Il 2 marzo del 1942 nasceva a Brooklyn Lewis Allan “Lou” Reed, che ha quindi appena compiuto 69 anni.
Per ricordarlo
ripropongo un post di qualche mese fa , dove la storia di Lou si mischia in
qualche modo alla mia.
Un piccolo ma sentito
omaggio ai Velvet Undergroud, a Lou Reed, a Nico.
Un paio d’anni fa ho
scritto un racconto che è rimasto in forma di bozza. Ha molto di autobiografico
e c’è molta musica e, qualunque sia la qualità, racchiude molto del mio passato
e quindi assolutamente da preservare.
L’ho fatto leggere a
poche persone, ma non ho notato alcun tipo di entusiasmo, della serie… “nessun commento critico per non ferire”. Tutto questo non mi ha incoraggiato,
ovviamente, ma mi sono onestamente detto:” se non piace a nessuno vorrà dire che ha poco
valore!”
In fondo non sono uno
scrittore.
Però ogni tanto lo
rileggo (e ogni volta modifico qualcosa) perché è la sintesi di ciò che mi
spinge a scrivere quotidianamente: non per gli altri, ma per me, per poter
riviver momenti che sono riuscito a fissare per sempre sulla carta.
Naturalmente non abbandono mai l'idea di condividere, qualsiasi cosa io
scriva. Un passaggio di questo racconto mi da l’occasione di omaggiare Lou Reed e Nico, personaggi che mi hanno
sempre intrigato.
Ryan e Uma sono i
protagonisti, fidanzati (e successivamente marito e moglie) che assistono
assieme al loro primo concerto, a Pittsbourgh. L'artista è Nico, con cui hanno
un incontro ravvicinato in un bar, prima della performance. Non la riconoscono,
ma rimangono entrambi ammaliati da ” una donna alta, magrissima, con un viso
scarno segnato da rughe profonde , e su di esso si potevano leggere le vicende
di una vita vissuta intensamente.”
Non era un caso se
nella notte dei tormenti, un ricordo dell’adolescenza era ancora così forte. Al
Crazy Cafè era rimasto senza respiro e ora, a distanza di anni, sentiva
l’angoscia crescere, mentre accostava i dolori di Nico, e la morte a
cinquant’anni anni dopo una vita sempre al limite, ai dolori dell’universo,
dolori che in questa notte erano tutti sulle sue spalle. Alle immagini
associò una canzone di Lou Reed che spesso aveva dedicato a Uma, ma che
racchiudeva molto più di una dimostrazione d’amore per una donna. Quel breve e semplice testo era la ricerca
della tranquillità e della pace dopo tanta sofferenza e allo stesso tempo l’ammissione
delle proprie colpe, e nel senso della velata confessione la canzone assumeva
per lui un senso quasi religioso. Quel tipo di sofferenza apparteneva a
tutti, anche a persone “quadrate” come Ryan, e forse era questo che lo turbava
e gli impediva di dormire.
La canzone si chiamava
“A Perfect Day”, un giorno perfetto.
Proprio una giornata
perfetto
bere sangria nel parco
e poi, più tardi,
quando fa buio
tornare a casa
Proprio una giornata
perfetta
dar da mangiare agli
animali nello zoo
e poi, più tardi,
anche un film
e poi a casa
Oh, è una giornata
così perfetta
sono contento di
averla trascorsa con te
Oh, una giornata così
perfetta
mi fai venir voglia di
restare con te
Proprio una giornata
perfetta
i problemi messi
da parte
turisti solitari
è così divertente
Proprio una giornata
perfetta
mi ha fatto
dimenticare me stesso
ho pensato di essere
un altro
una persona migliore
Oh, è stata una
giornata così perfetta
sono contento di
averla trascorsa con te
Raccoglierai ciò che
hai seminato
Si rese conto di come
certe parole, estrapolate dal contesto e dalla musica che le accompagnava
potessero sembrare banali, ma nella sua visione quella canzone rappresentava un
mondo di dolore e un mondo di felicità, condizione oggettiva di ogni essere
umano. Col passare degli anni ci sarebbero state molte occasioni per
tornare su quel brano, che Uma prese a pretesto per spiegare ciò che per lei
significava una canzone. Avendo perso l’esigenza primitiva di fare
selezione musicale in funzione del nome dell’artista, Uma era arrivata a
un’unica distinzione, quella tra buona e cattiva musica. La buona musica
era per lei quella che riusciva a darle forti emozioni e non quella
riconosciuta in modo universale, secondo canoni stabiliti da altri.
Non era poi un
percorso così facile. Prendendo come esempio “Un giorno perfetto” aveva
fatto un’analisi precisa e convincente per Ryan.
-Prendi il testo e
leggilo, da solo, immagina di averlo trovato scritto su un pezzo di carta, in
casa di un amico, senza sapere a cosa sia legato. Sembrano parole che potrebbe scrivere
chiunque, quasi elementari. Ora immagina di sentire solo la musica della canzone,
il testo non esiste, solo un pianoforte, una batteria molto soft e un
arrangiamento apparentemente povero. Mi sembra un passo avanti notevole, e
immagina un vecchio pianista che intrattiene gli ultimi clienti del pianobar …
molto, molto triste, ma capace di dare uno scossone che il testo da solo non
riesce a fare. Ora unisci le due cose, il testo e la musica. Non diventa
un piccolo capolavoro? Ma si può avere di meglio! Cerca di capire
cosa c’e’ dietro a quelle parole, la vita di chi le ha scritte, il
contesto. Tutto cambia prospettiva e tutto assume un significato
preciso. Prova ad andare a letto dopo averla ascoltata in questa modalità
e ti troverai quasi in tranche, incapace di prendere sonno, emozionato o
addolorato, sicuramente non indifferente-.