Samuele Magro è un giovane che ho conosciuto casualmente, a
Cuneo, nel corso della presentazione del book “Cosa resterà di me?”. Era aprile… mi pare.
Tutti in piedi in una
location particolare, un negozio di dischi del centro, con uno sparuto numero
di presenti… pochi ma interessati e votati alla partecipazione. A fine
esposizione il giovane Samuele si avvicina a me e a Max Pacini, facendoci un grande complimento… ma come fate a essere così
giovani dentro?... perché avrebbe
dovuto adularci? La sua frase corrispondeva esattamente a ciò che gli
ispiravamo.
Ci raccontò di essere lì perché
colpito dall’immagine di copertina, che nei giorni precedenti aveva notato
sulla locandina esposta. E così passammo un po’ di tempo a parlare e ci descrisse
il suo amore per la musica, per la sua recente scoperta, la chitarra, con cui
aveva capito di potersi esprimere compiutamente, di poter tirare fuori sentimenti
ed emozioni per le quali le parole non erano sufficienti, almeno per lui. Ci
parlò di accordature aperte e della sua condizione di autodidatta. Nei giorni a
seguire ci scrivemmo, mantenendo vivo un contatto che non poteva essere stato
casuale… il destino ci aveva messo sullo
stesso sentiero. Ricordo di aver letto con attenzione le sue mail e di avergli
dato un consiglio abbastanza scontato… studia la chitarra e le tue possibilità di spaziare
aumenteranno…
Una voce interiore mi suggeriva
che Samuele avesse molto da dire, perché riuscire ad esprimersi attraverso uno
strumento musicale, non avendo remore nel mettere a nudo una tecnica
approssimativa, volutamente approssimativa, significava superare una importante
barriera psicologica che si pone davanti a tutti quelli che decidono di
iniziare a suonare e mettono da parte l’ispirazione in attesa di un minimo di
competenza. Samuele invece prende in mano una chitarra e vola, e con lui i suoi
pensieri, i suoi sogni, le sue felicità e i suoi dolori.
Spesso chiedo ai musicisti
che intervisto di soffermarsi sull’argomento liriche/musica, avendo sempre
risposte differenti. Samuele Magro insegna che il suono puro, se abbinato alla
pulizia di sentimenti, oltrepassa la necessita di una codifica e di un’etichetta…
basterà chiudere gli occhi e cercare di entrare in sintonia con il suo mondo,
quello che ha cercato di fissare nel suo EP,
Vista da qui.
Non ne sono certo, ma
forse Samuele Magro non ha bisogno di tecnica e virtuosismo, e quando i suoi
studi di chitarra saranno a buon punto -
ammesso che questo sia un suo obiettivo - e lui
sarà in grado di balzare con abilità da un tasto ad un altro, scopriremo un
volto nuovo, ne migliore ne peggiore… sarà solo una nuova dimensione, che
sicuramente non farà dimenticare quella originale.
L’INTERVISTA
Come ti sei avvicinato alla musica e
quali sono i tuoi riferimenti principali?
Ho iniziato a suonare la chitarra dopo
essere stato ad un concerto all’Arena di Verona, dove i pezzi erano per lo più
suonati con chitarre acustiche. Per la prima volta sono rimasto senza parole
davanti alla potenza e al calore che poteva dare il suono della chitarra
acustica, perciò mi sono comprato una chitarra e ho cominciato a tirar fuori i
primi suoni, qualcuno copiato, qualcuno mio. Non ho riferimenti.
Qual è
il significato di “Vista da qui”, il tuo EP?
Come si
vede dalla copertina dell’album, quello
è il davanzale della finestra di camera mia. Ho passato un lungo periodo della
mia vita nascosto tra quei quattro muri rassicuranti, per paure che non
riuscivo a superare, momenti in cui credevo di non riuscire più a risalire, ma
nonostante ciò, ho continuato a suonare.”Vista da qui” è “la vita” non vissuta
che immaginavo andasse avanti aldilà di quel vetro.
Nei brani
che presenti, salvo il parlato di sottofondo, ti esprimi “solo” attraverso la
chitarra. Pensi di riuscire a trasmettere i tuoi messaggi e i tuoi sentimenti
senza l’utilizzo delle liriche?
Sì lo
penso fermamente, ma penso anche che sia indispensabile sia la musica cantata
che quella solo suonata.
Qual è
il tuo pensiero riferito allo studio dello strumento?
Io non
ho fatto alcuno studio per suonare la chitarra, sono andato ad orecchio, o
meglio, a sensazione. Ho sempre suonato a sensazioni, cambiavo i suoni a
seconda di come reagivo suonandoli, in base a come cambiavano i miei stati
d’animo, ma penso anche che una
conoscenza di base dello strumento ti possa aiutare ad esprimere al meglio tutti questi flussi di coscienza.
Ti senti
più un poeta, un musicista o entrambe le cose?
È strano,
ma io non mi sento nessuno dei due, non mi sento un chitarrista. Se posso fare
un paragone, mi sento come un bambino che vuole arrivare a prendere un frutto
su un albero, ma questo frutto per lui è troppo alto. Si guarda intorno. e l’unica
cosa che trova per poter prendere quel frutto, è un bastone. Ecco... il mio
bastone è la chitarra… la chitarra per me è un pezzo di legno, che a seconda di
come lo muovi ti aiuterà a tirar fuori il suono più piacevole per te, e ti
riuscirà a liberare nel modo migliore da ciò che stai tentando di gettar fuori
da dentro.
Cosa
regala in più la tua terra, a livello di stimoli, ad una persona che decide di
raccontarsi attraverso la musica?
Non
saprei… io non sono tanto dentro al mondo della musica, non so proprio che
possibilità potrebbe offrire la mia terra.
Prova a
disegnare il tuo futuro musicale, tra sogni e desideri.
Io sono
molto timido e ho molta difficoltà nel rapportarmi con il prossimo, ma sognando…
mi piacerebbe poter suonare a tantissime persone, che ascoltando ciò che suono
riescono a sentirsi meno soli in un pensiero, incoraggiati per una decisione,
invogliati alla vita o più semplicemente mi guardino e sorridano.