Quando ho saputo della mostra fotografica di Franco Olivetti, presentata nella Pinacoteca di Savona l’11 settembre
scorso, sono stato immediatamente attratto dal soggetto, New York.
Titolo della rappresentazione infatti : “NY la vita intorno” (a Ground Zero).
Sono totalmente incapace di valutare una fotografia dal punto di
vista artistico e ogni mio scatto, ogni mio video, hanno la mera funzione di
fissare dei ricordi. In realtà qualcosa a livello inconscio avviene, se è
vero che una fotografia “professionale” riesce a tirarmi fuori i pensieri più
reconditi, e forse l’essere capaci a far emergere le emozioni e i ricordi
nascosti negli anfratti della nostra mente è solo affare per professionisti.
Detto questo, posso affermare che una qualsiasi mostra fotografica
non mi spinge ad uscire di casa, e non lo dico con orgoglio.
In questo caso ho pensato che valeva la pena vedere New York
attraverso occhi altrui, quelli del professionista appunto.
Il mio commento alla mostra non può suscitare interesse, ma ciò
che ho visto mi da modo di parlare di una città che lascia il segno.
Chi mi conosce sa del mio amore infinito per un mondo lontano,
l’America, capace di regalare momenti emozionanti, diversi ogni cinquanta
miglia. Ovviamente è il punto di vista di un uomo di passaggio, perché viverci
comporta, probabilmente, qualche problema in più.
Sono stato molte volte negli Stati uniti, e ho visto stati e città
differenti, ma nessun luogo mi ha impressionato come New York City. La
caoticità che colpisce inizialmente, e che può far pensare a un luogo
invivibile, smette di essere un problema col passare delle ore, e a ogni angolo
di strada, quelli della mia generazione scoprono che ciò che era rappresentato
nei filmetti americani dei nostri pomeriggi antichi esiste davvero e si può
toccar con mano.
Avrei miriade di immagini da raccontare, dai gospel di Harlem a
Little Italy, da Central Park al Greenwich Village.
Recupero uno stralcio di un mio vecchio racconto, dove descrivevo
un viaggio da Philadelphia a N.W., in auto, con due amici. E’ questo il mio
omaggio alla “Grande Mela”.
E’ giovedì mattina quando terminiamo le varie traduzioni e
scopriamo di avere il pomeriggio libero.
Chiediamo informazioni:” Quanto impieghiamo, in auto, per
arrivare a N.Y.?”
Sono due ore, solo due ore e decidiamo di partire.
Non avrei mai pensato di arrivare con l’auto davanti all’entrata
principale dell’Empire.
Avevamo costeggiato Central Park, e ora eravamo sulla Fifth
Avenue, e dopo aver sgranato gli occhi davanti a Tiffany eravamo alla ricerca
di un parcheggio ... in pieno centro. Ma non e’ poi così difficile. Lì,
regna una certa efficienza.
E’ d’obbligo una puntata sulla cima del grattacielo, anche se gli
ultimi piani si devono fare a piedi. “Come mai? Qualcosa non va?” Mi
guardo attorno cercando i visi della security, alla ricerca di espressioni
confortanti. “Che spettacolo! “.
In una giornata piena di sole, dall’ultimo piano si vede tutta
Manhatthan. I ponti celebri, la Statua della Libertà, le avenues
che si incrociano perfettamente a 90 gradi con le streets, con una variante,
Broadway, scheggia impazzita in un lay out perfetto. Credo che orientarsi
a N.Y. sia molto più semplice che in una qualsiasi città italiana. E’
sufficiente conoscere due coordinate e il gioco e’ fatto. Non ci sono le
vie dei santi, quelle dei musicisti o delle città … due numeri e la via e’
trovata.
“Scusa, sai indicarmi dov’e’ l’Hard Rock Café?” “Sure”.
Con i numeri magici ci dirigiamo verso il luogo di
culto. Sono molto emozionato e anche Maurizio cela male gli stati
d’animo. All’interno c'è gente di ogni nazionalità e la musica fa parte
del menù, ma non si può scegliere. C’e’ eccitazione in chi e’ li per la
prima volta, si palpa nell’aria e si legge nei volti.
Il mio feeling del momento non si può descrivere. Ci accomodiamo
al piano superiore. Ogni tavolo, ogni angolo, e’ un pezzo di storia. Ci
sono bacheche ovunque, piene di cimeli storici. Il flauto di Ian Anderson,
la chitarra di Jimmi Page, un vestito nero di John Lennon. Mi affaccio
dalla balaustra vedo sulla parete laterale una batteria completa,
appesa. Scopro che e’ quella di Ringo Starr. Che brrrrrrrrrividi! Una
foto devo farla per forza!
Maurizio, ogni volta che riparliamo di quella sera , alza la
maglia e mi dice:” Guarda, mi viene la pelle d’oca a ricordarla ...”.
Riprendiamo la macchina in una città che più passano le ore più si
anima. Prima una passeggiata sui marciapiedi enormi, tra barboni, ragazzi,
negri, bianchi, cinesi, pakistani ... ecco la sintesi del mondo. N. Y. di
notte ha un fascino discreto.
Attraversiamo il ponte di Brooklyn mentre io mi
addormento. All’andata ero stato” messo in mezzo “ per la mia paura di
restare senza carburante:” E bravo Athos … ma come si fa a
pensare di rimanere all’asciutto proprio qui …. ma la vedi la TV?”
Al ritorno lascio l’incombenza e mi appisolo, soddisfatto come
poche volte nella vita. In fondo, lo stato di beatitudine non può essere
lungo e piccoli momenti felici possono dare grandi soddisfazioni.
Beato e’ chi trae beneficio da cose minuscole, magari
microscopiche per occhio esterno, ma enormi per chi le sa cogliere. Si può
misurare tutto ciò? Io uso il mio solito metodo … se per un attimo mi
manca il respiro … ho colto un briciolo di felicità.
La visone di New York mi ha dato questa possibilità.
Franco Olivetti
Nasce a Roma il 19 febbraio 1956, fotografa dal 1978.
Nel 1988, Kodak utilizza una sua immagine di mongolfiere per pubblicizzare la pellicola Ektachrone 100 hc. In seguito ha realizzato immagini per le case editrici Sansoni, Ventaglio e per i mensili Arco Informagiovani, Roma Rome,Notiziario Lions. Durante la sua carriera ha tenuto corsi di fotografia sulle piu' svariate tecniche: camera oscura bianco nero, stampa da diapositiva, duplicati diapositive, viraggi totali e parziali, riprese in esterno con pannelli riflettenti, fotografia ed elaborazioni digitali, uso di piu' flash, etc...
Ha vinto innumerevoli premi nazionali ed internazionali, tra cui uno indetto dal quotidiano La Repubblica, uno dall'Ambasciata Francese, uno dal Comune di Roma ed uno dalla Squibb Meyers a Londra. Viene pubblicato nel 1993 nella selezione internazionale del Minolta Mirror di Osaka (Giappone).
Nel 1988, Kodak utilizza una sua immagine di mongolfiere per pubblicizzare la pellicola Ektachrone 100 hc. In seguito ha realizzato immagini per le case editrici Sansoni, Ventaglio e per i mensili Arco Informagiovani, Roma Rome,Notiziario Lions. Durante la sua carriera ha tenuto corsi di fotografia sulle piu' svariate tecniche: camera oscura bianco nero, stampa da diapositiva, duplicati diapositive, viraggi totali e parziali, riprese in esterno con pannelli riflettenti, fotografia ed elaborazioni digitali, uso di piu' flash, etc...
Ha vinto innumerevoli premi nazionali ed internazionali, tra cui uno indetto dal quotidiano La Repubblica, uno dall'Ambasciata Francese, uno dal Comune di Roma ed uno dalla Squibb Meyers a Londra. Viene pubblicato nel 1993 nella selezione internazionale del Minolta Mirror di Osaka (Giappone).