Quando Luca Briccola mi ha proposto l’ascolto di “Many Meetings On A Blithe Journey”, un album uscito nel
2012, lo ha fatto con una certa cautela, inconsapevole dell’enorme piacere che
avrei tratto dall’ascolto. Il suo progetto, Trewa, è qualcosa di parallelo rispetto a
molti altri impegni, e a sentire il suo racconto tutto nacque per caso, quasi
per gioco, immaginando un bel cadeau natalizio per amici sensibili e virtuosi,
e scoprendo successivamente che quelle atmosfere fatte di neve, paesi nordici e
antichità, accostate alla ricerca progressiva, avevano suscitato enorme
interesse nei fruitori della Musica di qualità.
Luca si racconta da solo, pronto a
sviscerare il suo credo entrando nei dettagli di qualcosa difficilmente
spiegabile a parole. E allora non mi resta che provare a delineare le cose che
personalmente mi hanno colpito, e che rendono l’album qualcosa da cui non mi
separerò più, e saprò tirar fuori nelle occasioni particolari, quelle in cui ho
voglia di ritrovare la mia storia personale, fatta di musica e di vita vissuta.
Un flesh: ero molto giovane e per uno di
quegli strani e irrazionali motivi avevo metabolizzato la musica dei Jethro Tull, rendendola un modus
vivendi, appiccicando i singoli brani ad episodi del quotidiano. Ma la voglia
di scoprire qualcosa di ancora più sorprendente è umana, e quando in casa mia
entrarono i Focus pensai,
sbagliando, di aver toccato un nuovo limite.
Many Meetings On A Blithe Journey mi ha fatto lo stesso effetto, e
improvvisamente ho pensato di aver trovato qualche pezzo che mancava al mio mosaico.
Provo a spiegare.
Il mondo musicale è pieno di fantastica musica celtica, folk,
medioevale, rivisitata o tendente all’originale.
Il mondo musicale è pieno di fantastica musica progressiva, dai mille
rivoli, dai molteplici risvolti super tecnici, dalle armonie classiche, uniche,
complete.
La contaminazione tra i due cosmi descritti trova quasi sempre linee di
demarcazione che non vengono oltrepassate, per rispetto di un copione, per
pudore, per necessità di … mantenere le distanze, nonostante tutto.
Ciò che al contrario ho trovato nel progetto Trewa è la completa
intersezione dei generi, guidata da chi li ama profondamente senza distinzione
alcuna, e ciò che emerge è la sintesi di un modo espressivo diverso dalla
norma, che propone il feeling di luoghi e tempi antichi, ma caratterizzato da ritmi
dispari, contrappunti vocali e complessità di arrangiamento.
Questa potrebbe essere una strada per spiegare ai più giovani che tipo
di innovatori siano stati i Gentle Giant.
E così accanto al nuovo abito fornito a brani tradizionali (cinque) nascono
otto tracce nuovissime, che completano un quadro dalla realizzazione complessa,
ma dalla facile fruizione, che stimolano alla danza, all’ascolto attivo, alla
voglia di saperne di più.
Capita con una certa frequenza di trovare ospitate illustre nei nuovi
progetti, e spesso l’obiettivo è l’innalzamento della visibilità; ma c’è
qualcuno che vedrei tremendamente bene nel progetto Trewa, conoscendo la
sua filosofia di lavoro: mai fatto un pensierino su Maartin Allcock?
Grande, grandissimo album…
L’INTERVISTA
Mi
racconti qualcosa sul progetto “Trewa”?
Con piacere, il tutto nacque a seguito di un disco acustico che feci per il Dicembre del 2009 come regalo di Natale per i miei amici, (consuetudine che ho ripetuto anche l’anno scorso, ma a nome Takwin Process) nel quale andai a ripescare brani tradizionali medievali già riproposti da band come Pentangle e Fairport Convention, più un paio di brani miei ed altre cover che ricreassero un’atmosfera invernale “da camino”, infatti il disco lo chiamai “At The Firelight”. All’epoca suonavo nella Celtic Harp Orchestra e coinvolsi nelle registrazioni Marco Carenzio (voce), Filippo Pedretti (violino) e Sabrina Noseda (arpa e voce), tutti compagni dell’ensemble. Lo lasciammo in download gratuito tramite il mio sito personale per svariati mesi e scoprimmo con piacere che a metà 2010 era stato scaricato circa 2000 volte. Visto l’interesse e la positiva accoglienza, benché fosse stato registrato in un paio di settimane senza un adeguata preparazione dei brani, decidemmo di lavorare su un vero e proprio LP, “Many Meetings On A Blithe Journey”, che contenesse più brani originali, e così nacque il progetto Trewa, che prende il nome dal possibile toponimo longobardo della frazione di Trevano dove abito e dove si svolse tutta la creazione e registrazione di questi dischi.
L’album
di cui parli, “Many Meetings On A
Blithe Journey”, riprende la musica popolare medioevale e la
trasforma utilizzando le linee prog: da dove nasce l’idea?
Come avevo già accennato, nel 2009 facevo ancora parte della
Celtic Harp Orchestra con la quale suonavamo brani folkloristici in atmosfera
classica e molto elegante, parallelamente suonavo anche nei Como Lake Rovers,
un gruppo punk-folk che anche senza una gran cura della tecnica riusciva
comunque a divertire e a smuovere la gente ai concerti grazie alla ritmica ed
alla semplicità delle linee. Quindi il mio primo obiettivo fu quello di cercare
di unire l’eleganza e la tecnica con ritmiche più “danzerecce” e linee di
facile assimilazione, in più le mie radici musicali affondano proprio nel prog,
quindi è stata una conseguenza quasi obbligata. La scelta dei cinque brani
tradizionali fu dettata proprio dal mio passato musicale, John Barleycorn dai
Traffic, Matty Groves dai Fairport Convention, Wedding Dress e Once I Had A
Sweetheart dai Pentangle, mentre il quinto brano è un medley di una danza
bretone con una reel irlandese. Di questi ovviamente non volevo proporre una
semplice cover delle versioni preesistenti, quindi cercai di arrangiarli con
qualche stravaganza, come per John Barleycorn, dove scrissi sulla versione di
Steve Winwood un contrappunto a due voci più simile ad una versione
seicentesca. Presi questi brani come linee guida per gli altri otto brani che
andai a comporre, cercando di dare all’intero disco un senso di unità ed
uniformità puntando ad un’atmosfera acustica, calda e tranquilla anche se
giocando su atmosfere folkloristiche disparate. Premesso questo, il mio intento
era sempre stato quello di fare un vero e proprio disco prog anche se per i canoni
attuali lo sfoggio della tecnica risulta un po’ più velato dalla scelta di
linee più pulite ed orecchiabili e da un uso molto moderato delle tastiere.
Qual
è il lato più affascinante dell’opera di fusione di questi generi?
Bella domanda, sicuramente la riscoperta di musiche dal passato
e la sfida nel cercare di integrarle in un’idea musicale attuale, e poi a mio
avviso la possibilità di sperimentare veramente a 360°, andare alla ricerca di
antiche linee melodiche od armonie di 500-800 anni fa per trarne spunto da
integrare con ritmiche moderne. Forse è proprio la libertà di muoversi fra i
generi e la storia.
Il
disco è stato rilasciato nel 2012: ci sarà un seguito sulle linee guida già
tracciate?
Sì e no, nel senso che stiamo registrando contemporaneamente sia
un EP che il nostro terzo LP, ma che in realtà saranno ben diversi da “Many Meetings…” che era prettamente un
album acustico. Questi nuovi lavori saranno molto più grintosi rispetto a “Many Meetings…”, per certi versi anche
quasi metal, ma sempre su base folk e con strutture progressive. L’EP che spero
di rilasciare gratuitamente entro la fine di quest’estate, sarà un insieme di
brani che ho riscritto da zero partendo da temi tradizionali rivisitati in
contesti completamente opposti, ad esempio un brano sarà la fusione di un tema
irlandese con una ritmica rockabilly, mentre un altro sarà un brano quasi
funky-jazz costruito su di un tema klezmer. LP invece vedrà la luce spero
l’anno prossimo, visto l’enorme mole di lavoro che sta richiedendo, si tratta
infatti di un vero e proprio concept prog legato alle leggende del territorio
comasco. Spero sarà un’interessante sorpresa per tutti.
Che
cosa accade quando proponete la vostra musica dal vivo?
Con questo progetto suoniamo dal vivo solo da un anno, ma
abbiamo già avuto un’ottima risposta e partecipazione dal pubblico. Ovviamente
il nostro obiettivo ai concerti è far divertire e smuovere la gente, quindi i
brani che riproponiamo live sono diversi dalla versione acustica di “Many Meetings…”. In genere riusciamo
bene nel nostro intento dato che siamo tutti musicisti con una buona esperienza
live maturata in molti contesti diversi. Di fatto durante le registrazioni
dell’album, nel progetto erano coinvolti solo Filippo Predretti al violino e
Marco Carenzio alla voce, quindi reclutai Mirko Soncini alla batteria con cui
ho suonato in svariati gruppi sin dai tempi della scuola, per lo più metal,
Joseph Galvan già mio compagno decennale di un altro mio progetto prog metal, e
infine chiamai Serena Bossi alla voce che però oltre al disco partecipò poco
hai live, ed inseguito al suo ritiro coinvolsi Lucia Emmanueli che conobbi
l’anno scorso durante le registrazioni del disco regalo di Natale. Quasi tutti
siamo cresciuti nel metal e proprio grazie a questa formazione riusciamo a dare
una buona spinta hai brani ed il pubblico risponde con molto interesse alla
cosa.
Considerata
la vostra conoscenza e passione per generi abbastanza lontani tra loro, mi
incuriosisce apprendere quali sono le vostre fonti, i “maestri” che in qualche
modo vi hanno indicato la strada.
A livello personale siamo tutti e sei decisamente onnivori da un
punto di vista musicale, e spaziamo veramente per ogni genere, quindi gli
spunti arrivano davvero da ogni direzione, ma per quanto riguarda il progetto
Trewa sicuramente hanno avuto una grande influenza i Pentangle, i Fairport
Convention, i Gentle Giant ed ovviamente i Jethro Tull come maestri, ma anche
molta musica metal, classica e chiaramente folk di tutto il mondo.
Un
ultima domanda; ci si aspetta sempre di trovare dietro l’angolo una musica
nuova, un movimento sonoro soddisfacente su cui tuffarsi, almeno per un po’.
Come vedi il futuro della Musica, sia dal punto di vista della creazione che da
quello della diffusione?
Triste a dirsi, ma dal punto di vista della creazione credo sia
già stato fatto praticamente tutto. A meno di scrivere musica atonale e
cacofonica, qualsiasi melodia sarà sempre un richiamo ad una già esistente,
anche se involontariamente è una conseguenza inevitabile usando la scala
temperata occidentale. L’unica cosa che ci rimane è di giocare su accostamenti
di generi diversi fra loro, un po’ come succede in cucina coi sapori, e tal
volta in mezzo a tante bizzarrie ne esce anche qualcosa di interessante.
Comporre musica richiede lo stesso processo della stesura di un libro, ed
avendo alle spalle secoli di precedenti esistenti, nessuno credo abbia più la
presunzione di poter affermare di creare qualcosa di effettivamente nuovo e mai
sentito prima. Riguardo alla diffusione, non credo che ci sarà un cambiamento
sostanziale rispetto a quello a cui stiamo già assistendo, la musica è ovunque
e per la maggior parte è indipendente da etichette discografiche. La sfida
forse per il futuro sarà di rendere ancora più accessibile tutta quella musica
indipendente ed underground di qualità, che non si conosce ma che c’è. E’ un
processo in atto dai tempi di myspace e che continua ancora oggi con
facebook/soundcloud/reverbnation etc, in più con la possibilità di vendere
anche da indipendente gli mp3 su itunes/amazon/spotify, cosa che fino a qualche
anno fare era difficile.
LINK UTILI
https://soundcloud.com/mentalchemyrecords/aelfgifus-heritage http://www.youtube.com/watch?v=oH-MSq9ayl8
LINE UP
Luca Briccola: guitars, bass, keyboards, flute, percussion & vocals
Marco
Carenzio: vocals, acoustic guitars & harp
Filippo
Pedretti: violin & backing vocals
Mirko Soncini: drums & backing vocals
Serena “esSere” Bossi: vocals
Joseph Galvan: bass