Poco più di un mese fa ho raccontato in anteprima la nuova proposta di Fabrizio Poggi. Il mio pensiero è fruibile al seguente link:
Ciò che è racchiuso nella confezione doppia, CD + movie, è qualcosa di estremamente completo, complesso (per la realizzazione) ed educativo, ed è ciò che ogni appassionato di musica (non importa di quale genere) vorrebbe ritrovarsi tra le mani in occasione di un nuovo acquisto. Cosa utopistica, ma tra il bianco ed il nero, sono molteplici le sfumature a disposizione.
Come già evidenziato in fase di recensione, un generico DVD a carattere musicale è quasi sempre il “racconto” di un concerto, secondo l’esigenza comune che è quella di abbinare ascolto e visione. In questo specifico caso sono rimasto sorpreso nel trovare un vero “film”, tra musica e America, tra stili di vita differenti e incontro di culture. L’argomento “States” trova in me una enorme breccia aperta, ma il fatto di conoscere bene quei luoghi mi porta a dire che Columblues Days può essere assunto come riferimento, se si vuole trovare la chiave di lettura del blues, un termine che spesso si identifica con un genere musicale, ma che è molto, molto di più. Nell’intervista a seguire, Francesco Paolo Paladino regala la sua definizione di “blues”, a cui potremmo associarne altre, probabilmente tutte corrette, purché si resti nella sfera dei più genuini sentimenti umani, anche se non tutti nobili.
Paladino è il regista che ha condiviso l’avventura americana con Fabrizio Poggi & Chicken Mambo, filmando e raccontando un paio di settimane di vita attorno al Mississippi, realizzando un piccolo capolavoro.
Qualunque siano le nostre attività quotidiane, capita(spesso)che lavoro e passioni della vita non coincidano. Nel caso specifico l’incontro occasionale tra Paladino e Poggi, e il conseguente slancio spontaneo, sono il sunto di più passioni che si sovrappongono, e così la musica provoca la quasi necessità di intervenire e mettere del proprio per fissare per sempre un momento importante e donarlo a chi ha la sensibilità giusta per poterlo apprezzare.
Ma scopriamo la genesi del progetto e il pensiero del regista.
L’INTERVISTA
Per prima cosa… riesci a descrivere la tua storia professionale in formato “bignami”?
Penso che la parola più adatta sia “soffio vitale”; intendo dire che fin da quando avevo dieci anni ho sentito dentro di me la voglia di fare, creare, inventare. Ricordo che a dieci anni registrai un pezzo per mangianastri, registratore Geloso e tromba … sono stato poeta, musicista e ora sono videomaker dal 1998, ma cerco di fare tutto quello che può essere creativo: cerco tutti modi per fare emergere il “soffio vitale” che mi anima.
Fabrizio Poggi ma ha parlato della nascita di “Columblues Days”, facendo risalire il tutto al tuo interesse per… “ la storia degli italiani emigrati in Mississippi dopo la guerra civile a lavorare nelle piantagioni di cotone al posto dei neri..” Da dove nasce questa tua esigenza?
E’ vero. Lessi su Buscadero un interessante articolo firmato da Fabrizio. Parlava di italiani che alla fine dell’ottocento, primi novecento, erano emigrati in USA e dei loro sogni finiti in nulla. Della loro fatica. Della loro schiavitù, è il termine esatto. E nessuno ha mai avuto il coraggio di pronunciare questa parola. Dalla lettura ho poi contattato i superstiti di quei sogni/incubi e sto lavorando insieme a Maria Assunta Karini ad un progetto di docu-film. Da quel contatto, telefonico, il primo che ebbi con Fabrizio, capii due cose: che Fabrizio era un conoscitore raffinatissimo del blues e della cultura americana; il secondo è che Fabrizio era quasi legato mediaticamente ad Angelina, la sua donna da sempre; erano come gli “inseparabili”; mi affascinò da subito questa caratteristica, tutti i veri bluesman sono persone assolutamente uniche, Fabrizio era addirittura “doppio” !!! E mi affascinava. Così ho poi approfondito la sua conoscenza quando poi venne a suonare a Piacenza. Al “Baciccia” parlammo per la prima volta di progetti video… e della possibilità di realizzare un “qualcosa”; subito mi disse “Se ti va ti lascio carta bianca, fai un film, ciò che vuoi”. Insomma si è fidato ciecamente. Ed io ho cercato di ricambiarlo con un buon lavoro. Ed è così che è nato Columblues Days
Che tipo di differenze esistono tra la realizzazione di una normale pellicola e “Columblues Days”, quello che ho definito un concerto itinerante?
“Columblues Days” è un regalo che ho fatto a Fabrizio e ai Chicken Mambo perché li stimavo e perché amo la musica. In altre parole quando lavoro su film “a budget” è diverso. Qui di budget per il film non ce n’era. Così mi sono pagato il viaggio ed anche al mio prezioso operatore Ettore Sola e ci siamo presi un’auto a noleggio per seguire il gruppo. Ma, ti dirò, questo rientra nella pazzia/amore per il cinema e per il blues. Anche il parco macchine era limitato. E così le luci. Ma io ed Ettore abbiamo fatto miracoli nel vero senso della parola, perché amiamo il blues. Non so se lo sforzo tecnico che abbiamo fatto è stato capito fino in fondo, ne sinceramente mi interessa ricevere dei “grazie”. L’importante è che abbiamo vissuto una vera sfida, una avventura musicale, con veri musicisti, con tanto, tanto amore per la musica. E questo è veramente appagante. Ma l’avvenuta non è finita lì; è continuata in fase di montaggio, quando mi è bruciato il computer con il film fatto e montato e l’ho dovuto rimontare da zero. Soltanto un “trapper” può resistere a tanto… Columblues è tutto questo. Un miracolo, una sfida, un atto d’amore.
Tra le tante persone che hai conosciuto nel corso di questo tuo itinerario musicale, ne esiste una che ti ha particolarmente colpito e da cui hai ricevuto qualcosa in dono (ovviamente non mi riferisco alla materia ma allo spirito).
Beh due sono le persone che mi hanno più colpito di questa esperienza: Flaco Jimenez, per la sua disponibilità e competenza e Gianfranco Scala per la sua umiltà e bravura a suonare la chitarra. Pensa che suona e lavora in fabbrica facendo turni massacranti. French ha una sensibilità ed un tocco di chitarra rari. Ha ricevuto complimenti a scena aperta e Flaco lo ha paragonato al “suo amico Ry Cooder”. Ma queste cose le puoi chiedere a lui, che si vergogna dirle…
Qual è stata la tua formazione musicale e cosa ascolti nel quotidiano?
Come diceva Duke Ellington esistono due tipi di musica: quella bella e quella brutta. A me piace tutta la musica bella. Dal blues all’elettronica. Devo dire che per anni ho seguito soltanto la musica sperimentale; poi mi sono aperto al post rock, americana, wyrd folk e blues. In tal modo ho compreso che il blues è il nucleo da cui è partito tutto. Se non esistesse il blues non esisterebbe neppure Philip Glass e non esisterebbero i Suicide o Brian Eno.
Essendo amante del blues suppongo tu sia anche interessato alle storie che lo alimentano. E’ stata solo questa la molla che ti ha portato a fissare per sempre un momento magico?
No. Ho trovato in Poggi un bluesman vero. Da cui ero molto incuriosito. Vedevo in lui qualcosa di diverso dal solito musicista italiano che si approccia al blues. Vedevo qualcosa di unico, che anche cinematograficamente avrebbe retto l’immagine. Volevo che tutto il film fosse intriso della sua musica, ma senza che la sua fosse una presenza assorbente. Sarebbe stato un monumento di elogi e basta. Niente biografia, niente elogi di corte. Ma la SUA America. Poggi non ha bisogno di poeti di corte. E poi con tutte le sue stranezze è l’essenza del blues. Tanto è vero che quando arriva in USA anche i musicisti più noti, lo trattano a loro pari e lo rispettano senza remore.
Vivendo il Mississippi assieme a Fabrizio e alla sua “famiglia”, sei riuscito a capire il segreto della sua integrazione con un mondo non facile all’accettazione di “esterni”, normalmente non considerati abili a proporre qualcosa che non fa parte del loro DNA?
Poggi si mostra umile con tutti i suoi ospiti e tuttavia è un mostro di competenza. L’integrazione è belle che fatta. Anch’io quando mi sono approcciato con gli Arborea nel Maine, nel 2009, ho ottenuto il loro rispetto, facendo loro vedere la mia competenza musicale. Consigliavo loro ascolti di cd e di nuovi outsider. Questo li sconvolgeva: un italiano che conosce tutti questi gruppi americani… poi quando lavoro ho l’abitudine di non perdere tempo, di non ripetere all’infinito le scene, proprio per rispetto degli attori o dei protagonisti. La gente che mi vede filmare non capisce; rimane sorpresa. Ma poi quando vede i risultati, fortunatamente, si sorprende.
Mi dai una tua definizione di blues?
E’ il punto di inizio. Il nucleo. Prima ti parlavo di soffio vitale; il blues è soffio vitale.
L’aspetto visivo della musica è diventato di fondamentale importanza e il formato DVD, benché non adatto a tutte le situazioni, è comunque quello che da maggiori soddisfazioni a chi usufruisce della musica. A tuo giudizio, è stata l’evoluzione tecnica che ha “educato “ il pubblico, o la tecnologia ha interpretato il desiderio di persone a cui la sola musica ascoltata sta ormai stretta?
Siamo indiscutibilmente in un momento di passaggio/Evoluzione/devoluzione difficilmente comprensibile; quel che è certo che ci siamo dentro e non abbiamo più certezze. Sarebbe davvero un atto di presunzione, in questo stato di cose, dettare giudizi. Posso soltanto dire che la tecnica in questo periodo “apparentemente” rende tutto più facile. Di fatto “standardizza” i risultati. Ecco perché molti artisti “ritornano” al passato, cercando le radici. Per evitare la “glaciazione” della creatività. Da bambino mi “inventavo” dei giocattoli; se fossi un bambino oggi mi porterebbero dall’assistente sociale. Il DVD è un formato preziosissimo se non standardizzato e se usato creativamente. Può contenere moltissime informazioni audio e video. E anche (di più) il blue ray. Nel caso mio e di Poggi abbiamo fatto un prodotto di cui vado fiero. Perché l’appassionato trova tutto nel box. Dal concerto ad un film ad un booklet che è quasi un libro. E’ la dimostrazione che anche con budget inesistenti si possono fare cose interessanti. Penso che continuerò in tal senso, perché amo la musica e non ne posso fare a meno. Il mio fare film è un modo di ascoltare la musica, di vederla di riflettere su di essa; è un modo di allargare la conoscenza di ciò che sta dietro ad un album, ma forse ad un genere. Non mi interessa il film autobiografico, mi interessa il film che dia lo spazio per comprendere la musica che si ascolta.
Nel mio quotidiano ascolto di nuovi album di giovani gruppi, emerge preponderante la necessità di esprimersi attraverso arti diverse da unire alla musica, come la letteratura, la fotografia, il teatro. Hai anche tu, nell’ambito del tuo lavoro, la percezione che siano profondamente mutate le esigenze di pubblico e artisti?
Anche qui bisogna distinguere industria e arte. Nel momento di crisi del mercato discografico gli economi hanno inventato confezioni deluxe e box incredibili che certamente non si possono clonare via internet e che costringono gli appassionati all’acquisto obbligato. Questa dimensione “allargata” dell’evento cd, che diventa a seconda delle edizioni, cd+bonus; cd+libro; cd più libro bonus e dvd…etc.etc. allarga di fatto la prospettiva di concepire un progetto artistico. Occorre sfruttare questa strategia commerciale a fine artistico. E’ vero, molti gruppi con i quali sono in contatto sognano dvd ed esperienze “allargate”; magari ne parlano genericamente e senza cognizione precisa; ma la sensazione è che si è aperta una grande porta e che per una volta le cose potrebbero davvero diventare migliori. E’ ovvio, dipende da chi le usa….
Esistono tuoi progetti futuri che riguardano “suoni e immagini”?
Sto lavorando con il collettivo Monkapa e con la regista Karini (coregista) ad un nuovo film blues che si chiamerà BREAKBLUES; così che si potrebbe davvero parlare di “dittico”. Come protagonisti ci sono Alvin Yongblood Hart, Watermelon Slim, Sonny Landreth, lo scrittore J.Landsdale e molti altri, ma questa volta il cammino è diverso; sono gli americani/bluesman che scoprono le tradizioni italiane, le musiche degli appennini, i dialetti con cui si tramandano le sacre scritture. Ho poi finito in questi giorni il video “RED DIAMOND TRAIN” per il nuovo progetto discografico di Gianfranco “French” Scala, il chitarrista di Poggi. E poi sto per cominciare un lavoro con un gruppo irlandese di folk sperimentale (United Bible Studio) e,finalmente, il mio nuovo lungometraggio che vorrebbe essere un film di fantascienza… se i musicisti me lo fanno fare!