“The Evening songs” è l’album realizzato da Claudio Bellato e Dino Cerruti, due musicisti che definisco, senza paura di sbagliare, virtuosi del loro strumento, rispettivamente la chitarra e il basso (contrabbasso).
Ho da poco intervistato entrambi, ma in quelle occasioni non avevo ancora avuto occasione di ascoltare la loro proposta, e ho quindi perso il momento giusto per scendere nei dettagli.
Tra pochi giorni, il 16 aprile, la libreria Ubik di Savona ospiterà la presentazione ufficiale di “The Evening Songs” e, se ci sarà tempo, qualche approfondimento potrà essere realizzato.
Il disco si avvale della collaborazione di alcuni musicisti, amici, che sono Maria Grazia Scarzella alla voce, Rodolfo Cervetto alla batteria e Loris Lombardo alle percussioni.
Ho evidenziato la condizione di “amicizia”, cogliendo una vena polemica, o forse solo un po’ di delusione, presente nelle note di copertina firmate da Bellato e Cerruti.
Vale la pensa soffermarsi un attimo su questi concetti… vale la pena per me, che giorno dopo giorno racconto, scrivo e discuto sull’elevato valore intrinseco della musica, più elevato del concetto di “suono e performance”, un mondo dove possono accadere miracoli che in altri campi sono solo sogni, al massimo ad occhi aperti. Questa è la mia esperienza di amante della musica, e non di musicista, ma il risultato di un album fatto in armonia, con le persone giuste e con la voglia di condivisione, può portare ad un “lavoro” come quello realizzato da questi artisti savonesi, che riescono a sintetizzare in undici brani un po’ di storia della musica, condensata in un format dove gli aspetti personali si uniscono a quelli oggettivamente universali.
Sto parlando di professionisti, nel senso della competenza, del talento e dell’esperienza, ma qualche genio musicale messo assieme non da come risultato certo il gradimento degli ascoltatori ( che non ha niente a che vedere con la perfezione tecnica). Occorre cercare un percorso, un filo conduttore, tenendo presente che, se è vero che si suona e si compone innanzitutto per se stessi, quando si decide di venire allo scoperto, arrivando alla conseguente di visibilità, si deve cercare il passepartout per entrare in sintonia con l’ascoltatore, provando a donargli qualche emozione, un momento di serenità, e perché no, un attimo di sana tristezza.
Niente come la musica ha questo potere, e anche in questo senso credo che “The Evening Songs” sia un album riuscito, contenitore dove il gusto si sposa all’onestà, e il talento si mischia alla semplicità.
Devo dire che Claudio Bellato e Dino Cerruti, due musicisti che ho visto dal vivo, sono in grado di tenere il palco da soli. Non è un’osservazione ovvia. La peculiarità di Claudio è quella di muoversi, con lo stesso fantastico risultato, in campi e generi differenti, che vanno dal blues alla sperimentazione, dal classico al jazz, con tanta voglia di improvvisazione. Dino non è da meno, ed è capace di usare il proprio strumento nel modo meno conosciuto. Sono infatti rimasto sorpreso nel vedere una sua breve esibizione dove il basso elettrico era usato come unico elemento accompagnatore di una voce, splendida. Era un brano dei Beatles, una canzone “antica” che, abbigliata di veste diversa, è diventata una rivelazione.
Anche la rivisitazione di alcuni “pezzi” di questo album può essere considerata una rivelazione!
Faccio un esempio concreto. La seconda traccia, “Io che amo solo te”, di Sergio Endrigo, è qualcosa che non mi appartiene, una canzone che nella mia adolescenza era quanto un giovane rockettaro dovesse obbligatoriamente evitare. La mia maturazione non ha portato a sconvolgimenti nei gusti musicali, semmai a minore rigidità, ma risentend il brano, attraverso la voce di Maria Grazia Sgarzella, ho rivalutato sia la poeticità del testo che la linea melodica.
Ma perché l’autore “Sergio Endrigo” entra in contatto con due jazzisti, improvvisatori, uomini rock, e molto altro ancora?
Provo a interpretare, sapendo che difficilmente troverò la giusta chiave di lettura.
L’album è un mosaico composto da varie caselle, undici, non tutte con apparente legame.
Si passa dal romanticismo del brano appena citato e di “Gelsomina”, di Nino Rota, al jazz di Keith Jarret, Miles Davis, Ralph Towner, Bill Evans, Thelonious Monk, Jimmy Webb e Django Reinhardt. A completamento un brano di Bellato, “Spanish Blue”, e uno di Cerruti, “Our Astor”.
Il jazz potrebbe essere “l’amore comune” usato come collante, ma è secondo me solo un mezzo per esprimere qualcosa di maggiormente legato alla vita quotidiana, non solo di quella di valenti musicisti. Se gli autori scelti possono rappresentare tappe significative di una vita, non è in vece casuale la necessità di esprimersi attraverso una musica capace di evocare tristezza e felicità, esuberanza e necessità di riflessione. Noi, uomini e donne, siamo esattamente così, e se abbiamo la sensibilità giusta, e magari sappiamo fare tre accordi su di una chitarra, andremo alla ricerca, o proveremo a creare, ciò che Claudio, Dino e gli altri amici hanno saputo trasferire su “The Evenings Songs”. La classe sta poi nel cercare alcune “perle”, rivederle in modo autonomo e riproporle con un vestito personalizzato, ma credo occorra fare un piccolo sforzo supplementare per evitare di catalogare un album come questo come appartenente a un genere, o come una sorta di raccolta di successi impreziosita da qualche novità d’autore. Le novità appunto.
Due dimensioni differenti che navigano in uguali aree intimistiche, esprimendo e suggerendo emozioni diverse.
Nelle due occasioni, la prima, “Spanish Blue”, più classica, e la seconda, “Our Astor”, più melodico/elettrica, il virtuosismo a cui accennavo inizialmente esce fuori con prepotenza; non è puro sfoggio di bravura, ma, ancora una volta, la voglia di regalare “immagini”, stati d’animo.
Ascoltando “Our Astor” ho ritrovato anche una similitudine nobile con un grande musicista, Carlos Santana. Non mi riferisco tanto alla sonorità della chitarra, facilmente riproducibile, ma alla ricerca di un certo filo melodico che è proprio solo del chitarrista “messicano”. Melodia, tecnica, passaggi complicati e raffinati… il vero sunto dell’intero album.
Bene, benissimo i tre musicisti “in più”, non solo professionisti, ma uomini e donne al posto giusto, che spero di sentire presto dal vivo, magari proprio alla presentazione del 16 aprile.
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