martedì 11 febbraio 2014

Ranj-Viaggio Notturno


Ogni giorno si impara qualcosa di nuovo, e la maturità non rappresenta una patente di conoscenza assoluta, anche se, in questo caso, parliamo di musica, cioè della “materia” di cui mi occupo quotidianamente.
Ecco… la musica dei Ranj può essere afferrata in due modi: il primo prevede il “lasciarsi andare”, reagire agli stimoli senza porsi troppe domande, e godere di un mondo musicale originale. Oppure… si può cercare di capire, di approfondire, di scovare gli angoli bui, e in quel caso si imparerà qualcosa, entrando in un meccanismo che accomuna sempre i musicofili curiosi - l’effetto domino. Conosco ben poco del mondo indiano, delle sue regole e forme espressive, e quindi la lunga intervista che i Ranj mi hanno rilasciato diventa un documento didattico e al contempo spiega nei dettagli i contenuti del loro nuovo album, la loro filosofia di vita e l’idea di creazione musicale.
Provo a semplificare… alla base del progetto - nato nel 2008 nella zona di Verona - l’amore per il mondo indiano, studiato e vissuto in prima persona, che unito al credo rock crea una miscela che probabilmente non ha eguali nel mondo; sto provando a disegnare l’immagine di una band che utilizza riferimenti - ritmici e armonici - non occidentali (e che quindi non fanno parte di una cultura di base) a cui vengono associati modelli musicali più usuali.
Ma parlare solo di musica è limitativo.
Misticismo, poesia, intrecci letterari tra mondo indiano e britannico, storie personali che portano alla creazione di un album dal titolo Viaggio Notturno, dieci tracce che raccontano della trasformazione nel tempo, dei cambiamenti di cui noi e i nostri affetti siamo protagonisti, delle mutazioni che avvengono mentre proseguiamo il nostro cammino, dei nostri lunghi percorsi - anche se siamo chiusi tra quattro mura.
Ma ogni azione è osservata, forse guidata, da chi ha la possibilità del controllo totale, trovandosi in una posizione di assoluto privilegio: la Luna, con cui possiamo dialogare o semplicemente chiedere conforto, senza essere certi della risposta, che sarà reazione ai nostri atti.

Ranj è la radice di una parola sanskrita che significa “tingere”, “colorare”. Si trova per la prima volta associata a un ambito musicale in un trattato indiano del VII secolo d.C. nella descrizione della forma musicale più importante indiana, il rāga. Quest’ultimo, secondo il trattato, avrebbe lo scopo di “tingere la mente dell’ascoltatore e di fermarne il vorticare dei pensieri” con una valenza salvifica”.

Il “colore” che la band riesce a dare è arte pura, che supera il concetto di musica da mero ascolto per trasformarsi in divulgazione culturale, che appare gradevole, perché piacevole è l’impatto e, per tornare alle righe iniziali, la si potrebbe vivere, anche, senza tante spiegazioni.

Viaggio Notturno è un gioiello che credo vada vissuto, soprattutto, su di un palco, quando il coinvolgimento diventa spettacolo, e la musica può avvolgere chi la propone e chi la riceve, tra strumenti tradizionali e sitar elettrico - di produzione propria!
L’intervista a seguire e le note ufficiali reperibili nel sito di riferimento risulteranno elementi esaustivi, mentre il video Ayi Giri Nandini sintetizzerà, meglio delle mie parole, la innovativa musica dei Ranj.


L’INTERVISTA

Chi sono i Ranj? Un po’ di storia della band e dei suoi componenti…

Ognuno di noi proviene da ascolti ed esperienze musicali differenti: c’è chi ha maturato in vario modo esperienze nel jazz, nel rock e nel pop. Abbiamo tutti studiato con qualcuno il nostro rispettivo strumento quasi fin da principio, non perché snobbiamo l’essere autodidatti, ma perché è semplicemente andata così. Andrea F. (chitarrista, sitarista e principale compositore dei brani e dei testi, nonché il fondatore del progetto), è profondamente immerso nel mondo della cultura indiana da diversi anni, ma anche Simona (la cantante) se ne è innamorata per conto suo ben prima di stabilirsi in Italia dalla Lituania qualche anno fa (proprio dopo alcuni viaggi in India). Non si tratta quindi certo di un progetto elaborato a tavolino; la band è emersa nel 2008 in maniera naturale e disinteressata durante il percorso di vita dei suoi fondatori, che in principio erano tutti studenti di musica indiana a Vicenza. Metà della formazione attuale si è fatta invece catturare ben volentieri dal progetto perché incuriosita e affascinata da tale forma musicale, e a maggior ragione da questo interessante tentativo di ibridazione con generi squisitamente occidentali e “ruvidi” come lo stoner e il grunge rock (altra grande passione di Andrea F., ma apprezzati anche da tutti gli altri).

Vi definite una “band unica nel panorama nazionale”: a cosa attribuite questa diversità/originalità?

Non è questione di megalomania, lo diciamo con serenità perché nel nostro caso è con tutta probabilità un semplice dato di fatto (oltre ad esserci forse persino gli estremi per aggiungere il prefisso “inter-” a “nazionale”). Già avvicinarsi al mondo della musica classica indiana da parte di musicisti non indiani non è comune (il Conservatorio di Vicenza già menzionato è ed esempio l’unico l’Italia e uno dei pochi in Europa ad avere un dipartimento specialistico in tal senso), ma il decidere di andare oltre a certe riverenze tradizionali e accademiche cimentandosi in un esperimento di questo tipo (con tutti i rischi connessi), non può che generare qualcosa, se non di unico, di assolutamente particolare. Mentre riguardo altri aspetti quali tecnica esecutiva, arrangiamenti e presenza scenica ci poniamo al livello di qualsiasi altra band che abbia voglia di fare le cose in un certo modo, consci del fatto che non si finisce mai di crescere.

Siete giunti al secondo album: esiste un legame, un’evoluzione tra il precedente lavoro e quello nuovo?

RANJ è un progetto musicale e artistico che si fa portavoce di una sorta di “manifesto”. Questo riguarda il modo di comporre la musica, ma anche la ricerca linguistica e testuale. Da questo punto di vista il secondo album è senz'altro una continuazione del primo, “RANJ_2009”. Ci basiamo sull'utilizzo delle regole della musica colta dell'India del Nord per comporre sia il ritmo che le parti melodiche, mentre per quanto riguarda i testi vi è una ricerca che si spinge nella poesia mistica indiana ed europea, con riferimenti a Mira Bhai (poetessa del XVI sec.) e a Rabindranath Tagore (m. 1946), ma anche a William Blake e a Shakespeare. Rispetto al primo album, il secondo è più omogeneo per testi e musica. Il primo è stato scritto di getto e registrato in pochissimo tempo e soffre di una dicotomia tra la prima parte, più hard rock, e la seconda parte, più acustica e vicina al mondo indiano.

E’ da poco uscito “Viaggio Notturno”: mi raccontate qualcosa sui contenuti e sulla musica che realizzate?

Viaggio Notturno” è la metafora di una trasformazione. Non riguarda necessariamente un solo eroe o una sola eroina come nel romanzo classico. Sono storie ambientate nella notte, con protagoniste quasi sempre figure femminili alla ricerca di una via di uscita, rappresentata a volte da un uomo, altre da un desiderio di emancipazione o ancora dalla ricerca dell'Assoluto. La Luna è quasi sempre presente nei brani di questo album: una Dea ora compassionevole, ora capricciosa, misteriosa, impenetrabile, pericolosa come gli Abissi. L'inganno nella comunicazione tra i due sessi è sempre in agguato. Quasi sempre i personaggi di queste storie sono vittime più o meno inconsapevoli delle loro stesse insicurezze e ambiguità. Dal punto di vista musicale abbiamo cercato di creare un collegamento timbrico più omogeneo tra i brani rispetto all'album precedente pur mantenendo le caratteristiche del “combo” (chitarra, basso, batteria e voce). Gli strumenti occidentali sono infatti al servizio delle regole della musica indostana. Stiamo ancora lavorando sui suoni e la nostra ricerca prosegue nella direzione di creare strumenti nuovi o ibridarli con gli esistenti. Il sitar elettrico (inventato e costruito dal chitarrista e sitarista) è un prototipo e, almeno per ora, un unicum. Percussioni e bassi sono la nostra prossima mossa. La voce viene trattata spesso come uno strumento musicale aggiunto. L'esposizione del canto è più vicina alla tradizione del dhrupad indiano che a quella di uno stile tipico della musica rock.

Musica e liriche: quanto pesa il messaggio nella vostra proposta?

Nella nostra visione i testi sono appunto al servizio della musica e non viceversa. Crediamo che questo aspetto non sia necessariamente legato al mondo indiano. La ricerca del Suono è indispensabile, non solo del suono di una chitarra o di un basso, ma anche della parola. Da questo punto di vista i testi assomigliano di più a dei mantra piuttosto che a delle cronache o delle narrazioni. La nostra strada ci porta quindi verso una rarefazione della parola in favore del suono e i movimenti letterari ermetici rimangono una grande fonte di ispirazione. In questo senso, la poesia mistica dei già citati Mira e Tagore ci hanno influenzato al pari dei versi profetici di Blake o al gusto per il gioco di parole di Shakespeare.

Possiamo tornare sul mondo indiano, e sul vostro innamoramento musicale?

Come detto all’inizio, in principio la formazione era totalmente costituita da studenti del dipartimento di musica indiana del Conservatorio di Vicenza. Due membri su quattro avevano già viaggiato in oriente, e tutti erano uniti da una forte passione per la cultura e la letteratura dell'India. La musica che viene da laggiù è quasi esclusivamente improvvisazione che muove da poche semplici regole. Solo il jazz le si avvicina vagamente, e in entrambi i casi si può sperimentare un sano godimento di libertà. Dopo averla studiata sugli strumenti classici, ci è venuta voglia di “travasarla” dentro un contenitore d’eccezione: il rock. Crediamo che quest’ultimo sia un incubatore perfetto per poter elaborare e sperimentare, quasi come una sorta di laboratorio in cui è più facile accettare e far accettare le mutazioni. 

Ayi Giri Nandini, il singolo tratto dal disco, ha già raggiunti elevate visualizzazioni su youtube: sorpresa o reazione attesa?

Alcune sponsorizzazioni e il lavoro promozionale svolto dall’etichetta hanno giovato enormemente. Abbiamo da subito deciso di puntare su questa canzone per via della ritmica trascinante e delle melodie semplici ma stranianti al tempo stesso. Il fatto che il testo sia in sanscrito rende il tutto ancor più misterioso ed intrigante. È stato divertente vedere destreggiarsi coi mudra indiani tutti gli amici che hanno deciso di prestarsi come comparse per le riprese. Cogliamo l’occasione per salutarli e ringraziarli tutti.  

Cosa accade nei vostri live?

Un lungo suono continuo ribolle in sottofondo: è il bordone prodotto dal tanpura elettronico. Dei fiori si arrampicano sull’asta del microfono. Si intravedono già i riflessi dei vestiti di qualcuno, mentre dei ghungroo risuonano tintinnando ad ogni passo. Due jack, uno dopo l’altro, vengono accolti con uno scatto nelle loro rispettive sedi...e si parte! Tala indiani sulla batteria, Rāga su basso e chitarra, cicli microtonali, attacchi metal e cantato dhrupad...tutto in uno. Per uno spettacolo che ci auguriamo essere in grado di rapire e regalare momenti di puro sincretismo artistico e culturale.

Ed ora… cosa potrebbe accadere nell’immediato futuro?

Ehm... chi lo sa? Stiamo cercando di farci conoscere in diversi modi. Ci piacerebbe trovare molte belle occasioni per suonare, ma i tempi non sembrano felicissimi. Per il momento abbiamo deciso di arrangiarci in larga parte per quanto riguarda la promozione e il booking, ma l’offerta è ormai sterminata e il tempo che certe persone sono disposte a dedicare per l’ascolto e la selezione pare essersi assottigliato a livelli proibitivi. La nostra è senz’altro una proposta ardita e dal punto di vista di alcuni magari persino superflua. Del resto non cantiamo di amore, di crisi, di casse integrazioni, di laureati senza lavoro, della desolazione dei vicoli e delle periferie italiane, della gioventù contemporanea, di ingerenze clericali, della decadenza della società occidentale, di miserabili che si riscattano, di LGBT, delle sigarette e di altri vizi figli della noia. Nella musica italiana dal dopoguerra il filone cantautorale è stato preponderante e i testi hanno sempre avuto un’importanza cruciale: nell’Italia di oggi (e forse anche un po’ di ieri) i temi come quelli elencati parrebbero essere, probabilmente a ragione, tra quelli più pressanti in assoluto. In questo contesto la nostra proposta ha e continuerà ad avere tutte le carte in regola per essere snobbata, perché fondamentalmente parliamo d’altro. Di qualcosa che parrebbe lontano, ma che in realtà non lo è più di tanto. Mettici anche il caso dei marò, e il gioco è fatto...! Battute a parte, non demordiamo e continueremo a fare quello che più ci piace al meglio delle nostre possibilità. Manifestando volentieri la nostra riconoscenza nei confronti di tutti quelli che, come te, avranno voglia di darci spazio. 


Line Up:

Simona Chalikovaite - voce ed effetti
Andrea Ferigo - chitarra elettrica, loops e sitar elettrico
Vanessa Portioli - basso elettrico
Andrea Sbrogio - batteria

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