“Melapesante”, album neonato di Syndone, esce a distanza di diciotto anni dai precedenti “Spleen” e “Inca”. La logica, confortata dal pensiero del leader, il tastierista Nik Comoglio, indirizza verso sentieri completamente nuovi, perché il ponte temporale è talmente ampio che giustifica l’idea di nuova musica, di nuova band, di nuova proposta. Il tempo che passa cambia gli uomini, e le modifiche personali e del mondo circostante si riflettono sul lavoro del musicista, che cercherà di condensare in un tempo infinitamente piccolo (rispetto alla vita stessa), quello di un album, “l’essere nuovo” che ormai è divenuto.
Mi immagino l’emozione provata da Comoglio, di fronte alla consapevolezza di avere in mano il progetto giusto e i compagni di viaggio ideali, quegli uomini che, a seconda del momento, sono attori principali o comprimari, e che possono determinare il raggiungimento pieno di un obiettivo.
Questa apparente inutile premessa mi consente di traghettare il potenziale lettore verso l’argomento trattato, originale, come il primo peccato a cui “la mela “ è legata. Eh sì, i dieci “capitoli” del concept album sono dedicati alla “Mela”.
Credo che le dinamiche che portano a mettere al centro del proprio lavoro musicale una storia, un oggetto, un amore, possano essere casuali o studiate a tavolino; casuali come un frutto che cade sulla testa dello scienziato, o studiate a tavolino come potrebbe fare un pittore che decide di scioccare il prossimo, attraverso le ombre e le luci riversate sulle sue tele.
Di fatto si potrebbe trarre ispirazione da una bottiglia vuota… o da una piena, ma se si decide di raccontare la storia del mondo, attraverso un simbolo, e a questo percorso si unisce musica “nobile”, il risultato può andare oltre le più rosee aspettative.
Niente più della mela è legato a miti e simbolismi, a partire dal Paradiso Terrestre sino ai giorni nostri. Peccato, conoscenza, fecondità, guerre, bellezza, seduzione, arte e scienza.
La dinamicità che presenta il frutto in questione è il presupposto per una storia in musica potenzialmente capace di fornire enormi stimoli ad un gruppo di lavoro musicale.
Il disco di Syndone mi appare riuscito in tutto.
Se la musica è già elemento sufficiente per “alterare” uno stato umorale, la cosa si trasforma, in meglio, quando esiste un fine superiore e il lavoro globale assume anche un ruolo culturale, magari non ricercato con estrema forza, ma poi dimostrato nei fatti, che a volte prendono la mano. Facile, estremamente facile, capire l’impegno e il lavoro che sta dietro ad un’opera come “Melapesante”.
La musica è dichiaratamente “Prog”, filone da cui arriva Nik Comoglio. Ma è un prog particolare, oserei dire diverso, ricordando che tra Genesis, YES, ELP e Gentle Giant, tanto per citare qualche antenato di tutto rispetto, esistono differenze profonde, che sono solo caratterizzanti, ma non riducono il valore di nessun protagonista.
Syndone riporta alla parte più sinfonica della categoria citata, con utilizzo di atmosfere classicheggianti, ma con fughe verso il jazz e con la ricerca di un suono ben preciso, che esclude la chitarra distorta (nell’intervista a seguire una domanda verte proprio sull’argomento), a favore di strumenti non usuali nel genere, come il vibrafono, l’oboe, l’armonica e un set da orchestra.
L’utilizzo dell’hammond e del moog rappresentano poi un reale tuffo in un periodo storico importante, gli anni ’70, periodo in cui Keith Emerson in primis portò verso la massa strumenti conosciuti sino ad allora da un elite di persone.
Tra tanta forza penetrativa, quella foga che, ahimè, ritrovo solo nella musica prog, "Melapesante" ci regala momenti intimistici, come la splendida “Magritte”, un soffio delicato tra un oceano di suoni.
Sorprendente la voce di Riccardo Ruggeri, in bilico tra dolcezza e ruvidità di espressione, tra potenza e sperimentazione.
Quello della voce è spesso un neo che accompagna band di assoluto valore. Non è questione di potenza, di estensione vocale, ma una musica complessa come quella progressiva non ha bisogno di “una bella voce”, ma di una voce adatta, miscela difficile da realizzare ma, come dimostrato da Syndone non impossibile.
Un bella sorpresa e una proposta di qualità.
La traduzione di mela in inglese, lo sanno tutti, è “apple”.
La masterizzazione di “Melapesante” è avvenuta negli studi Abbey Road, ed è inutile descrivere il motivo della fama di quel luogo.
Nel 1968 i Beatles fondarono la “Apple Records”… e se il progetto di Syndone fosse una trama che parte da lontano?
Comunicato stampa:
INTERVISTA
Domanda banale, ma che continuo a rivolgere perché le risposte sono sempre diverse, e ogni volta aggiungo un pezzo al mosaico. Quali sono i canoni che, secondo te/voi determinano la musica progressiva?
Poliritmicità, armonie complesse (ma non complicate), tempi dispari e struttura dei brani possibilmente non conformi alla “song” classica. Poca, se non nulla influenza pop. E ancora ricerca del suono, ricerca della “forma nuova”, agganci alla musica colta in genere (specialmente quella classica), aderenza ad un canovaccio o ad un tema letterario prescelto per le liriche, ricerca della bellezza della parola a volte a discapito del suo significato, uso di strumenti vintage insieme a quelli di nuova generazione, predilezione della grafica sulla foto per le cover, lunghezza media dei brani cantati più alta del normale, presenza di brani puramente strumentali, atonalismo, recitativi/recitati.
Le nuove proposte prog, abbondano. Quali le differenze significative, in termini di sound, tra Syndone iniziale e quella attuale e, prolungando il concetto, tra gli anni ’70 e oggi?
I vecchi Syndone avevano un sound che ancora strizzava l’occhio al jazz-rock e in parte anche al pop; all’epoca di “Spleen” eravamo stupiti dalle potenzialità e dalle possibilità delle sample machines che alla fine degli anni ‘80 letteralmente imperversavano. L’uso di queste macchine rese il nostro suono interessante ma non così personale. Oggi, siamo molto più originali, perché c’è stata, da subito, una costante ricerca sia da parte mia, sia da parte della band sul sound. Ogni suono di tastiera (per quanto concerne il mio contributo) è stato inventato sul campo unendo nuovo ed antico. Abbiamo registrato “Melapesante” con la mentalità che si aveva negli anni 70’: no editing – no kbds presets – no copia/incolla – no tecnicismo fine a se stesso, no alla complicazione, sì alla complessità, sì all’emozionalità, sì all’effetto che ti sbalordisce, sì alla manualità (a me piace ancora toccare i fades del mixer con i polpastrelli). Poi le nuove microfonature per la ripresa del suono ed il mastering ad Abbey Road hanno messo la loro cornice “attuale” al progetto. Siamo stati un po’ artigiani e un po’ informatici! E’ questa mancanza di “artigianalità” dello studio di registrazione la differenza tra il prog. di oggi e quello di ieri. Oggi è tutto troppo facile, immediato e standardizzato… il risultato è che così le nuove produzioni tendono tutte ad assomigliarsi inevitabilmente.
Ho notato come, in tutti i progetti Syndone, viene sottolineata la mancanza di chitarra, strumento caratteristico dei gruppi che hanno marcato il genere (anche con ELP l’acustica di Lake ha avuto il suo ruolo). Trattasi di “avversione” per lo strumento o di incompatibilità con l’idea musicale di base?
L’idea di non usare la chitarra è sempre stato un punto fondamentale per me: già nel 1989 quando formai i Syndone pensavo che avrei dovuto assolutamente evitare il suono dell’ elettrica distorta per avere il suono più personale possibile… non che non mi piaccia questo strumento, ma trovo che venga usato troppo e in modo sempre troppo poco personale. Il fatto di non avere la chitarra elettrica mi ha “costretto”, per così dire, ad inventarmi un suono distorto di synth che posso personalizzare a mio piacere durante una esecuzione live, variando in tempo reale i parametri del VCA e il VCF dell’analogico pilota, o agendo direttamente sull’effetto phaser/distorsion, o addirittura cambiando la forma d’onda. Non è mai lo stesso suono, anche se si capisce che è lo stesso! Non credo che un chitarrista potrebbe darmi lo stesso ventaglio di possibilità sonore. Ma non c’è avversione – è stata una scelta!
Nik Comoglio appare come l’evidente leader del gruppo. Immagino che il resto della band sia importante per la messa in pratica delle idee, ma quanto spazio c’è, per il singolo componente, nella fase compositiva?
Ti dirò che uno dei fattori determinanti che mi ha spinto a riprendere le fila del discorso “Syndone” dopo tutto questo tempo è stata proprio l’idea di poter fare musica con persone di alta caratura professionale in possesso di una cultura musicale molto vasta. Non c’è altro modo per essere sempre originali, convincenti e quindi durevoli nel tempo: bisogna interagire con gli altri! E’ un “affidarsi” alla competenza dei singoli componenti della band, dando loro piena libertà espressiva sia sul proprio strumento sia a livello compositivo , pur rimanendo nel genere s’intende. Per “Melapesante” la composizione è passata solo da me e Federico perché eravamo quelli che avevano i pezzi più attinenti al genere, e perché forse abbiamo un po’ più di esperienza di scrittura nel settore.
Escludendo il lato tecnico, cosa significa dal punto di vista emozionale un “passaggio” ad Abbey Road?
Significa avere sempre i brividi: sin da quando scendi alla fermata metro di St. John’s Wood e prendi un caffè al Beatles shop che vende di tutto e di più del più grande gruppo pop della storia, a quando cominci ad intravedere la via con il “famoso” zebrato pedonale” attraversato da centinaia di persone che si fotografano a vicenda, a quando entri alla reception e vedi la fila degli orchestrali della London Symphony che vanno a lavorare nello studio 1 (magari su un film), a quando sali le scale verso gli studi mastering e vedi le foto dell’orchestra di Glenn Miller, o di Igor Stravinsky che dirige, o gli scatti dei Beatles durante la lavorazione dei primi album, o Jimmy Page e Robert Plant durante una pausa di lavoro, i Pink Floyd, Ella Fitzgerald e altri mostri sacri del jazz… ma anche vedere pile interminabili di master accatastati vicino a banchi Studer di buona memoria, il tutto pervaso da quel continuo senso di “essere” nel posto dove si è fatta veramente la musica che conta e che, in parte, ha cambiato il mondo.
Sono convinto che si possa creare, fare cultura e interessare il prossimo, partendo da elementi semplici, con cui conviviamo e che mai degniamo della giusta considerazione. Perché lo sguardo è… caduto sulla mela?
Per la sua simbologia al contempo semplice e complessa! Avevo un pezzo (che diventerà poi “mela pensante”): mi immaginavo la soggettiva di una mela che sta appesa ad un ramo di un albero sotto al quale c’è Newton in persona, meditabondo. Questa mela non sa ancora se cadergli in testa oppure no, perché da un lato sa che potrà contribuire alla scoperta della legge di gravità, dall’altro sa che darà il via alla cosmologia moderna con tutte le problematiche ad essa connesse. Abbiamo optato per la mela perché presenta sempre una ambivalenza tra positivo e negativo, molto stimolante da un punto di vista narrativo.
Trovo sempre più spesso gruppi di musica progressiva che gravitano nella zona torinese o comunque piemontese. Esiste, in generale, qualcosa di impalpabile che lega e accomuna dei musicisti alla regione in cui essi vivono? Può “l’aria” della propria terra condizionare il risultato musicale?
No, non credo. In questo non ho mai trovato corrispondenza di sorta – Francesco, ad esempio, è di Varese ed è come se l’avessi conosciuto ieri – l’unica cosa che credo possa accumunare dei musicisti di una stessa regione ad avventurasi in un progetto discografico è la facilità a ritrovarsi in un dato luogo per provare e buttare giù idee… se si è più vicini si è più comodi… e si spende meno in benzina.
Quanto è importante che l’interlocutore discografico, nel vostro caso Beppe Crovella, sia anche un musicista?
Importantissimo e basilare per la riuscita del lavoro. Non dimentichiamoci che fare musica è un’arte: non molti produttori se lo ricordano.
La voce di una band è un elemento di immediata distinzione, alla stregua di altri strumenti capaci di garantire l’istantaneo riconoscimento del sound e di chi lo propone. Quali sono le caratteristiche che deve avere un cantante che interagisce all’interno del vostro progetto? Esistono i vocalist che riescono ad esprimersi con più efficacia specificamente nel prog?
Il ruolo del cantante in un disco prog è indubbiamente difficile. Il genere, prevedendo spesso parti strumentali, non consente una presenza costante del cantante in front stage, a meno che non sia anch’egli uno strumentista. Nei momenti cosiddetti “orchestrali” il vocalist puro deve sopperire con presenza scenica muta (molto difficile) o con presenza scenica teatrale, alla Peter Gabriel per intenderci, raccontando senza cantare e continuando a catturare l’attenzione con il proprio carisma e la propria presenza scenica. Per quanto riguarda la nostra band trovo che Riccardo abbia ambedue le caratteristiche oltre che un timbro molto particolare che conferisce spessore artistico alle liriche ed al sound in generale.
Quale potrebbero essere i successivi atti di Syndone, da qui al 2016?
Concerti dal vivo e almeno altri 3 dischi.