Foto di Antonio Scalise
Nei giorni 8 e 9 luglio, il Porto Antico di
Genova si tinge di Beatles,
attraverso una manifestazione denominata THE
BEATLES FEEST GENOVA.
La direzione artistica
di Mauro Sposito - come si vedrà
anche con altri ruoli - determina una kermesse carica di elementi variegati, con
lo scopo di ricordare, raccontare e celebrare il “mondo Beatles”, attraverso la
musica e le parole: conferenze, seminari, mostre, mercatini hanno dato il senso
della completezza, del trattamento dell’argomento utilizzando differenti mezzi
e punti di vista.
Mi limiterò a
raccontare ciò che ho potuto vivere personalmente, e cioè parte degli eventi della
seconda giornata, essenzialmente tutto ciò che è ruotato attorno al concerto
dei The
Beatbox.
Di loro sapevo ben
poco, anche se la lettura dei nomi della line up rappresentava garanzia di
qualità. E poi Alfio
Vitanza è il primo batterista in assoluto visto dal vivo, nel lontano ’72,
e la componente sentimentale ha il suo ruolo: allora erano i Latte e Miele -
prima dei VDGG - oggi i Beatles!
Il caldo incredibile
non ferma la circolazione umana, e nel percorso di avvicinamento verso lo
spazio concerti appare quasi obbligatorio soffermarsi davanti ad un palco dalla
locazione favorevole, dove tribute band si stanno esibendo con buon entusiasmo da
parte dei presenti: The Shout, Nowhere band e The Beagles. Li
ritroveremo sul palco maggiore.
L’interno
della struttura raccoglie la fantastica mostra All You Need is Paint,
curata da Silvia Chialli, che presenta
una raccolta di tele dedicate ai Fab Four, elemento visivo che colpisce all’impatto,
mentre è possibile venire a contatto con Beppe
Brocchetta, Presidente di Beatles Fan italiani, che propone il suo libro, Liverpool e il mito dei Beatles.
Ma ci sono altri
book - ed autori - che vengono sviscerati prima dell’atteso concerto: “Il Libro Bianco dei Beatles: la storia e le storie di tutte le
canzoni”, di Franco Zanetti, e “Il Caso del Doppio Beatle”, di Galuco Cartocci,
entrambi sul palco a partire dalle ore 21.
Per saperne di più:
Ecco una testimonianza della presenza on stage di Zanetti e Cartocci.
E dopo le parole arriva
lo spettacolo che… non ti aspetti.
L’ambiente è saturo, i
posti a sedere pressoché esauriti, e chi ha un po’ di abitudine alle
partecipazioni live sa che la parola sold out è qualcosa che ha a che vedere
con l’utopia.
Nessuna mia analisi
potrebbe fornire valore aggiunto all’argomento “Beatles”, ma il mio sentimento,
più volte espresso negli ultimi mesi, è che certe voglie di antico superino l’esigenza
di ancorarci al passato per fermare l’incedere del tempo, e si trasformino in
necessità di riscoprire la semplicità di giorni lontani, momenti sereni e carichi di speranze.
Certo, non è argomento espandibile a tutti, perché come sottolineava Sposito - non
solo Direttore Artistico, ma anche il John Lennon dei The Beatbox - l’audience
era formata da più generazioni, e osservare il labiale di adolescenti sincronizzati
sui testi poteva indurre a porsi qualche domanda.
In ogni caso i Beatles
non possono essere accantonati, e forse gli studi sociologici e i tentativi di
spiegare il fenomeno dovrebbero interrompersi davanti a delle belle canzoni, solo
belle canzoni, che ancora oggi ci accompagnano nella vita di tutti i giorni.
Osservare il palco
vuoto - di anime - fornisce molti indizi, perché gli amplificatori Vox presenti
fanno pensare ad una piena emulazione.
The Beatbox entrano in
scena ed è… un tuffo al cuore. Tutti i film in bianco e nero si materializzano
davanti a me, e mi ritrovo immerso in una atmosfera che ricordo pienamente, nonostante
fossi poco più che un bambino.
Stessi abiti - fatti confezionare
su misura - stessi strumenti, stessi capelli, fatto quest’ultimo determinante
per far tornare decisamente indietro le lancette del tempo.
Ma chi sono i The
Beatbox?
Se Mauro Sposito
è il Lennon della situazione e Alfio Vitanza
il Ringo Starr, Riccardo Bagnoli impersona Paul McCartney, mentre Guido Cinelli è un George
Harrison davvero credibile.
Il repertorio è
circoscritto al periodo ‘62/’66, quello definito prolifico dal punto di vista
live, e i “Baronetti” sciorinano una
serie di perle che tramortiscono gli spettatori.
Eccone alcune ordine sparso… Please
Please Me, Michelle, Can’t Buy my Love, Se Loves You, Love me do, Eight Days a
Week, A hard day’s night, Help, sino all’estremo bis Twist and Shout.
E’uno spettacolo molto
lungo quello dei The Beatbox, diviso in due tronconi che permettono una breve
sosta per il cambio d’abito e un minimo di idratazione.
La performance è
abbastanza complicata, perché la ricerca delle sonorità cammina in parallelo
con la necessità di imitare i comportamenti e il modo di porsi.
I sorrisi sui loro
volti, anche se appaiono spontanei, sono la riproposizione della serenità che
era palpabile negli originali, nel periodo iniziale, e nel filmato a seguire
alcuni dettagli appaiono godibili.
Tecnicamente
fantastici, i The Beatbox propongono in maniera precisa la “sezione Beatles”
più complicata, quella delle armonie vocali, arte di cui erano maestri, ma
anche dal punto dell’applicazione strumentale gli sforzi sono notevoli, e non
passa inosservato un Bagnoli/McCartney a inizio concerto mancino, e poi
improvvisamente destro quando imbraccia l’acustica, per diventare nella seconda
parte di concerto un bassista totalmente "dritto": miracoli fatti in un solo
mese!
Molto fedeli anche
Sposito e Cinelli: niente appare improvvisato.
Che dire di Vitanza…
un autorevole musicista genovese dice che “…”nessuno porta i tempi come Alfio…”, e lui si trasforma in un
incredibile Ringo, che conduce in porto la nave.
Dopo 2 ore di musica
il bis è richiesto a gran voce, ed è l’occasione per lo spostamento di tutti i
presenti verso il palco, in piedi, riproponendo in scala ridotta quella
partecipazione tipica di metà anni ’60.
Ma un bis non basta, e
nella finale Twist and Shout le cover
band di giornata si uniscono ai The Beatbox e la scena finale è davvero
emozionante.
A distanza di qualche ora
ho sentito il bisogno di ricercare in rete le fisionomie originali (le due che
non conosco) dei componenti la band, impulso arrivato e subito smarrito: tutto
sommato è bella l’illusione che sia in atto una continuità musicale e
culturale, e che i “figli” dei Beatles siano tra noi, più attivi che mai.
Un ringraziamento
personale alla parte di organizzazione che ho conosciuto, Mauro Sposito e Paola
Donati.