominciano andando nei locali meno importanti, magari proponendosi gratis. Se sono bravi, la gente chiede al locale di richiamarli, e la settimana dopo c’è più gente e magari il locale li paga un pò. Più gente va, più acquistano valore commerciale e sono richiesti. Ed ecco che possono andare nel locale più importante la settimana dopo, e iniziare la scalata. Non è come in Italia, dove vai per conoscenze, è' come si vede nei vecchi film americani degli anni ’40: “Vediamoci al locale tot, stasera suona un gruppo interessante!”. Un'altra cosa che aiuta la musica è il fatto che qui c’è poca pirateria. Il pubblico, le persone sanno che i musicisti vivono di quello, e non hanno problemi a comprare un CD. La gente compra e spende. Non per buttare soldi, ma perché sono consapevoli che stanno usufruendo di un prodotto su cui hanno lavorato molte persone, ed è giusto che si paghi. Quando mi sono trasferito qui alcuni amici hanno sentito un CD che avevo e hanno chiesto cos'era. Io ho detto che potevo fare una copia, e loro sorpresi hanno chiesto:  "Perchè? Ho i soldi per andarlo a comprare!".
Sembra che io stia parlando male dell'Italia e facendo pubblicità al nordamerica, ma non so come spiegare, è proprio così, è questione di mentalità e quella non si cambia con le leggi. Se uno non viene qui, vive qui per qualche anno, non può capire, anzi, quando racconto queste cose mi dicono che esagero, quindi normalmente evito.

Che cosa hai pianificato per il tuo futuro prossimo, restando in tema “Musica”?

In questo momento sono al 100% dedicato alla realizzazione del nuovo disco dei Goblin (sempre che non ci spariamo prima e il tutto si concluda con un nulla di fatto visti i nostri caratterini non sempre compatibili che hanno portato a scissioni furiose in passato). Per questo disco, oltre al lato musicale, mi occupo anche di altre cose, tipo copertina, grafica, produzione merchandising, pianificazione, coordinamento, insomma, non mi rimane molto tempo per dedicarmi ad altro almeno fino a Febbraio. Subito dopo, probabilmente ricominceremo a viaggiare come al solito. Per presentare il nuovo album, con i Goblin organizzeremo concerti, e questo implica vederci per provare il nuovo spettacolo live, probabilmente a inizio primavera. Non abbiamo ancora un piano preciso del tour, ma probabilmente includerà date in Europa e US, e forse Giappone e Australia.
Nel frattempo, nei ritagli, inizierò a lavorare al mio prossimo album solista, che sarà la continuazione naturale di Creatures. Questa volta integrerò la musica con elementi di grafica 3D in mondi virtuali, con strumenti virtuali interattivi, un progetto basato su OpenSim a cui ho già iniziato a lavorare da un paio d'anni e che ho parzialmente presentato lo scorso luglio al festival Electric Eclectics, in Ontario.
Per un futuro più lontano, sto pensando a realizzare cose per orchestra. Niente di pianificato esattamente, ma l'idea è lì e la realizzerò di sicuro.


Note dal comunicato stampa…

Il 31 gennaio 2013 è stato pubblicato il primo album solista di Maurizio Guarini, intitolato ‘Creatures from a drawer’. Una uscita un po’ a sorpresa, anche se gli appassionati dei Goblin ben sapevano che il tastierista stava lavorando a questo progetto da alcuni anni.
‘Creatures from a drawer’ contiene 10 tracce (Dialogue, Gentle robbery, Solar channel, Aniens comma 21, So dark, Black dog, Beside the cathedral, Looking around, Magic tunnel, Lost my camera) per una durata complessiva di circa cinquanta minuti e Guarini, oltre che delle tastiere, si è occupato anche di basso e percussioni, dei missaggi nonché della grafica assieme alla compagna Cinzia Cavalieri, già autrice dei testi di 'Volo' e qui presente anche come cantante in un paio di pezzi.
All’album hanno contribuito anche altri musicisti, tra cui spiccano il batterista Bob Scott ed il bassista Chris Gartner (già compagni di Guarini negli Orco Muto), il chitarrista Matt Campell e la contrabassista Brandi Disterheft. Il disco, registrato a Toronto, è stato prodotto dallo stesso Guarini.

Pubblicato il 15 apr 2013