Articolo tratto da MAT2020.
Non
sono capace. Non sono in grado. Una delle cose che più apprezzo in
una persona è quando sa riconoscere i propri limiti, quindi il primo
a saperlo fare devo essere proprio io. E questo è uno di quei casi.
Non ho le conoscenze, le competenze, un adeguato background. Sono
sempre stato un feroce divoratore di hard rock, fedele alla Sacra
Trinità chitarra-basso-batteria. Il mio corpo negli anni è stato
attraversato mille volte dall’elettroshock delle chitarre di Page,
Hendrix, Townshend e simili induttori di convulsioni e ora questo.
Come si fa, come diavolo si fa! Calma. Ragioniamo. Intanto potrei
iniziare con l’ascoltare. Allora ascolto. Il brano è D’Amore
e Altri Tormenti ed è scarpetta nel sugo del jazz. Inizia con
discrezione la batteria di Max Govoni, già collaboratore, tra gli
altri, dell’orchestra ritmico-sinfonica diretta da Ennio Morricone,
a cui si vanno presto ad aggiungere il sax di Emiliano Vernizzi, che
si porta dietro un lungo elenco di importanti collaborazioni (Bobby
Durham, Paul Jeffrey, Gianni Cazzola, Steve Grossman, Franco e
Stefano Cerri ed altri) e il piano del talentuoso Leonardo Caligiuri
sul letto di basso di Valerio Venturi, che preparano il terreno alla
semina vocale di Gianni Venturi. Manca solo il violino di Gabriele
Toscani, che calcherà il proscenio più avanti e poi ci sono tutti.
Loro sono gli Altare Thotemico, gruppo della prolifica Emilia,
che dopo quattro anni dal omonimo album d’esordio, con cui
conquistano buona fama nel mondo del progressive italiano, ci
raccontano in musica la proiezione onirica di Sogno Errando,
dove il pur ampio abito progressive diventa stretto e viene ricucito
con… con… con un sacco di cose! Jazz, fusion, psichedelica, RIO,
ma nessun nome, nessun genere rende giustizia ad un opera che sembra
avere più diramazioni di un apparato circolatorio. Lo stesso
vocalist Gianni Venturi ha dichiarato in un intervista di qualche
tempo fa:
«Noi
siamo quel che siamo, diversi da ieri e da domani, nessun disco ci
rappresenterà mai veramente, perché nel momento che l’avremo
finito saremo già cambiati! […]Una volta non c’erano
tante distinzioni, sono nate oggi, una volta si suonava, non credo
che i Genesis si chiedessero: ‘Chi siamo?’ E sopratutto non credo
si chiedessero: ‘Che cosa stiamo suonando?’» e quindi ancora
i miei dubbi sulle mie capacità e competenze si ripresentano come
peperonata nella notte. Calma. Ascolto ancora. La trama iniziale di
Le Correnti Sotterranee è intensa, fitta, hitchcockiana, ma
diviene poi mutevole, ingannevole. Come un camaleonte, cambia colore
della pelle in base all’atmosfera di fondo, dettata ora dalla voce,
ora dal sax, ora dal piano, per abbandonarsi poi a digressioni
ritmiche e sinfoniche proprie, qui sì, del progressive. È come
attraversare un bosco fitto dove il sole fatica a farsi vedere, ma è
solo uno dei panorami che si incontrano nel cammino, perché nel
bagliore di un attimo i vocalizzi di Gianni Venturi e il violino di
Gabriele Toscani ci teletrasportano in un mercato arabo, inebriati di
odori di spezie orientali e sedotti da cobra sinuosi che fanno
capolino dalle loro ceste, ammaliati dai movimenti dell’incantatore.
E poi arrivo al terzo brano, Petali Sognanti e i miei limiti
diventano quasi bastoncini fosforescenti nella notte. Piantala lì,
non sei in grado, mi vien voglia di dire. Ma ascolto ancora, sono
testardo, ho sangue calabrese nelle vene. È un brano visionario, un’
allucinazione lisergica alla Burroughs, dove il paranoico martellare
delle percussioni accompagna distorsioni sonore e vocalizzi che si
dispiegano in un testo surreale, fatto di frasi sconnesse senza un
senso apparente, elementi che non lasciano scampo sullo stato
allucinato che i Thotemici stregoni d’Emilia trasmettono in questo
pezzo. Sono a metà album e inizio ad avere una nuova consapevolezza.
Magari non come Paolo sulla via di Damasco, ma l’ansia da
prestazione dettata dai miei limiti sta lentamente lasciando spazio
ad un nuovo impasto viscerale. Sto imparando. Più vado avanti
nell’ascolto e più mi rendo conto che le visioni sonore di Sogno
Errando fertilizzano conoscenze a cui credevo di non poter
ambire. Ormai non ascolto più, ci sono dentro. I sedici minuti e
quarantasei secondi di Broken Heart non fanno altro che
confermare l’impermeabilità della bolla sonora in cui sono caduto.
Lo schema fatto di non-schema che si incontra in tutto l’album, qui
raggiunge la sua sublimazione e nella parte cantata le
sperimentazioni linguistiche e vocali di Gianni Venturi sembrano un
phon puntato sull’appannato specchio della routine canora e la voce
torna a riflettere l’anima. Gli strumenti danno nervose pennellate
al quadro d’insieme accendendo acide luci di psichedelica e di
chissà che altro. Forse a sproposito, ma non posso fare a meno di
pensare ai vecchi film in bianco e nero che Andy Warhol girava con la
sua cinepresa Bolex. Geniale e acida sperimentazione in entrambi i
casi. Vado avanti, ora con meno paura, mi sembra di iniziare a
capire. Arrivo a Porpora e l’inizio di piano da fumoso bar
mi riporta alla Berlin di Lou Reed. Ma il cielo sopra l’Emilia
di Altare Thotemico riprende subito il suo carattere di
fusione e sperimentazione di voce e suoni, che sembra tagliarti il
fiato e che sul finale si concede un’apparente normalizzazione
armonica grazie alla sviolinata di Gabriele Toscani. Violino che
segue l’apertura vocale della title track, penultimo pezzo
dell’album. Siamo verso la fine, ma i ragazzi non danno segno di
cedimento, un po’ come quando hai quella sensazione che se andiamo
ai supplementari vinciamo noi. Ormai hanno rotto il fiato. Rimbalzano
senza sosta dall’acidità del sax alla melodia del piano, dalle
sottolineature vocali e ritmiche alla fluidità del violino. Ma i
legacci della camicia di forza del buonsenso musicale vengono
definitivamente strappati con l’ultimo brano, Neuro Psycho
Killer. Sulle orme di Petali Sognanti, anche qui i ragazzi
sembrano essere caduti da piccoli nel pentolone dell’acido
lisergico, salvo poi indirizzare il tutto verso una melodia
coinvolgente, che accompagna chi ascolta sul sentiero di una tecnica
musicale sopraffina e ricca di estro. Chiudo ringraziando gli Altare
Thotemico. All’inizio avevo paura di non essere in grado di
affrontare un album concettuale come Sogno Errando, ma loro,
con la pazienza di un vecchio professore, con la loro tecnica, con la
loro voglia di esplorare, mi hanno insegnato che nella musica, come
nella vita, non bisogna vivere di certezze, perché la musica non è,
la musica diviene.