Luca Vicenzi è il musicista che
ha gettato il seme del progetto “Cumino”. Ho conosciuto virtualmente Luca qualche mese fa,
in occasione del commento ad un album dell’Orchestra Panica. Il suo
percorso successivo arriva al progetto citato, che ha prodotto “Tomorrow in the battle
think of me”, disco di cui mi occupo oggi.
I disegni musicali
vanno spiegati, almeno nelle linee principali. Le musiche e le canzoni in
genere possono vivere in modo autonomo e trovare una sorta di auto
alimentazione che la tecnologia attuale favorisce, ma questa sopravvivenza può
trasformarsi in qualcosa di molto più completo se si riesce ad unire il feeling
immediato a ciò che può averlo generato, e l’ascolto potrà trasformarsi in
arricchimento culturale e stimolo a pensare. Nessuno sarà interessato alle ore
di sudore, lacrime e divertimento che hanno accompagnato “Cumino”, ma la
conoscenza della volontà degli autori -Hellzapop assieme a Luca- permette di
arrivare ad uno stato che va oltre la musica.
“Tomorrow in the
battle think of me”, è totalmente
strumentale, e per chi si trovasse ad ascoltarlo senza nessuna preparazione e
nessuna lettura di titolo e testi-come ho fatto io inizialmente- la valutazione
sarebbe monca, qualunque fosse il feeling derivante.
E quale è stato il
mio feeling? Musica minimalista, basata su trame chitarristiche che ricercano
la melodia, il tutto dominato e gestito dall’elettronica e dalla
sperimentazione. Un perfetto equilibrio, un commento continuo a situazioni e
sentimenti, con atmosfere che ben si adattano ai differenti stati d’animo che
possiamo incontrare nell’arco di una giornata. Lasciarsi andare significa
rivivere un dei tanti personali film del passato, o magari idealizzare un
viaggio nel futuro, con le numerose incognite conseguenti. Non è richiesta
eccessiva concentrazione, non ci sono intrecci cervellotici, ma l’abbandonarsi
senza resistenza alcuna può portare molto lontano, anche se personalmente ha
prevalso un mood color grigio, che è la tonalità che associo ai momenti di
tristezza interiore.
Dopo aver realizzato
l’intervista con Luca ho capito qualcosa di più e mi sono avvicinato ai veri
significati dell’album, ispirato da un racconto dello spagnolo Javier Marias, la cui trama è sintetizzata a fine post.
Dalla rete ho
estrapolato un giudizio sintetico della storia: “Il risultato finale è di una
grande e tragica beffa in cui gli uomini, nella vita e nella morte,
rappresentano delle pedine di un gioco oscuro, di cui non possono e non sanno
capire il senso”.
A questo punto è
doveroso sottolineare che esistono persone, musicisti, artisti, che creano
innanzitutto per rispondere ad un esigenza personale -fatto assolutamente non
scontato-, la stessa esigenza che poi li porta a condividere il loro frutto.
Dietro alle dieci tracce proposte, c’è un disegno concettuale, ispirato dalle
riflessioni di altri fatte proprie, realizzando una picture che racchiude un
dramma di vita ed uno più grande, di carattere esistenziale.
Ma il valore aggiunto
è dato dal fatto che possedere la corretta chiave di lettura genera
l’interattività, o forse sarebbe meglio dire una necessità di appropriarsi di
fatti e filosofie altrui ed elaborarle in prima persona, creando una sorta di
ramificazione del pensiero di Marias, Luca e chissà quanti altri.
Questa mia
descrizione, magari troppo ricamata ma oggettiva, non sarebbe mai stata scritta
se mi fossi limitato al mero ascolto, e occorre riflettere su quanto incida
negativamente la mancanza di tempo e la poca voglia di approfondire, o su
quanto sarebbe corretto utilizzare il giusto grado di curiosità, che spesso si
è portati a limitare.
“Tomorrow in the
battle think of me” si presta, nel suo
insieme, al coinvolgimento più totale, e la cosa che maggiormente apprezzo è il
superamento delle barriere, dei canoni stabiliti da altri, in una forma di base
assolutamente semplice non pretenziosa, che può da sola dare
soddisfazioni enormi, ma che trova il naturale completamento nella
sollecitazione e nello stimolo alla riflessione.
Questo è tutto quello
che ognuno di noi, nella nostra sfera di competenza, dovrebbe fare per svolgere
una funzione educativa: avere la coscienza a posto determina una situazione di
serenità e credo che Luca Vicenzi e i suoi compagni di viaggio abbiano
intrapreso un ‘ottima strada, sull’infinita via che non prevede tappe che si
chiamano “successo”, ma un capolinea che a lettere cubitali riporta la frase
“Qualità della Musica”.
Da ascoltare…
assolutamente, le possibilità non mancano (vedere link a fondo pagina).
L’INTERVISTA
Ho conosciuto i tuoi
progetti precedenti, Zita
Ensemble e Orchestra Panica... in cosa si differisce “Cumino”?
Dunque, Zita
Ensemble è stato un gruppo che in tre album cercava di sperimentare e spaziare
tra il jazz-rock, il post-rock e un certo gusto progressive/canterburiano, era
l'esperienza anche di un gruppo di amici che suonavano molte ore insieme, e
dopo tre album e un po' di anni passati stupendamente, avevamo dato ciò che
avevamo da dare. Durante le registrazioni del terzo disco degli Zita (Volume 2)
è nata la mia voglia di esplorare l'ambito della musica minimale e
contemporanea usando loops, campionamenti, archi, certa elettronica e ambienti
più coesi, pensando sempre meno al concetto di “band”, e sempre di più all'
idea di “collettivo”, sia in senso musicale che artistico. Da quel momento in
avanti sapevo di essermi lasciato alle spalle alcuni “modi” di fare le cose in
studio, alcune note, persino stilisticamente molte cose fatte fin lì, avevo
davvero voglia di andare oltre. Dopo l'uscita del primo disco di Orchestra
Panica (Journey to Devotion) stavo registrando alcuni provini per chitarra, con
sovraincisioni che nella mia testa erano molto vicine a i provini di “Sketches
for my Sweetheart the Drunk”, di Buckley o a certe cose di Gustavo Santaolalla;
in realtà la voglia di provare davvero a sviscerare i miei ascolti degli ultimi
anni che viravano più su Flying Lotus o Jan Jelinek o Apparat, mi ha
fatto fare un ulteriore salto artistico. Ho affidato inizialmente la produzione
di un ipotetico nuovo lavoro, con un nuovo nome, a Davide Cappelletti alias Hellzapop,
che è musicista e produttore elettronico di grande gusto, oltre che un amico,
spiegandogli un po' le mie idee e inaugurando quello che è stato un “cantiere
aperto” durato un anno, in cui lui stesso poi è rimasto coinvolto in maniera
tanto profonda nella produzione, negli arrangiamenti e in quello che veniva
fuori, che abbiamo deciso di portarlo avanti come progetto comune. Io
alle chitarre e ambienti, lui dietro a tutta l'elettronica; qualcosa di
relativamente scarno, essenziale, io continuo a pensarlo come approccio a una
“Modalità molto punk”, poi c'è stato nel disco anche il sax stupendo di
Riccardo Canta, altro amico e musicista che appare e scompare come una meteora.
E' stato un percorso molto reale, molto strano, ed è totalmente diverso da
tutto quello che ho fatto prima di ora, ne sono felice.
Il titolo dell’album
-e quello dei singoli brani- riporta all’album a tema, cosa difficile da
afferrare in un disco strumentale. Che cosa vuoi raccontare in questa occasione
e che cosa pensi, in senso generale, dell’efficacia dei messaggi proposti
da una musica senza liriche?
E' un album a tema,
il titolo è pienamente ispirato a Javier Marias, scrittore spagnolo che a sua
volta citava Shakespeare nel Riccardo III; era stupendo sia questo rimando nel
citare e contro-citare la frase, sia il senso della frase, che per me ha un
significato rispetto a tutto l'anno passato, sia sul piano personale che sul
piano musical; c'era in progetto addirittura un lavoro meraviglioso con Paolo
Marasca, scrittore di cui mi sono innamorato leggendo il suo primo libro e con cui
siamo rimasti in contatto. Lui aveva scritto dieci storie sui dieci pezzi del
disco. Le cose si sono complicate di molto a causa del lungo lascito delle mie
esperienze precedenti; mi spiego, l'idea di dover tornare a pubblicare in
ambienti che non avrebbero saputo o potuto apprezzare e sostenere questo disco,
di rimettermi a firmare contratti di distribuzione e parlare di soldi, impegni
e numero di copie per la solita guerra dei poveri, mi atterriva; quando abbiamo
optato per la scelta del free download di tutto il disco, pareva sensato non
bruciare il lavoro grandioso (credimi) di Paolo, lasciando che venisse inteso
come un disco strumentale con una serie di riferimenti intendibili dai titoli.
E' forse l'unico rimpianto che ho in questa produzione; si era parlato
molto di Joseph Beuys, di Alighiero Boetti e del modo in cui pensavo ad alcuni
loro lavori, delle frasi di Paolo Marasca in relazione ai tanti discorsi fatti
e questo effettivamente non si coglie a disco finito. Succede. Sull' efficacia di
una musica senza liriche, beh devo dire che per i miei ascolti negli anni la
musica strumentale mi accontenta sempre meno, o meglio, deve davvero impattare
emotivamente nelle mie orecchie e spaccarmi il cuore, per riuscire a spiegare
senza usar parole, che poi è la vera sfida dell' assenza di testi in musica a
mio modo di vedere. Sicuramente lo stesso discorso vale per la parte testuale,
in assoluto è meraviglioso sentire un connubio davvero ficcante di musica e
parole, e quando funziona è disarmante, in Italia il gruppo che da sempre ha
saputo rapirmi in maniera profonda in questo senso sono i Massimo Volume senza
ombra di dubbio, e il loro ritorno è per me fonte di grande gioia, anche se qui
entriamo in un altro ambito ancora, il recitato, il declamato, il reading; sono
forme affascinanti se davvero come si dovrebbe secondo me sempre fare, diamo
peso alle parole che spendiamo.
Chi sono i tuoi
compagni di viaggio in questo tuo nuovo percorso?
In questo giro solo
Hellzapop (Davide Cappelletti), e ha partecipato alle registrazioni del disco
anche Riccardo Canta ai sax. Durante la mia fase casalinga di registrazione
provini e sgrezzamento di alcune idee che avevo, ho passato diverso tempo in
jam sessions , vizio antico che fatico a perdere per fortuna, con altri amici,
con alcuni dei quali avevo già fatto altre cose, ma per tanti motivi
aveva davvero senso questo cum/in/o o cumino che dir si voglia, come si è poi
sviluppato, sostanzialmente in due.
Conosco perfettamente
il beneficio derivante dall’ascolto delle musica che si ama, e quindi la
potenza di mitigazione, almeno nel breve periodo, delle frustrazioni
quotidiane. Quanto può incidere l’attuale momento sociale su di un artista che
nel 90% dei casi deve affrontare problemi lavorativi e altri paralleli legati
alla difficoltà di proporre la propria musica? Quanto c’è della probabile
delusione e rabbia nelle tue creazioni?
Direi nulla, non
c'è e non c'è mai stata né delusione né rabbia, io rimango convinto che sia
necessaria l'alternanza musica-altro, che l'artista e/o il musicista debba da
diverse decadi convivere con questo dualismo, e saperlo fare in maniera sempre
più naturale e positiva. La situazione è complessa e per nulla felice sul piano
sociale, economico e morale; ma continuo a credere molto al piano culturale,
vedo nonostante tutto tante, tante persone che fanno rete, che collaborano, che
ci provano anche quando le cose non vanno come vorresti, che si mettono in
gioco con cooperative, associazioni, iniziative, nuovi modelli editoriali e
tanto altro (non solo necessariamente legato alla rete). I problemi, anche
lavorativi li hanno in tanti, troppi; ma nonostante tutto vale sempre la pena
di provare a fare ciò che ci piace fare, quando però sento ancora persone che,
a maggior ragione in questi tempi, pretendono di campare di dischi o di musica
indipendente devo dire che non posso che essere in disaccordo sotto diversi
punti di vista.
Circa un anno e mezzo
fa, in un’occasione come questa, avevi risposto così ad una mia domanda sui
tuoi desideri nell’immediato: “Sarebbe già molto continuare a fare musica,
se poi dovessi sognare, poter fare altri dischi consolidando una mia piccola
realtà personale in cui assume sempre più senso il percorso fatto, collaborare,
vivere”. A che punto siamo ad
aprile 2012?
Che confermo le
stesse parole, sono felice di proseguire, come sta accadendo, in un percorso
totalmente personale dove riesco a suonare, a fare dischi, a collaborare e a
vivere nella maniera che trovo migliore per il mio benessere e il mio modo di
vedere e vivere le cose, la musica e le strade per cui ci si infila suonandola
e condividendo. Durante quest'anno mi è stato proposto da un altro
carissimo amico, Emanuele Rozzoni, filmaker delicatissimo e persona a modo, la
sonorizzazione di un documentario, “cosi' semplice, cosi antico”, che vede come
soggetto il fotografo bergamasco Danilo Pedruzzi e la sua fotografia,
seguendolo per fiumi e piazze fino al suo laboratorio artigianale in cui costruisce
da sé mezzi fotografici rari. E' stato un lavoro molto bello e spontaneo per me
da sviluppare, e anche qui c'è tutto un racconto di viaggio di come sono andate
le cose, il documentario è credo pronto, ma abbiamo parlato e condiviso cosi
tante idee mentre lui lo stava girando che in realtà tante note per Emanuele,
le devo ancora suonare, e spero di farlo nell' anno che abbiamo di fronte,
insieme anche a Hellzapop. Ho sempre in programma un seguito di Orchestra
Panica, ma chissà se prima o dopo troverò lo spirito giusto per farlo e se avrò
senso farlo; sicuramente con Davide (Cappelletti dei Cumino) abbiamo in
cantiere un po' di idee in cui ci troveremmo a nostro agio e saremmo felici di
poter sviluppare. Come un anno e mezzo fa Athos, vedremo!
Qualche nota…
Il progetto
“Cumino” è nato in Italia nel 2010 come un esperimento sonoro,
dall’incontro di due amici e musicisti provenienti da differenti scene
musicali: Luca Vicenzi e Hellzapop.
Luca Vicenzi è un chitarrista ed esploratore musicale, già Zita Ensemblee
Orchestra Panica. Hellzapop è un musicista elettronico e produttore.
Cumino è un viaggio in un paesaggio musicale fatto di silenzi, melodie di chitarra
e suoni elettronici. Ogni elemento inserito nelle canzoni è dosato in modo dolce e minimale per poter tradurre al meglio le sensazioni che hanno ispirato le canzoni.
Il risultato è una zuppa calda piccante da mangiare in una fredda notte d'inverno.
Cumino è un viaggio in un paesaggio musicale fatto di silenzi, melodie di chitarra
e suoni elettronici. Ogni elemento inserito nelle canzoni è dosato in modo dolce e minimale per poter tradurre al meglio le sensazioni che hanno ispirato le canzoni.
Il risultato è una zuppa calda piccante da mangiare in una fredda notte d'inverno.
Da una recensione di Rai News 24
L'inizio e la fine di
questa storia sono sorprendenti come accade raramente in un'opera di narrativa,
oltretutto di natura filosofica; nel senso che, più che dei fatti, vi è
raffigurato (ossessivamente) il pensiero, quello del protagonista che, immerso
in un suo interiore monologo, spesso si chiede cosa sarebbe potuto succedere,
se non fosse successo quello che è successo, disperdendo la realtà in un
pulviscolo di possibilità che dà a ogni cosa la consistenza di un sogno,
sospeso tra verosomiglianza e inverosimiglianza, illusione e disillusione.
La storia scritta da
Javier Marias ( Domani nella battaglia pensa a me)
Una donna muore
naturalmente, mentre l'uomo, che conosce appena, da lei invitato a cena per un
imprevisto convegno amoroso in occasione dell'assenza del marito, vi assiste
con assoluta passività; mentre un bambino di due anni dorme finalmente in
un'altra stanza, e mentre la televisione trasmette un famoso film in bianco e
nero che l'uomo conosce perfettamente e segue senz'audio, disteso accanto alla
donna agonizzante. Da questa iniziale scena di morte, con le riflessioni sui
modi in cui essa può manifestarsi, e sulle conseguenze sui vivi, il
protagonista esce lentamente e faticosamente, comincia a raccontarla, ed un
fatto casuale, seppur importante, la morte, diventa l’occasione per riflessioni
di carattere universale. Dice lo stesso Marias: <<… in “Domani nella battaglia pensa a
me”, il tema è relativo
alla consapevolezza di dover convivere con l'inganno. E' faticoso non poter
essere mai la stessa persona: spesso non è questione di grandi inganni, ma del
fatto che nessuno di noi si presenta a persone diverse nello stesso identico
modo. Tra l'altro, è necessaria una grande memoria per essere coerenti con noi
stessi, per ricordare cosa abbiamo trasmesso di noi alle diverse persone con le
quali siamo entrati in contatto».
Questa storia non si
dimentica tanto presto. Resta la sua frase/memento e leit motiv, tratta dal
Riccardo III di Shakespeare, Tomorrow
in the battle think on me, maledizione del fantasma della regina Anna sul
re che l'ha fatta uccidere.
Cumino –
Tomorrow in the battle think of me
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Email: cuminomusic@gmail.com