Stanley Kubrick e me
Trent’anni accanto a lui, rivelazioni e cronache inedite dell’assistente personale di un genio.
Descrivere il
contenuto di un libro cercando di fornire dettagli sull’iter realizzativo
diventa cosa agevole se si ha l’opportunità di conoscerne l’autore, e ancor
meglio se il dialogo si sviluppa con qualche
protagonista. Chiariamo. Sto parlando di “Stanley Kubrick e me”,
la storia di un genio assoluto raccontata dal suo uomo di fiducia, Emilio D’Alessandro,
italiano, di modeste origini, ma con qualcosa in più nel DNA… vedremo cosa.
Ho conosciuto Emilio, e
ovviamente anche il giovane Filippo Ulivieri, da anni depositario di “Archivio Kubrick” - ricercatore ma non uso
alla scrittura - che casualmente incoccia la strada di un ex pilota di Formula
Ford, un ometto abituato ai duelli con Fittipaldi e Hunt, diventato all’ inizio
degli anni 70 un dipendente di Stanley Kubrick… non uno qualsiasi, il factotum!
La storia in pillole.
Siamo negli anni
sessanta, Emilio D’Alessandro, di Montecassino, fugge dal luogo in cui presta
il servizio di leva, per lui insopportabile, e approda in Inghilterra. Non ha
avuto la possibilità di frequentare grandi scuole, ma ha il pallino della
meccanica ed un gran senso del dovere. Il suo sogno è quello di diventare
pilota di Formula Uno, e prosegue la gavetta con successo, utilizzando il tempo
libero lasciato dal lavoro.
Ha messo su famiglia
Emilio e non corre più alcun rischio, ora è cittadino inglese.
Il suo sogno
principale, diventare un professionista automobilistico, crolla quando perde il
lavoro. Giorni duri, ricchi di preoccupazioni, ma sono altri tempi, e con un
po’ di pazienza e spirito di sacrificio qualche cosa può nascere, e lui trova
impiego in una società di taxi, dedicata al settore cinematografico.
Sarà per effetto dei
suoi trasporti inappuntabili che Emilio arriverà ad una conoscenza per lui non
significativa, quella con Kubrick: “Piacere
io sono Stanley Kubrick…”, “Piacere io sono Emilio D’Alessandro”. Ma
per Emilio quel Kubrick è un uomo come tanti, forse un operaio, a giudicare dal
suo modo di vestirsi!
Un attimo di sosta.
Ho “fotografato”
Emilio D’Alessandro e ho visto in lui un concentrato di ottime qualità: serio,
lavoratore, amante della famiglia, leale, virtuoso moralmente e materialmente;
una figura che, nel lavoro e nella vita comune, si vorrebbe sempre trovare, e
non per sfruttare, ma per ricevere e dare aiuto. Non è l’unico sulla terra il
buon Emilio, fortunatamente, anche se obiettivamente costituisce merce rara.
Eppure è toccato a
lui, e il famoso luogo comune del trovarsi al posto giusto al momento giusto si
concretizza in questa storia, e mi auguro prosegua sul filone Kubrick con una
fetta di opportunità per Filippo Ulivieri, capace di descrivere in modo
perfetto un uomo di cui in realtà non si sapeva nulla… nulla di vero
relativamente alla sfera personale.
Leggendo il libro
viene la voglia di vederlo trasposto in pellicola, e pare che qualche interesse
attorno al progetto sia già in fase embrionale.
Una storia
straordinaria, una favola, che vede due protagonisti, due facce della stessa
medaglia, due uomini separati da tonnellate di cultura e migliaia di chilometri
di distanza, in perfetto equilibrio, in armonia, bisognosi l’uno dell’altro, e
mentre l’autista provetto Emilio evolve e diventa l’assistente personale, unico
ad aver accesso ad ogni luogo, Stanley molla gradualmente qualche ormeggio,
lasciando emergere lacune di ordine pratico, ma sicuro di avere affianco chi è
in grado di compensare per ogni mancanza o problema di varia grandezza.
Emilio vive il set di
grandi film, da Barry Lyndon a Shining, da Full Metal Jacket a Eyes Wide Shut (in cui ha una
piccola parte come edicolante e che uscirà solo dopo la morte di Kubrick), e in
questo movimento temporale presta la massacrante opera di uomo addetto ad ogni tipo
di problema (inizialmente in buona compagnia), senza rispetto degli orari e delle
regole sindacali, sempre pronto a guadagnarsi la giornata servendo un uomo
gentile di cui tutti conoscono solo il “sentito
dire”, molto lontano dalla verità. Nei viaggi di congiunzione tra l’aeroporto
e la casa di Stanley, Emilio trasporta ed entra in confidenza con persone
impaurite dall’imminente incontro con quell’uomo descritto come scontroso,
restio a coltivare rapporti umani. La realtà è ben diversa, ed Emilio cerca di
spiegare come stanno le cose… perché Stanley è un generoso, rigoroso e maniaco
sul lavoro, certo, ma amante della famiglia e, in modo quasi ossessivo, degli
animali. La meticolosità e l’assoluta mancanza di interesse nell’apparire in
pubblico hanno alimentato storie
distorte, ed Emilio fa fatica nel comprendere i colori grigi con cui viene
dipinto Stanley.
E’ un
mondo costituito da stelle di prima grandezza, uomini e donne che vivono nei
movie (anche se Emilio preferisce i film semplici e non vedrà mai quelli di
Kubrick in tempo reale), e che si chiamano Ryan O'Neal, Jack
Nicholson, Marisa Berenson, Tom
Cruise, Nicole Kidman, George Lucas, Steven Spielger, Sydney Pollack.
Tutte persone
che, per induzione, si fidano di lui, come fa Stanley.
Emilio sacrifica
ogni cosa, mentre Stanley pare non accorgersi delle esigenze degli uomini
comuni, che non chiedono più denaro di quello necessario, ma ambiscono ad un
po’ di tempo libero, a un po’ di privacy, ad una vita più regolare. Non c’è
egoismo o tirannia in tutto questo… “chiedimi
ciò che vuoi e te lo darò…”, solo cecità al cospetto delle normali esigenze
di vita.
Janette, la
moglie inglese di Emilio, protesta ma accetta, come solo una buona e paziente moglie
sa fare, e alla fine la sensazione è che le due famiglie, quella del genio e
quella del modesto emigrante, siano una cosa sola, che nemmeno la prematura
dipartita di Kubrick potrà dividere.
Che cosa rende
speciale Emilio agli occhi di Kubrick, infelice senza il suo assistente
accanto? E cosa rende unico Kubrick agli occhi Emilio, più addolorato per la
sua morte che per quella del padre?
Stanley è Emilio
che si guarda allo specchio, a volte si piace e a volte no, ma lo specchio non
mente, e lui non ha di che lamentarsi. Stanley è Emilio che si specchia
soddisfatto, anche se il corso della vita cambia l’aspetto e il modo di vedere
le cose.
Un perfetto
equilibrio nato chissà per quale strana alchimia, due amici, due fratelli, due
predestinati partiti da poli opposti e arrivati assieme alla meta, legati per
sempre da trent’anni passati in simbiosi.
Mi piace
immaginare i due protagonisti sdraiati su di un tappeto, al telefono con un
italiano illustre, Federico Fellini, con Emilio che ha il compito di tradurre
ogni parola… ore di dialoghi tra i due maestri. Non è da tutti.
Ciò che rimane, ciò che va detto e rimarcato, è che
il volere di Emilio D’Alessandro, il suo desiderio di ricordare Kubrick, non ha
niente a che vedere con l’aspetto commerciale, nessuna voglia di mettersi in
mostra ne di utilizzare i tanti cimeli, avuti in dono, per fare cassa.
L’obiettivo è uno solo, rendere omaggio all’amico di una vita e fornire la
corretta immagine di un uomo dipinto in molti modi, ma sempre con le stesse
errate tinte, e soprattutto da chi non l’ha conosciuto, se non superficialmente
o per esclusivi motivi di lavoro.
Per trovare le giuste proporzioni serviva il buon
Emilio, chi poteva riuscirci se non lui!?
Book Trailer