Inusuale per me commentare e descrivere un album di musica Jazz. Mi permetto di farlo perché è una “zona delicata” che ho perlustrato in un passato antico e, soprattutto, ho la convinzione che un occhio un po’ più esterno sia meno condizionato rispetto a quello dell’esperto di turno. Per ultimo, trattandosi di musica di impegno e qualità, sono contento di porre l’accento su “Andrea Braido Jazz organ trio”.
Il trio, oltre ad Andrea Braido alla chitarra, prevede la presenza di Vito Di Modugno all’organo Hammond e di Alessandro Napolitano alla batteria.
A seguire sono disponibili i link ai siti di riferimento dei tre musicisti.
Ed è proprio sul sito ufficiale di Andrea Braido che, scorrendo la biografia, saltano all’occhio alcune cose “monumentali”. La prima riguarda le collaborazioni infinite con musicisti di spessore internazionale. Ma tra un tour ed un disco “di altri” esiste una serie impressionante di progetti paralleli che portano ad evidenziare come Braido non sia un chitarrista “solo” Jazz (riduttivo legarlo ad un unico genere musicale), ma sia… un musicista e le sue origini, dal virtuosismo esasperato di Hendrix al rock e al pop, lo pongono in grande rilievo nel panorama musicale italiano ( e non). Nell’intervista a seguire è possibile mettere discretamente a fuoco la sua immagine.
Ma il Jazz fornisce qualcosa che il resto della musica non può dare, essendo essa spesso ingabbiata da schemi rigidi. Parlo di libertà espressiva, di possibilità di improvvisare, di legami meno rigorosi rispetto al protocollo e all’audience, di ritorno alle radici, anche se spesso tali radici sono difficili da identificare.
L’album è composto da dieci tracce, per 8/10 realizzate dal trio, con due concessioni all’illustre passato (“Lonnie’s Lament” di John Coltrane e “Fried Pies” di Wes Montgomery). L’elemento che più mi ha colpito è l’utilizzo dell’organo Hammond. Sin dalla sua nascita l’Hammond ha avuto impieghi diversificati, partendo dal gospel, passando dal blues e dal jazz, sino ad arrivare alla musica progressiva, cioè quella che me lo ha fatto apprezzare, in accoppiata col Leslie. Ma non sono molti (rispetto al panorama generale) i progetti dedicati al jazz che prevedono l’utilizzo di questa mitica tastiera.
Quale il valore aggiunto in un ensemble “libero”? Le fughe e le rincorse tra Braido e Di Modugno sono estremamente coinvolgenti, ma anche la suddivisione della conduzione melodica risulta davvero piacevole. Probabilmente è la stessa logica di esecuzione utilizzata in presenza di fiati, ma trovo che per chi ama quel particolare tono/suono (accade di ascoltare con fatica un fraseggio di tromba, ma difficilmente l’Hammond delude) l’ascolto di “Andrea Braido Jazz organ trio” possa regalare momenti particolarmente intensi.
D’altro canto, l’insieme di tre tra i migliori musicisti italiani deve obbligatoriamente portare a un buon risultato e credo che un album come questo possa avvicinare l’ascoltatore medio ad un genere a cui ci si accosta sempre con un certo timore riverenziale, per paura di non comprenderlo, per la sua immagine di “freddo ed esasperato virtuosismo”, per mancanza di spazio dedicati all’ascolto, o forse solo per… “paura” di un’espressione troppo libera, troppo lontana dagli schemi in cui, spesso, fa comodo rifugiarsi.
L’intervista e il brano a fine post possono spiegare, meglio delle mie parole, la filosofia e il “lavoro” che si cela dietro a Andrea Braido Jazz organ trio”.
INTERVISTA
Dopo aver letto una tua biografia trovata in rete, mi è venuto spontaneo il paragone con Bill Bruford (illuminante la sua autobiografia); mi riferisco al passaggio attraverso stili musicali molto differenti tra loro, con un approdo finale alla musica jazz che, nel suo caso, appare come il modo espressivo più soddisfacente. Anche tu hai percorso strade differenti, tra il rock e il pop sino al progetto “Andrea Braido Jazz organ trio”. Tutto ciò rappresenta la voglia di perlustrare tutti i sentieri possibili, alla ricerca della “felicità musicale” o è la natura del musicista DOC che spinge a muoversi su progetti paralleli?
Grazie per l’accostamento stilistico, specifico che i legami con tutta la musica per me sono sempre stati collegati fin dall’inizio e quindi approfonditi contemporaneamente nelle varie fasi di pratica e studio. Per fare un esempio, ascoltavo Jimi Hendrix provando a suonare i suoi brani, ma al tempo stesso ascoltavo con la stessa procedura Armstrong, Parker, Davis, Venuti e anche molta classica contemporanea, allora del ‘900, come Stravinskij, Gherswin, Bartok e altri. In definitiva penso che la curiosità, e anche il sentire e percepire con grande godimento la qualità di tutti questi stili e autori diversi, è sempre stato naturale e fondamentale per me!
La musica progressiva degli anni ’70 era piena di contaminazione “classica”, ma nella grande famiglia del prog esistevano accenni alla musica Jazz , sia in Italia che all’estero. Era il 30 marzo quando i Soft Machine, in formazione per ¾ originale(salvo chi non è più tra noi), si esibivano a Genova con discreto successo di pubblico. Che cosa pensi di questa commistione di stili, allora come oggi, e che giudizio dai delle reunion di “musicisti antichi”, tanto di moda oggigiorno?
Sono assolutamente propenso alla fusione di linguaggi differenti, che però a differenza delle lingue parlate non ha barriere o confini, che in realtà sono solo nei limiti che ogni persona decide di adottare per sicurezza in quello che già conosce e capisce. Le “reunion” secondo me hanno senso se la qualità della musica rimane, al contrario, se diventano uno sbiadito ricordo, è meglio non farle!
Una nota dolente relativa al mondo del jazz, in relazione ad altri tipi di musica, è la minore partecipazione del pubblico e una vita… più difficile per che vive di sola musica. Eppure si parla di musicisti di talento e “scuola” di assoluto rilievo, decisamente superiori alla media dei musicisti di successo. Può la sola passione compensare la frustrazione a cui, credo, sia sottoposto un uomo di Jazz?
Fortunatamente la parola Jazz, e il mondo che molti critici e musicisti gli hanno vestito addosso, è lontana dal mio pensiero, quindi sicuramente è molto più difficile proporre del Jazz in senso lato. Infatti nei miei concerti ci sono progetti molto diversi e anche in quelli più legati al Jazz inserisco sempre una sferzata di energia più vicina al rock di cui è parente stretto. La sofferenza e frustrazione spesso sono alla base di una ricerca ed è questa una condizione tipica della razza umana. Tutti gli artisti, matematici, ecc., hanno patito molta indifferenza e subito critiche spesso ridicole prima di affermare il loro credo artistico e forse questo è un buon segno. Più si muove l’energia e più si sollevano pareri buoni e non, l’importante è dare delle emozioni, e farlo con la massima dedizione e sacrificio oltre ad una dose di ironia.
Quanto spazio c’è, nel “tuo” mondo del Jazz, per la sperimentazione, per l’utilizzo di nuove tecnologie espressive?
La conoscenza e l’approfondimento dei linguaggi richiede un lavoro continuo che dura tutta la vita, ma l’elasticità mentale che porta a provare nuove soluzioni deve essere sempre presente; la applico soprattutto dal vivo, spesso dirigendo la band in tempo reale ad adottare direzioni nuove.
Se dovessi citare un disco o un gruppo che è stato determinante per spingerti ad alcune scelte sulla via della musica, su cosa ti soffermeresti?
Citarne uno solo è difficile quindi farò alcuni riferimenti che sono sempre stati presenti nel mio stile. Electric Ladyland (Hendrix), Birds of Fire(Mahavisnu Orchestra), Machine Head(Deep Purple), Trilogy(EL&P), Valentine Suite(Colosseum), Concerto Grosso n°1(New Trolls), Areazione(Area), Fair Warning(Van Halen), Blue Trane e Giant Steps(John Coltrane), Parker on dial vol. 1/2/Cookbook(George Benson), Big Fun(Miles Davis), Rhapsody in Blue(Gershwin), Music for percussion & celesta(Bela Bartok) e altri 2000 dischi.
Sono un fautore del “portare la musica” laddove non arriva mai. Nelle scuole , ad esempio, dove non esistono alternative al programma scolastico, già codificato. Come pensi si possa buttare qualche seme sul terreno fertile del Jazz? Come si educano i giovani in tal senso, quando non c’è un padre che ci pensa?
Personalmente ho avuto varie esperienze nelle scuole dove ho proposto una sorta di seminario con vari ascolti di stili diversi; purtroppo i mass media influenzano il modo di percepire la musica, spesso legato ad un effimera notorietà che poco ha a che fare con la musica stessa. Se il messaggio, fortemente pericoloso, continuerà a evidenziare che siamo tutti artisti anche attraverso un computer, diventerà molto difficile parlare del passato, che è la nostra storia e quindi indispensabile da conoscere; poi si può pensare a qualcosa di nuovo. Credo che la musica sia di chi la ama veramente, ed è disposto ad affrontare lo sconosciuto che essa contiene per aprire i propri orizzonti. Molte persone dicono di amare tutta la musica, poi ti accorgi che ascoltano per una vita solo un paio di cantanti e realizzi che è l’esatto contrario.
Un mio amico bassista Jazz, Dino Cerruti, mi ha dato dimostrazione di come anche uno strumento tipicamente appartenente al concetto di “sezione ritmica”, possa avere funzione di accompagnamento, e sentire la voce di Danila Satragno, unita al solo basso elettrico, mi ha dato una visone nuova dello strumento. Quanti segreti esistono dietro al serio lavoro di un musicista e quanti luoghi comuni occorre smontare anche per chi, come me, si occupa di musica con una certa dedizione?
Secondo me non esistono segreti, la musica è una dura disciplina che poi si trasforma in emozioni e suoni. Lo strumento dovrebbe diventare una propria estensione mentale. Questo richiede anni di duro lavoro che non finisce mai. I luoghi comuni vanno smontati tutti perché la realtà è molto diversa, sempre. L’esperienza, e anche il talento, sono i ”segreti” se così li vogliamo chiamare.
Che cosa regala la dimensione live ad un gruppo di musica Jazz?
Energia, emozione ed unicità di quella serata che non sarà mai uguale all’altra.
Che tipo di messaggio invia, in generale, una musica senza lirica?
Per me un messaggio molto più profondo e libero, come poi era la musica all’inizio. Le parole limitano molto la musica chiudendola dentro un argomento, una melodia che spesso si ripete. Il discorso cambia se viene usata come uno strumento: prendiamo Demetrio Stratos, Ella Fitzgerald e cosi via.
Prova a immaginare il tuo futuro musicale dei prossimi tre anni… quanto Jazz vedi?
Il Jazz per me significa cambio continuo mentre improvviso, quindi qualunque musica suonerò ne sarà sempre pregna. Quindi vedo molto Jazz ma anche tutto il resto. Inoltre un ringraziamento va a Beppe Aleo, vulcanico leader della Videoradio sempre pronto ad ascoltare le mie idee e proposte che poi valutiamo ed elaboriamo insieme.
SITI DI RIFERIMENTO
PRODUZIONE/DISTRIBUZIONE
Videoradio - Edizioni Musicali & Discografiche