giovedì 17 febbraio 2011

Stefano Amen-"Berlino, New York, Città Del Messico"


Stefano Amen è un cantautore torinese e l’album di cui traccerò qualche linea si intitola ” BERLINO, NEW YORK, CITTA' DEL MESSICO" .
Il termine “cantautore” ha per me un significato ben preciso, che va al di là della definizione di “colui che interpreta canzoni da sé stesso composte”. Non mi viene naturale, ad esempio, considerare appartenente alla famiglia dei cantautori chi “inventa” una canzone e poi la propone al Festival di Sanremo. Stereotipi, luoghi comuni, ovvietà, ma per chi ha come me, purtroppo o per fortuna, vissuto gli anni ’70, l’uomo che imbraccia una chitarra e si mette su un palco, di fronte a un pubblico preparato, da solo o in compagnia ristretta, è sempre uno che ha da dire cose estremamente serie, magari non apprezzabili dai milioni di amanti dell’easy listening, ma è certo che l’impegno non sarà rivolto alla creazione del brano accattivante che venderà bene, mentre tutti gli sforzi avranno l’obiettivo della qualità, del messaggio, o anche del mero racconto di una vita, di per sé già grande proposta.
La musica di Stefano Amen colpisce immediatamente e racconta molte cose, ma per approfondire il personaggio ho chiesto il suo aiuto, ponendo le mie solite domande, che presento a seguire.
L’idea generale che mi sono fatto è quella che, se esiste ancora quello status di “cantautore” a cui accennavo, Amen ci rientra a pieno titolo, ed è questa una valutazione che, se da un lato può dare indicazioni a chi si avvicina per la prima volta all’artista, non necessariamente deve dare soddisfazione al protagonista, perché chi trasforma le proprie idee in canzoni non ha mai nella testa il fine di rientrare in una casella piena di nomi per sentirsi in compagnia. Questo vale a maggior ragione per Stefano Amen che, come emerge dall’intervista, dichiara apertamente di non trovarsi a proprio agio in un gruppo, seppur nobile, sentendosi un “esploratore musicale” piuttosto che un cantautore.
L’album, scritto musicato e arrangiato da Amen, pur nella sua originalità, contiene le contaminazioni che scaturiscono dalla formazione dell’artista, in equilibrio tra la musica di Bale Street, le contraddizioni della costa ovest americana e le difficoltà della periferia italiana. E se non esiste esperienza diretta, sarà sufficiente ciò che si annusa nell’aria, quasi sempre veritiero. Quando Stefano visiterà davvero la New York di cui parla, si accorgerà di conoscerla già, perché il fumo che nei film si vede uscire dai tombini è cosa reale… tutto è come sembra da lontano.
Mi viene spontaneo definire questo ” BERLINO, NEW YORK, CITTA' DEL MESSICO" , un disco blues, definizione che può facilmente portare fuori strada.
Come credo sia molto chiaro a Stefano, il blues, nel suo significato più profondo, non ha niente a che vedere col … conoscere bene una parte e trasferirla perfettamente sul proprio strumento. Il blues significa essenzialmente sofferenza, dolore, vita vissuta, ed è indifferente il colore della pelle o il luogo in cui si è nati, se Berlino, New York o Città del Messico.
Questo dolore, magari non personale ma vissuto per induzione, riempie l’album, dando pennellate cupe di realtà ad ogni atto.
In fondo, ogni essere umano avrebbe centinaia di storie da raccontare, molte delle quali negative, con possibile funzione didattica, o almeno di denuncia costruttiva.
Ma a pochi (rispetto alla massa) è concesso di trasferire tutto in una canzone, che potrà condensare e far vivere per sempre il pensiero di un attimo.
Stefano Amen è tra questi eletti, e lo trovo perfetto nel raccontare e nel raccontarsi, in modo estremamente efficace. La voce ad esempio, da lui definita “lo strumento più antico”, non ha niente a che vedere con “l’esercizio dell’abilità pura”, ma è completamente funzionale alla storia, mutevole ad ogni capitolo.
Ma fare opera di scissione tra i brani, o tra gli elementi musicali che li compongono, risulterebbe riduttivo, meglio avvicinarsi a questo album e predisporsi a riceverlo in toto, magari mettendo in conto un po’ di velata tristezza e qualche conferma, nel caso ne avessimo bisogno.
Un gran bel quadro questo “BERLINO, NEW YORK, CITTA' DEL MESSICO", a cui ne seguiranno altri… è inevitabile!

TRACKLIST:

1. Tequila Amore Mio

2. Crack
3. Quale
4. Come Non Detto
5. Berlino, New York, Città del Messico
6. Nessuno
7. Incidente in Danimarca
8. Criminali
9. Tequila Blues





INTERVISTA

Nel comunicato stampa si evidenzia la vivacità di proposte che negli ultimi tempi arrivano dalla “fascia torinese”, elemento che a mio giudizio non riguarda solo il cantautorato. Che tipo di legame esiste , secondo te, tra la musica e “la terra” di chi la crea? Esiste una sorta di influenza geografica?
Torino è la città in cui ci siamo incontrati e abbiamo cominciato a lavorare io e un'altra manciata di cantautori che conosco e frequento: Deian, Matteo Castellano, Vittorio Cane e altri musicisti. La cosa buffa è che nessuno di noi è di Torino bensì di paesi in provincia. Tra l'altro nessuno è di origine piemontese a parte Matteo. Lo sradicamento è totale e magari finisce per essere una delle fonti d'ispirazione. Idealmente mi piacerebbe dire che il territorio comune di chi fa musica sia l'onirico e il simbolico ma purtroppo non è così, il legame tra noi è qualche musichetta sentita nei film o magari un buon disco sentito da piccoli.

Come nasce Stefano Amen, musicalmente parlando? Qual è la tua “base?”
Mio padre suonava la chitarra ed era appassionato di musica. A dodici anni molto naturalmente ho cominciato a strimpellare tanto per scimmiottarlo. Verso i sedici ho conosciuto una ragazza molto più grande di me che mi ha aiutato a percepire la bellezza di un' opera d'arte, di un libro, di una poesia e così ho ricominciato gli studi daccapo con indirizzo d'arte. In seguito molto naturalmente ho unito le cose. Per certi versi è stata una fortuna, l'unica alternativa che riuscivo a vedere era fare il barbone.

Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali, in Italia e all’estero?
Sono moltissimi. Come per tanti appassionati di musica posso dire di avere avuto innamoramenti profondi che hanno scandito periodi della mia vita soprattutto adolescenziale. Quindi è difficile per me ora parlare di qualche artista in particolare. Forse l' unico modo per rispondere a questa domanda è quello di trovare delle figure costanti. Ma anche qui mi viene da pensare ad un elenco magari troppo lungo. Quindi devo essere molto sincero e nominare pochi fra molti. Passando al setaccio tutti alla fine mi scopro molto classico (strano pensavo di essere iconoclasta!). Comunque sinceramente Syd Barrett, Cohen, Eno, Kraftwerk, Gainsbourg e via così; italiani invece su tutti Paolo Conte, poi gli anni settanta di De Gregori, Battiato e via così...tutti molto classici no? Quelli giovani e attuali non li considero di riferimento. Sono miei contemporanei, li ascolto magari volentieri se mi capita. Stimo molto Uochi Toki ma ho sentito poche canzoni.

La definizione ”cantautore” reca in sé l’idea dell’impegno, di una musica e di un musicista che ha, tra gli obiettivi principali, la denuncia o il lancio di messaggi. Cosa pensi possa fare, in concreto, un artista che decide di passare all’azione, e per farlo utilizza la propria arte?
Non lo so proprio. Questa domanda è spiazzante. Non riesco a concepire un artista che decida di passare all'azione. Quando uno fa una cosa la fa e basta. Tutti dovrebbero fare le cose onestamente. Poi se quel qualcuno è scandalizzato dall'attualità proverà a comunicare il proprio sdegno o delle linee politiche da seguire. Se uno è schifato dai costumi o dal perbenismo (come me) proverà con la propria vita e va da sé con le proprie creazioni a dare esempi diversi. Un altro ossessionato dalle proprie visioni cercherà in quelle. Quindi io credo che un artista proverà di concreto a essere una persona straordinaria visto che l'ordinario è quello che è. Spero che questo obiettivo sia però l'obiettivo di più persone possibile. Non solo degli artisti.

Immagino che il titolo del tuo album ("BERLINO, NEW YORK, CITTA' DEL MESSICO")sia il frutto di tue esperienze in quei luoghi, ma in linea di massima ritengo che la musica non abbia davvero confini. Ti senti una sorta di “cosmopolita musicale?”
Berllino, N...” è la canzone che dà il titolo all'album. Non sono mai stato in nessuna di queste città e per la verità le ho sempre escluse volontariamente dalle mie pellegrinazioni. Sono città che ho sempre idealizzato perché hanno in se un immaginario molto forte per me. Ho usato proprio queste caratteristiche per scrivere di luoghi o persone ideali. Che rimangono perfette proprio perché ideali. Perfette ma anche lontane dall'esperienza sulla pelle, quella che io ho per forza di cose dovuto fare a Settimo Torinese crescendoci. Credo che per crescere però siano importanti entrambe le cose, le nasate e i sogni. Quindi ho scritto questa canzone. La musica non dovrebbe avere confini ma spessissimo li ha. Li ha quando caratterizza gruppi di persone che si coalizzano, si vestono, parlano, riconoscendosi proprio attorno ad un fenomeno musicale che nasce in seguito a disagi di certe classi. Ci sono molti esempi. In molti casi è un bene che sia così. Io per mia costituzione sono sempre stato alla larga dai fenomeni di gruppo e ancora di più di massa ma comprendo che molti abbiano bisogno di identità e la musica può aiutare a dar loro quella identità. I confini sono principalmente mentali e culturali, non geografici, se per geografici li intendiamo legati al territorio e alle tradizioni. Cosmopolita io? Certo se questo vuol dire trascendere dai confini nazionali, politici e culturali lo sono.

Ho sentito una sola volta (per ora) il tuo lavoro e, lasciandomi guidare come sempre dal feeling iniziale, mi viene da sottolineare come “dietro ad ogni angolo” di ogni brano ho spesso trovato l’accordo di chitarra che non mi aspettavo. Mi sbaglio se dico che esiste una grande ricerca armonica, non sempre inseguita dal musicista che si esprime attraverso voce e chitarra?
Esiste certamente una ricerca, obbligatoria direi, se uno con una canzone vuole descrivere delle sensazioni. Gli strumenti per ottenere un risultato efficace sono tanti. Uno di questi è l'armonia. Fa parte di questo mestiere. Sia chiaro che si può fare benissimo anche con una parola e con un accordo anche se è molto più difficile. Spessissimo credo di non fare lo stesso mestiere della maggior parte dei cantautori vicini e lontani. Infatti non mi definirei cantautore ma come ho sentito nel documentario su Dylan di Scorsese mi piace “esploratore musicale”. Mi piace come definizione. La sottoscriverei.

Anche la tua voce, al di là della timbrica, è molto particolare. E’ tutto naturale o esiste dello studio dietro al modo di porsi?
Ecco un altro degli strumenti, il più antico: la voce. Ci sto attento. Cerco di scrivere cose che mi possano poi emozionare cantandole. Pensa che noia sennò...

Esistono punti di contatto tra il cantautore targato ’70 e quello dei giorni nostri?
Negli anni 70 ero un bambino e non ho conosciuto di persona nessun cantautore dell'epoca. Quindi non lo so. Forse avevano più voce in capitolo visto il ruolo che coprivano, ma proprio per questo più responsabilità perché la maggior parte dei loro ascoltatori era anche molto critica politicamente parlando, nei confronti di chi chiedeva loro un prezzo sul biglietto. Peccato che poi gli artisti dovevano cantare le idee che il pubblico voleva sentirsi cantare. Una specie di disco inceppato che diceva sempre le stesse cose. Poi però ci sono stati a mio avviso degli autentici fuoriclasse che hanno preferito essere liberi artisticamente non riuscendo a sperare in una società libera hanno dato un esempio diverso di integrità individuale.

Che cosa è il blues per Stefano Amen?
Per me blues è una parola abusata. Come sostantivo è il modo di chiamare un fenomeno musicale che ha attraversato tutta la prima metà del XX secolo e poco più caratterizzando la comunità nera degli Stati Uniti. Per quanto riguarda l'aggettivo blues è tutto molto più confuso. Mi piace pensare che abbia a che fare con la tristezza che si sublima cantando, con l'orgoglio di essere in vita nonostante tutto, trovare dignità solo nei vinti. Come il Duende e la Saudade è un sentimento che non si può tenere fuori dalla musica perché ne è uno degli strumenti. Quello invece che ho sentito mille volte in birreria suonato da bianchi che hanno studiato bene la scala blues e le sue variazioni invece è un'altra cosa.

Riesci a trovare soddisfazione attraverso la musica che non presenta liriche?
Mahler, Mingus, Piazzola, Bach, Coltrane, Bartok, Messiaen, Scelsi, la musica di Java, la musica Tibetana, la musica orientale in genere e moltissima musica tecno, non hanno liriche e io ne sono completamente rapito da sempre e sempre di più. Se una canzone non ha la voce di uomo o donna che in quel momento si sta giocando tutto (vedi Duende) non vale niente.. meglio strumentale.

Al di là di quanto già programmato, cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi cinque anni?
Fare più dischi possibile. Sia come Stefano Amen sia come Pinguino che è l'altro mio progetto in duo con Alberto Moretti di cui uscirà quest'anno il primo disco. Mi piacerebbe fare un paio di dischi per anno e fare molti concerti. Crescere professionalmente anche con il gruppo di lavoro con cui sto partendo: OrdignoProduzioni. Essere pronto finalmente a visitare Berlino, New York, Città del Messico. Potermi permettere di fare più concerti con la band visto che i cachet ancora non lo permettono.