Da circa 39 anni non vedevo Franco Battiato dal vivo.
A quell’epoca ero in piena adolescenza, tendente all’hippy, e
l’occasione fu un festival alla “Woodstock”,
ma ad Altare, nell’entroterra ligure; due giorni all’aria aperta, 48 ore che
terminarono mentre Battiato era intento a far esplodere suoni che all’epoca
erano per me incomprensibili, e mentre i miei genitori mi riportavano all’ovile
tiravo un sospiro di sollievo. Non era la musica di Battiato la vera causa del
mio malessere, ma il disagio che avevo provato coincideva con una performance a
cui non ero preparato, e l’intransigenza tipica della gioventù mi aveva portato
a bocciare la mezz’ora di suoni a cui avevo assistito.
E’ un uomo profondamente diverso quello che ho trovato il 9 febbraio
al Teatro Carlo
Felice di Genova, un musicista che in questi
anni ho sempre seguito con piacere, toccato e incuriosito dalla sua musica, dal
suo pensiero e dal suo modo essere artista.
Sono evidentemente in molti quelli che la pensano come me, ed
in un momento socialmente così difficile, dove le risorse mancano e il
morale delle truppe ha toccato il punto,
probabilmente, storicamente più basso, trovare un luogo da 2000 posti strapieno
ha un significato ben preciso, e forse due ore di buona musica, in compagnia
del giusto artista, possono essere una fonte di sollievo e una spinta verso la
riflessione.
Apre il concerto Giovanni
Caccamo, un giovanissimo musicista siciliano capitato più o meno
casualmente sulla strada di Battiato - che ne ha immediatamente intuito la genuina
potenzialità - e che nell’occasione
presenta quattro brani, due accompagnandosi al pianoforte.
Una novità per l’attento pubblico, che dimostra di apprezzare
le tematiche esistenzialiste di Caccamo, e accetta incondizionatamente, per
induzione, una proposta che appare comunque interessante, sia per contenuti che
per il modo di proporli:
Il tour di Battiato consente la presentazione del nuovo
album, il ventottesimo, “Apriti Sesamo”, e i brani che lo compongono sono quelli della prima parte di spettacolo.
Ciò che viene messo in scena è il sunto di una vita, l’intera
evoluzione raccontata attraverso canzoni storiche. Ognuno può scegliere,
interpretare, giudicare, e non c’è bisogno di far parte dello zoccolo duro, quello
dei fan irriducibili, per arrivare a graduatorie universali.
Franco Battiato è una figura mistica e… terribilmente
terrena, materia e spirito, preghiera e rivoluzione.
I primi quarantacinque minuti lo vedono cantare seduto, quasi immobile, con le sole
mani ad accompagnarsi, guidando un ensemble musicale di primo ordine (nel filmato a fine post è lo stesso Battiato a presentarlo), dove gli
strumenti tradizionali si sommano ad un quartetto d’archi, e dove le tastiere
interagiscono con gli ordinatori.
Il tappeto orientale su cui è seduto contribuisce a
illuminare il dettaglio, un uomo saggio che entra in piena sintonia col
pubblico e cerca di trasmettere i suoi valori, il suo credo, e qualche
spiegazione a tutto ciò che trascende. E’ un lungo momento di intimità, e
creare un magico e silenzioso attimo di estrema sintonia, di corrispondenza
totale tra le parti, appare fatto difficilmente spiegabile con le sole parole.
Questo è l’ultimo Battiato, quello che sciorina i brani del
nuovo disco, pieno zeppo di pulsante cultura, mentre sullo sfondo scorrono
immagini suggestive.
Sembra quasi inchiodato nella sua posizione meditativa,
mentre il cambio di marcia è in arrivo. Non è meglio, non è peggio, ma è tutta
un’altra cosa, perché il Battiato che si alza e si avvicina al suo pubblico
ballando e toccando ogni mano possibile, suscita entusiasmo. L’austero Teatro
perde la razionalità e si avvicina al suo beniamino, mentre passano uno dopo
l’altro “Bandiera Bianca”,“Up Patriots to Arms”, “L’era del cinghiale bianco”,
“Voglio vederti Danzare”, “Cuccurucucu”, dopo che anche “La Cura” e “La
stagione dell’amore” hanno colpito mente e cuore.
Battiato cambia volto, e
nell’entusiastico incontro col pubblico ritrovo il vero, l’unico significato di
“evento live”.
Il bis regala il terzo lato del
triangolo serale, e il medley anni ’70 - una precisa volontà dei fan - mi
riporta a quell’antica serata di tanti anni fa, descritta all’inizio, e questa
volta i suoni di Battiato non sono per me “ostili”.
Ancora un
sassolino da levare dalla scarpa, e “Inneres Auge” trancia un giudizio netto e
applaudito sulla nostra classe politica:
Una grande
emozione Monsieur Battiato!