“Devi assolutamente
sentire Pino Forastiere e...”, inizia così il mio avvicinamento a questo straordinario
chitarrista… attraverso le parole di un altro virtuoso dello strumento, Claudio
Bellato che, come tutti i cultori della buona musica, trova appagamento nell’opera di condivisione.
Ciò che mi trovo tra le mani, una settimana dopo, è una parte
di mondo di Pino Forastiere, due CD, due progetti differenti, ma alla base
l’utilizzo della chitarra, sostantivo che evoca le situazioni più disparate,
anche per chi non è addentro alle “cose della musica”. Per inciso, sto parlando
di “from
1 to 8”, disco solista, e “Guitar Republic”, sorta di trio
delle meraviglie nel quale Sergio Altamura e Stefano Barone si aggiungono a
Forastiere.
Due album sono una consistente porzione di vita musicale e possono quindi dare una ricca immagine di
un artista. Nel caso specifico credo ci sia una importante mancanza che spero
di colmare al più presto… la partecipazione ad un’esibizione live. Vediamo
perché.
Scrivere di musicisti così talentuosi, dalla preparazione
tecnica così lontana dallo standard, mi ha posto un problema di giudizio: è
giusto dare un’opinione su qualcosa la cui comprensione di dettaglio non può
prescindere dalla buona confidenza con lo strumento? E’ sufficiente
il mio “saper suonare” per fornire utili indicazioni? Questo dubbio è svanito
in pochi attimi.
La musica di Pino Forastiere è obbligatoriamente musica di
settore, elitaria, ma non certo nelle intenzioni. In genere ci si racconta, si
passano messaggi, si protesta e si gioisce attraverso i mezzi che si conoscono,
che magari si affinano col passare del tempo ma, e questo è il mio feeling del
dopo ascolto, hanno nell'occasione un fine che niente ha a che vedere col mero
virtuosismo. Le skills che emergono nel “solo” e nel progetto in trio sono il
risultato di anni di studio e duro lavoro, e lo sfoggio delle differenti
tecniche-i video a seguire sono rappresentativi e significativi-rispondono alla
mia esigenza citata in precedenza, quella di poter assistere ad una
performance, e godere appieno dell’aspetto visual.
Fantasia, tecnica, coraggio esecutivo, coscienza della
propria forza, sono una parte del contenuto della musica di Forastiere, quello
che quasi tutti possono afferrare, ma credo che la differenza tra i musicisti
della sua taglia-probabilmente non molti al mondo-e un “comune” fantastico
esecutore, risieda nella capacità compositiva, nella possibilità di parlare di
sé senza … aprire bocca, arte in cui mi pare Pino sia un maestro, e a quel
punto i grandi esempi del passato, l’esperienza accumulata, l’educazione
ricevuta, lo studio di anni, diventano un contenitore in cui tutto viene
miscelato e messo a disposizione di un obiettivo ben preciso, lontano dal narcisismo
musicale, con la grande soddisfazione
personale di emozionarsi regalando emozioni.
Lo scambio di battute a seguire, e la biografia di fine post,
forniranno elementi oggettivi su Pino Forastiere e la sua musica.
L’intervista
Un amico comune mi ha
parlato di te in termini entusiastici, sottolineando al contempo ciò che è
sotto i miei occhi quotidianamente, e
cioè la difficoltà che si trova nel presentare dal vivo la musica di qualità,
almeno in Italia. Che differenze trovi tra la situazione di casa nostra e le
realtà estere, in cui tu normalmente ti muovi?
Non
saprei dire se si tratta di un problema solo italiano. Oggi la qualità non è
facile da proporre perché la tendenza è quella di applaudire il riconoscibile,
piuttosto che l'unico. L’ enorme quantità di pseudo-arte rintracciabile in
internet sta confondendo le idee perché mischia cose fantastiche con cose
inutili e brutte offrendole sulla medesima piattaforma, sul medesimo
palcoscenico. Dal vivo forse le cose cambiano un po’, ma non è facile tenere
pulita una cultura che si sporca ogni giorno di più.
Mi pare di capire che
la gestione del tuo lavoro (ma è diffusa l’opinione che la musica non sia un
lavoro… Bill Bruford lo spiega bene nel suo libro) abbia una dimensione
familiare, e i casi simili sono molti. L’autarchia è diventata ormai una necessità
in ambito musicale?
Io amo
seguire tutto lo sviluppo del mio lavoro artistico, e quindi l'autarchia è in
primo luogo una scelta. Sono fortunato a poter lavorare con mio cognato
Gabriele Benigni, che oltre ad essere violinista, compositore, arrangiatore, è
anche un mio carissimo amico, e di fatto realizza insieme a me tutti i miei
dischi. Però l'autarchia diventa pure una necessità di post-produzione: il
mondo della musica non ha più figure di intermediazione, non mi viene in mente
un solo direttore artistico degno di tale nome, capace di avere la forza di
fare una proposta, di essere affidabile per il proprio pubblico quando mette in
cartellone qualcosa che ha scelto. I festival sono la fotocopia l'uno
dell'altro; gli agenti, che sono gli unici che capiscono ancora qualcosa,
vivono tempi difficilissimi perché oggi il musicista si deve imporre da solo,
deve poter esibire un certo numero di click, di “mi piace”. E allora sono
fortunato a poter contare anche sul lavoro di mia moglie Stefania, io non sarei
capace di stare dietro a queste cose, di “spingere” come si dice oggi.
Suonare, cantare,
esprimersi, significa “passare” il proprio messaggio, e le liriche non sono
fondamentali. E’ anche naturale che ogni ascoltatore personalizzi e interpreti
ciò che gli arriva, e il “prodotto” da neutro si trasformerà qualcos’altro.
Nel caso di un album
come “From 1 to 8”, qual è la tua
chiave di lettura, al di là della tecnica e del
gusto di cui è intriso?
“From 1
to 8” è il mio disco di sintesi rispetto ad una muscolarità o ad un fuoco
specifico, o ad esperienze di altro tipo come il concerto “Why Not?” per
chitarra e orchestra, espresse nei
lavori precedenti. Mi piace definirlo un disco “compositivo” e non
“performativo”.
L’intimismo dell’album
appena citato contrasta col “percorso” di “Guitar Republic”, dove l’interazione
con altri musicisti permette di dare un aspetto diverso alla tua “acustica”,
tra ritmo e melodia. Quali sono le maggiori soddisfazioni che trai dai due
progetti?
Amo
entrambe le cose. La ricerca solitaria
nei lavori solistici come la ricerca condivisa con Sergio Altamura e Stefano
Barone nel trio. In un certo qual modo proprio l’essere solisti ci permette di
condividere lo stesso spazio rispettando le reciproche “solitudini”.
Esistono “enormi “, talentuosi
e innovativi chitarristi che hanno fatto la storia del rock, completamente
autodidatti. Cosa significa essere un “grande chitarrista”… cosa serve oltre
all’educazione scolastica e al talento?
L’educazione
- e non solo quella scolastica - ed il talento sono condizioni necessarie.
Aggiungerei curiosità e consapevolezza. Essere curiosi può spingerti ad
esplorare mondi nuovi, ed essere consapevole può darti il senso della misura…
gli autodidatti di cui parli erano dei geni che hanno saputo studiare da soli:
e di geni, si sa, ce ne sono pochissimi in giro. Vorrei puntualizzare che con
il termine autodidatta si intende “persona che studia autonomamente”, e non
“persona che studia pochino perché non ne ha bisogno”.
Quanto è stata e quanto
è ancora importante la ricerca e l’applicazione di nuove tecniche
chitarristiche? Come si supera la fase umana di autocompiacimento per arrivare
ad una vera condivisione?
Per me le
nuove tecniche servono solo per esplicitare nuove idee! Non confondiamo il
mezzo con il fine. L’autocompiacimento si affievolisce (difficilmente sparisce
del tutto) proprio quando si marca la differenza tra ciò che è mezzo e ciò che
è fine. Per me l’unica cosa importante è la musica, perché è appunto l’elemento
condivisibile.
Esiste uno strumento
che ti affascina e su cui ti cimenti, oltre alla chitarra?
Tanti
strumenti mi affascinano, ma suono solo la chitarra.
Quali sono stati in
origine i chitarristi che ti hanno influenzato… quelli che ti hanno portato sul
sentiero dello studio chitarristico?
Ho
iniziato a studiare a 7 anni perché era l’unico sentiero che volevo percorrere
e non mi ricordo miti che mi hanno introdotto a questo sentiero. Molti
chitarristi mi hanno influenzato, certo! Senza Michael Hedges non avrei mai
composto e suonato musica per chitarra acustica, ma senza Arturo Benedetti
Michelangeli non avrei mai capito l’importanza della qualità del suono e della
chiarezza musicale. Sono molteplici le influenze, tra queste ci sono pochi chitarristi.
Esiste un chitarrista
tuo contemporaneo che giudichi una sorta di linea guida, magari
irraggiungibile?
Penso che
non esistano cose e persone irraggiungibili.
Prova a disegnare il
tuo futuro musicale dei prossimi tre anni.
Nei
prossimi anni dovrei essere impegnato con il mio amico regista-attore Enrico
Frattaroli in un lavoro sui versi de La Voce a te dovuta di Pedro
Salinas. Una sorta di melologo attraverso il quale cercherò di esorcizzare la
mia antipatia verso la parola, soprattutto quando è accostata alla musica. Sto
scrivendo altra musica per chitarra acustica solista, e sto pensando insieme a
Sergio e Stefano cose nuove per Guitar Republic. In tutto questo ho già un po’
di tour programmati… spero bastino tre anni per fare tutto.
Note biografiche dal
sito di Pino…( http://www.forastiere.it/)
La musica di Forastiere nasce da una
solida formazione in ambito classico, contemporaneo e rock, e sfugge a una
precisa definizione di genere. Considerato come uno dei più interessanti
chitarristi compositori nel panorama internazionale, virtuoso ex classico con
la sei e la dieci corde, Forastiere si è rapidamente affermato anche nel mondo
della chitarra acustica per la novità nella scrittura delle sue composizioni e
una tecnica esecutiva davvero straordinaria. Di lui il "guru" della
critica musicale newyorkese John Schaefer ha detto: "La sua musica è un
mix di pattern ritmici incrociati di Steve Reich che incontrano le tecniche di
Michael Hedges, il tutto ammirando Eddie van Halen".
Lucano ma ormai romano d’adozione,
diplomato in chitarra classica al Conservatorio di Musica Santa Cecilia, oltre
che in varie rassegne in Italia Forastiere suona regolarmente per festival e
stagioni negli Stati Uniti e in Canada, dove radio e stampa musicale gli hanno dedicato
diversi speciali. Nei suoi tour americani ha suonato - tra gli altri - al
Canadian Guitar Festival, al New York Guitar Festival, e all'International
Guitar Night 2010/2011 (UK, Canada, USA). Nel mese di gennaio 2008 Forastiere
ha presentato al Teatro Palladium di Roma il brano per chitarra elettroacustica
e orchestra d'archi "Why Not?", eseguito in prima assoluta con la
Roma Tre Orchestra diretta da Pietro Mianiti. La registrazione del concerto è divenuta
la “title-track” del suo terzo disco solista; dopo “Rag Tap Boom” (2003),
“Circolare” (2005) e “Why Not?” (2008), nel 2009 Forastiere ha pubblicato un
ispiratissimo DVD live, sempre per l'etichetta statunitense CandyRat.
Sin dagli inizi Forastiere collabora
con l'editore John Stropes, storico del finger-style e figura di riferimento
internazionale per la chitarra acustica; autore di importanti testi e studioso
innovativo, editore di chitarristi come Leo Kottke, Michael Hedges e Alex de
Grassi, Stropes dirige il Dipartimento degli studi di chitarra presso la UWM –
Università del Wisconsin, Milwaukee.
I video di Pino in rete contano
centinaia di migliaia di viste; uno tra i brani più apprezzati (e rieseguiti
come cover) dal popolo di Youtube, “Fase 1”, è stato scelto come sigla del
meteo di RaiNews24.
E' infine di recentissima formazione
il trio Guitar Republic, con i due chitarristi acustici Sergio Altamura e
Stefano Barone; il trio ha appena pubblicato l'album di debutto (Candyrat,
2010) e si appresta a partecipare a tutti i principali festival internazionali
di chitarra.