Quando mi è arrivata la biografia dei Conqueror e ho appreso che la band aveva iniziato l’attività addirittura nel 1994, ho riflettuto sulla mia scarsa conoscenza di un certo mondo musicale che ha comunque spessore.
Ogni giorno scopro di avere grandi lacune, ed essendo estremamente curioso, musicalmente parlando, e non facendo quindi parte di quel popolo del web dedito soprattutto ai social network (riflessione di Natale Russo) mi viene da pensare che qualcosa non funziona dal punto di vista della pubblicizzazione e della visibilità. Il motivo per cui sto per parlare dei Conqueror e del loro ultimo lavoro, “Madame Zelle”, è la mia voglia di condividere e divulgare quella che ritengo buona musica, metodo che utilizzo con ogni nuovo gruppo che ritengo degno di nota. Questo è il mio piccolo contributo alla causa comune.
Entrando nel sito dei Conqueror (www.conqueror.it), sono stato colpito da alcune foto che presentano personaggi che conosco personalmente e che non smetterò mai di ringraziare per le emozioni che mi hanno dato e continuano a darmi. Ho chiesto a uno di loro, Bernardo Lanzetti, un giudizio critico sul gruppo e questa è stata la sua risposta che, se non fosse arrivata dopo l’ascolto di Madame Zelle, avrebbe potuto condizionarmi, avendo di Bernardo una grande opinione.
“Ho saputo dei Conqueror leggendo in rete un articolo di un sedicente esperto di Progressive magiaro/canadese. Nel caso specifico il soggetto psichiatrico, a conclusione di una critica oltremodo feroce quanto involontariamente comica su tutta la "carriera Prog" del sottoscritto, poneva come valido esempio di riferimento alternativo il sopracitato gruppo. Dopo una mia veloce documentazione sui loro lavori, e' stato quindi curioso e molto bello venire spontaneamente contattato da Simona Rigano e Natale Russo (naturalmente ignari del magiaro/canadese) per partecipare a un loro concerto in quel di Parma e aver modo di conoscerli anche dal vivo.
A mio modo di vedere i Conqueror, nelle loro scorribande a tutto Prog, riescono ad essere originali soprattutto per il modo in cui la lingua italiana viene usata più come "moderna cronaca epica" piuttosto che poesia scolastica applicata a frasi musicali, ovvero ciò che è la regola per la maggior parte delle band nostrane.
Spesso mi si chiede di esprimere giudizi di "bravura" sulle band e sui loro componenti e io sempre devo ricordare che, viste le tecniche di registrazione, è molto difficile “sentenziare” senza aver "lavorato" con i soggetti. Ebbene, ho avuto il piacere e l'onore di dividere quel palco con i Conqueror in performance flash per il loro pubblico. Posso ricordare la loro padronanza e rispetto per le composizioni e di certo non posso dimenticare la sorprendente trascrizione per pianoforte di "Morning Comes" dove Simona si è superata arrivando ad armonizzare, dal vivo in parallelo con la voce mia, alcune delle parti che erano dell'Acqua Fragile.”
Questa la biografia ufficiale dei Conqueror:
Il primo ascolto di “Madame Zelle” è avvenuto in auto, location non ideale nonostante un impianto di qualità, ma per contro un viaggio solitario favorisce la concentrazione.
L’immediata considerazione spontanea, è comune ad altre esperienze e ricordo di averla sottolineata in occasione della “lettura” “PTAH” di PHAEDRA: certi album, collocati in un diverso spazio temporale potrebbero diventare pietre miliari del prog italico, alla stregua di “Zarathurstra, unico disco del Museo Rosemback. Non ci è dato al momento di sapere che tipo di percorso seguirà “Madame Zelle”, ma mi auguro che abbia il consenso che merita in tempi ridotti.
E’ questo il quarto album della band messinese, il secondo concept.
Nelle intenzioni dichiarate del gruppo, c’era una forte volontà di presentare un lavoro vintage, un album prog che riproponesse anche nei suoni la musica, certa musica, di inizio anni 70, senza tralasciare l’elemento melodia. Il concept album incarna in pieno quello spirito antico.
L’argomento trattato è affascinante e inusuale, la storia e la leggenda di “Mata Hari”.
Ogni vita vissuta, antica e presente, potrebbe essere rappresentata in musica (e a teatro), certo è che la vita non comune di Madame Zelle si presta al mettere in scena i sentimenti più forti, positivi e negativi, che da sempre animano le vicende umane, e la tragedia finale, dopo un’esistenza travagliata e ricca di “movimento”, appare come un epilogo scontato a cui era obiettivamente difficile opporsi.
Stimolante, suppongo, cimentarsi con una storia reale simile, magari diventata un po’ “romanzo” col tempo, ma decisamente “completa”.
Una donna racchiude un mondo in sé, e cimentarsi nell’associare la musica alla bellezza, alla fragilità d’animo, alla gioia, al dolore, al tradimento, all’affetto, alla delusione e alla morte, la sua morte, beh è di per se sforzo di enorme valenza. Se a questo impegno si unisce la qualità musicale, le idee, i suoni classici e quelli più tipici della nostra tradizione, il risultato può diventare pregevole.
Difficile per me sottolineare le influenze di base, fatto di per se inutile, ma possibile aiuto per chi si avvicina solo ora ai Conqueror. Su atmosfere ad ampio respiro, tra alti e bassi che ricalcano la storia, i suoni “antichi” a cui accennavo vengono moderati dalla voce di Simona Rigano, in possesso di una timbrica in cui ci si può riconoscere a prescindere dal genere musicale che più si ama. Apprezzabile la sezione fiati di Sabrina Rigano, che utilizza al meglio flauto e sax, strumenti a mio giudizio ideali per tracciare gli stati d’animo mutevoli.
Mi sembra doveroso sottolineare la presenza delle due giovani musiciste, perché è fatto inusuale in quella branche della musica nata quarant’anni fa, il prog, certamente molto “maschile”.
Simona e Sabrina arrivano da studi classici, e non so quale tipo di fulminazione abbiano ricevuto!
Di fatto, come sottolineo nell’intervista, non ho memoria di numerose figure femminili dedite alla musica progressiva, e questo conforta il mio frequente pensiero che associa il classico al prog, utilizzando il link dell’immortalità.
Evidenzio anche che il secondo dei nove brani, “Indonesia”, mi è rimasto dentro sin dal primo ascolto, come un tormentone ossessivo, ahimè decisamente triste, come fu la vita di Madame Zelle e della sua famiglia in quel periodo.
Un bel album, una bella storia. E se nelle scuole si proponessero ogni tanto metodi alternativi?
L’intervista a Simona Rigano
Quando ho ricevuto il materiale che riguardava “Conqueror”, sono immediatamente stato colpito dalla foto del gruppo, la cui line up comprende due ragazze. Non ci sarebbe niente da evidenziare se non fosse che parliamo di progressive, genere in cui, anche nel passato il ruolo femminile era spesso confinato alla mera voce (ricordo solo Virginia Scott della Beggar’s Opera alle tastiere e non ho memoria di utilizzo di sax e flauto, e anche oggi, per restare in ambito italiano, conosco solo Elisa Montaldo del Tempio delle Clessidre che guida il suo gruppo prog attraverso le sue keyboards di varia natura). Come si può spiegare un avvicinamento a una musica così complessa da parte di due giovani donne che non hanno vissuto certi momenti del passato? Quale percorso può portare un nuovo musicista o ascoltatore, a una musica opposta all’easy listening? Chi può fare da linea guida, oltre a un padre che non ha dimenticato i suoi trascorsi?
Sia io che Sabrina abbiamo fatto un percorso di studi classici in conservatorio, ma, nonostante questo, siamo state sempre attratte anche da altri generi musicali: tra l’altro, da compositrice, ho sempre avuto la curiosità di ricercare tra le linee melodiche e le armonie di vari stili per creare poi un mio gusto personale. Conoscevo i Conqueror (primissima formazione) da tempo e la loro musica mi incuriosiva e mi destava particolare interesse, nonostante ahimé non conoscessi il genere. L’incontro con Natale (fondatore del gruppo), qualche anno dopo, è stato fondamentale: oltre ad essere un musicista, è anche un grande collezionista ed esperto di progressive, ed è riuscito a darci la chiave di lettura per entrare in un nuovo mondo musicale, dove non sono soltanto gli stacchi e i cambiamenti di tempo a dominare la composizione, ma che è anche ricco di interessanti soluzioni armoniche e melodiche.
Ho letto di una tua/vostra affermazione riguardante la poca curiosità del popolo della rete, più intento a frequentare social network che a cercare nuova musica. La mia “missione “ sul web è la condivisione di ciò che propongo, e ho sperimentato che con un minimo di volontà, l’’effetto domino può portare ad enormi scoperte, anche una persona “matura” quale io sono. E’ la mancanza di curiosità quella che limita la maggior parte dei fruitori di musica o è solo più comodo (e meno faticoso) vivere la musica che si conosce, ritenendo di non doverla mai mettere in discussione?
A mio parere, quello che gioca a sfavore della conoscenza è: sia la mancanza di curiosità, sia la poca voglia di andare al di là di quello che i media ci propongono. Purtroppo stiamo vivendo un momento artisticamente davvero difficile, in cui i musicisti di oggi sono costretti a fare delle esperienze assurde per cercare di essere apprezzati e dal loro canto i fruitori, non conoscendone l’esistenza, non possono valutare se un prodotto è valido o meno. Purtroppo si sta facendo sempre più strada l’incapacità di critica e l’accettazione apatica e passiva di quello che offrono Radio e Tv.
Vi siete cimentati con diverse cover di prog band famose. Ma esiste un gruppo del passato che si avvicina alla vostra idea di perfezione?
Per ognuno di noi sicuramente ci sono degli artisti che sono dei punti di riferimento. Personalmente sono molto legata ad un gruppo il cui percorso musicale è cambiato nel tempo, ma i cui componenti evidenziano delle caratteristiche proprie, dei geni musicali: mi rifesco ai Genesis. Sicuramente dischi come “Nursery Cryme”, “Foxtrot”, “Selling England…” e “The Lamb…” rappresentano degli immortali capolavori del progressive. Un altro gruppo che stimo molto, ancora oggi in attività e per questo molto longevo sono i Marillion, che ho avuto il piacere di ascoltare diverse volte dal vivo: sia nelle registrazioni che nei live è evidente una grande forza, dettata da un eccezionale gusto artistico e dalle grandi capacità dei musicisti.
Ciclicamente, nei campi più disparati, si ritorna a qualcosa di già visto, magari un Hammond con un Leslie, se parliamo di prog. Se facciamo riferimento alla performance dal vivo, che cosa vi risulta insostituibile di quanto apportato dalla nuove tecnologie a disposizione?
Per quanto riguarda la tecnologia moderna, cerchiamo di rimanere sempre aggiornati e di realizzare delle performance all’avanguardia. Sicuramente non possiamo fare a meno di alcuni strumenti che ci permettono di avere meno problemi possibili sul palco: è fondamentale per un musicista trovarsi a proprio agio per essere nelle condizioni di fare una buona performance. Nonostante questo, cerchiamo di mantenere l’assetto classico di un gruppo prog, con molte tastiere sul palco, batteria molto articolata e tanti, tanti colori …musicali intesi come utilizzo delle più svariate strumentazioni.
Un domanda che pongo sempre, partendo dal mio convincimento che una bella musica non deve necessariamente avere delle liriche. Che peso date ai testi? Pensate si posano passare messaggi ( e non di facciata) efficaci attraverso delle canzoni?
Nelle nostre composizioni, spesso, la musica occupa molto più spazio rispetto alle parti cantate, ma non per questo il significato del testo ha valore marginale: tentiamo sempre di trasmettere un messaggio con le parole unite alle nostre melodie, anche raccontando delle storie, come nel caso dei nostri ultimi album che sono dei concept.
Due anni fa ho intervistato una fantastica, giovane cantante, nipote di un amico, Annalisa Scarrone, dedita al Jazz e a diverse forme di musica “impegnata”. Oggi la ritroviamo ad” Amici”, in un contesto opposto, e credo abbia già raggiunto una buona visibilità che, se accompagnata al talento, non é da disdegnare. Cosa pensi/pensate del prolificare di queste trasmissioni, delle opportunità che vengono date a taluni mentre centinaia di artisti preparati non riescono ad avere le possibilità che si meriterebbero?
Beh, sicuramente nei talent show, che stanno invadendo tutte le reti televisive, si ha la possibilità di ascoltare delle ottime voci, giovani ma che conoscono bene le proprie capacità e le sfruttano al meglio, aiutati magari da insegnanti ed esperti che stanno anche dietro le quinte. Il problema, però, è che si da spazio solo al canto, quindi al singolo artista o al massimo ad un piccolo gruppo vocale: per la TV non esistono gruppi musicali, quando invece in Italia sono tantissime le formazioni che hanno anche alle spalle incisioni discografiche, ma che sono degli emeriti sconosciuti. Inoltre credo che dare una visibilità così gratuita sia poco educativo, non soltanto per chi partecipa ai talent show, ma per tutti quei ragazzi che li seguono e credono che il successo si possa raggiungere in pochissimo tempo, senza un minimo di studio e sacrificio.
Tendo a considerare la musica prog degli albori qualcosa di immortale, paragonabile alla classica, e c’è da restare stupiti pensando che gruppi come Genesis, Jethro Tull, Gentle Giant, VDGG, per citarne alcuni, sono riusciti ad inventare qualcosa che prima non era mai esistito e ognuno di loro rappresentava una proposta diversa, che attingeva a qualcosa di esistente(vedi ELP) ma lo trasformava in elemento originale. Impossibile, per chi fa musica, non restarne influenzato. Qual è, dal vostro punto di vista( il mio giudizio lo darò dopo attento ascolto), l’elemento nuovo della musica di Conqueror, quale il valore aggiunto all’interno di un genere che è comunque di nicchia?
I componenti dei Conqueror provengono da vari stili musicali: io e Sabrina veniamo dallo studio della musica classica, Natale dal prog ma anche dall’ascolto di altri generi, chitarrista e bassista dal blues e dagli standard rock … Questo fa si che nei brani dei Conqueror si mescolano le nostre esperienze, dando vita anche ad elementi contrastanti che poi diventano caratteristica del nostro far musica. Sembra banale, ma il nostro motto è cercare di non ripetere mai due volte la stessa cosa, intendo dire che se qualcosa assomiglia anche leggermente a qualche passaggio già sperimentato in precedenza e registrato su qualche nostro cd, scartiamo subito ed andiamo avanti, cercando di sforzarci a trovare nuove chiavi compositive.
Credo che la composizione di una musica non abbia schemi universali, ma il costruire un brano sia fatto soggettivo e modificabile a seconda delle situazioni, in funzione dell’ispirazione del momento. “Madame Zelle “ è un concept album, quindi una storia con un unico filo conduttore. E’ possibile che la vostra musica cambi in funzione di ciò che raccontate, che un fatto che colpisce particolarmente riesca a condizionare e condurre armonie e ritmi?
Certo che si. “Madame Zelle” segue cronologicamente la vita di Mata Hari e, sicuramente, al momento della composizione della musica e dei testi, avevamo bene in chiaro il significato di ogni singolo capitolo e l’espressione che volevamo dare ad ogni momento. Anche nei brani del concept precedente, “74 Giorni”, abbiamo lavorato secondo questa intenzione. Il nostro obiettivo, senza dubbio, è di fare arrivare all’ascoltatore quelle sensazioni che ci hanno spinto a raccontare una storia ed accompagnato durante la narrazione musicale dell’album.
Quanto incide l’amicizia( se esiste) nel raggiungimento dei vostri obiettivi? Essere professionisti, in generale, vuol anche dire arrivare alla fine del percorso senza estrema armonia?
Un gruppo che lavora insieme, sia esso musicale o artistico in generale, a lungo andare finisce per creare dei rapporti di amicizia e confidenza che portano a conoscersi intimamente, man mano che passa il tempo,. Questo è un aspetto positivo anche per la produzione artistica: conoscere e prevedere musicalmente un compagno di gruppo significa dare anche ad una semplice jam session più compattezza e sicurezza. D’altro canto è lecito che possano nascere piccole incomprensioni e dissapori: allora in quel caso deve intervenire la professionalità, che deve puntare l’obiettivo sulla riuscita del progetto.
Un ‘ultima domanda. Come vi vorreste vedere, tra dieci anni, dal punto di vista musicale?
Il panorama musicale attuale non promette grandi cose, per cui sperare di suonare all’Hollywood Bowl di Los Angeles mentre il pubblico canta i nostri brani mi sembra un’utopia. Indubbiamente mi piacerebbe nei prossimi dieci anni realizzare più concerti possibile, andare a suonare all’estero, magari in quei paesi in cui i nostri dischi vengono venduti di più, e continuare a comporre ed incidere nuovi lavori, come è stato finora.