Oviglio un anno dopo.
La maggior parte dei
musicisti visti in quest’ultima occasione non sono cambiati.
Manca Rodolfo
Maltese, ma è presente Lucio “violino”Fabbri.
Avrebbe dovuto esserci anche G.L. Tagliavini, ma da queste
parti non si è visto e così svanisce la possibilità di ascoltare i brani della PFM interpretati contemporaneamente
da tre uomini della line up, vecchia e nuova.
A dire il vero i due
rimasti, Lanzetti e Fabbri, si
ritrovano sul palco, a stretto contatto, ma è per un tributo a Dylan e
Beatles.
Qualche mistero al
riguardo aleggia nell’aria … ma sono solo leggende metropolitane … o no?
Dunque un altro
sforzo di Franco Taulino e della Beggar’s
Farm.
Il doppio ruolo è
ormai noto: Franco oltre a suonare è l’ideatore e coordinatore di tutti questi
eventi e la Beggar’s è la miglior formazione possibile per qualsiasi musicista
affermato e non, una sorta di maestri di alchimia che trasformano in realtà i
sogni di pubblico e artisti.
Un grossa nota di
merito va anche a Franco Castaldo, che in
queste occasioni è bene depurare del ruolo di Prefetto di Alessandria e
considerare solo come un “batterista”, amante della musica. Inutile nascondere
il fatto che molti( io compreso) hanno storto il naso, ad esempio, vedendolo
suonare tra Ian Paice e Clive Bunker,
evidenziando un solco incolmabile tra LUI e LORO, ma, se si accantona il rigore
che spesso ci accompagna nei giudizi relativi a cose che amiamo molto, e si
considera che Castaldo è un grande amante della “nostra” musica, non possiamo
che ringraziarlo per l’impegno che mette nel creare i presupposti per la
realizzazione di grandi eventi, non dimentichiamo, gratuiti per il pubblico.
Mi ha confessato di
essere rimasto un po’ dispiaciuto per un errore su “We used to know”, nel
concerto di Volpedo, ma è un peccato veniale.
Ancora una mia
considerazione di carattere generale.
In poco più di un
anno, la Taulino’s Organisation ci ha fatto vedere artisti che per molti
spettatori rappresentano i miti della vita.
Parliamo di membri
old and new dei Jethro Tull, e molti italiani, anch’essi
spesso“sogni irrealizzabili”.
Queste miscele, come
spesso ho raccontato, hanno la prerogativa di presentare un palco amalgamato, e
l’integrazione sembra cosa consolidata, anche se magari le prove sono
limitatissime. Tutto funziona meglio, secondo me, con “gli italiani”.
Ovviamente avere
disponibile un animale da palcoscenico come Bernardo Lanzetti facilita la coesione
e favorisce l’interattività col pubblico, per me elemento fondamentale, ma la
freddezza, almeno apparente, di certi nomi d’oltremanica, non determina lo
stesso risultato visto ad Oviglio.
Volpedo resterà per
sempre nel cuore e nella testa dei presenti ( lo stesso Bernardo mi ha
raccontato dei brividi provati il 5 giugno), ma anche questa serata si incollerà tra
i miei ricordi musicali migliori:
Se potessi quindi
dare un piccolo consiglio a Franco, da mero esterno, inconsapevole degli
ingranaggi organizzativi relativi a qu
esti concerti, direi che “il percorso italiano” da maggior risultati (e forse riduce i costi), anche se io un Dave Jackson lo presenterei in tutte le salse possibili.
esti concerti, direi che “il percorso italiano” da maggior risultati (e forse riduce i costi), anche se io un Dave Jackson lo presenterei in tutte le salse possibili.
Serata divisa in due
parti, con i Black Eden in apertura, come lo scorso anno.
L’arrivo ritardato
non mi ha permesso di ascoltarli adeguatamente, ma ho il sentore del gradimento
del pubblico più”rockettaro”
L’atmosfera è
festaiola, da sagra, tra stand culinari e giochi per bimbi.
Il pubblico appare
eterogeneo, anagraficamente parlando, ma è prevalentemente formato da”maturi”…
ovviamente.
Devo dire che il
paese di Oviglio, possiede un certo fascino
antico, amplificato dalla presenza del “reale Castello”, un tempo roccaforte
medioevale, acquistato successivamente dalla Regina Cristina di Savoia. Il
feeling del turista obbligato (dal concerto) , approcciando il paese,
predispone positivamente per una serata serena, fatto non trascurabile.
I miei meeting
musicali sono fatti anche di incontri con vecchie e nuove conoscenze, con cui
si allacciano rapporti personali e con cui si discute di passato e di progetti
futuri.
Nell’occasione ho
avuto l’opportunità di conoscere Lucio Fabbri, che per me era già un
nome importante quando leggevo le note relative ad alcuni dischi di Finardi, e avevo più o meno vent’anni( e lui
poco di più).
Ricordandogli che lo
avevo visto pochi anni prima a Savona, con la PFM (primo concerto di mia
figlia, allora dodicenne) ho riflettuto sul fatto che dal 2006 ad oggi, il
Teatro Chiabrera ha accolto nell’ordine, una per anno, le seguenti formazioni:
PFM,
BANCO,ORME,OSANNA.
Ciò
che per me era il prog italiano della prima ondata è tornato sul luogo del
delitto a distanza di 35/40 anni.
Il prog continua a
“tirare”, e anche questi possono essere spunti di riflessione per mister
Taulino!
Il concerto si apre
col primo ospite, Aldo Ascolese.
So che non è al pieno
della forma, per un malessere del giorno precedente, ma nessuno nota
defaillance e De Andrè si materializza sul palco.
Look tra il pirata e
il vecchio uomo di mare genovese, Aldo presenta la sua timbrica innaturale (nel
senso della somiglianza con Fabrizio) e regala a un pubblico più “montano” le
storie del porto di Genova e dei vicoli di via Prè. Apparirà in due tempi
distinti, regalandoci brani come “Creuza de ma”
, “Un giudice”, “Il pescatore”, "Bocca di rosa" e “ Volta la
carta”. In alcuni
frammenti, la sua voce e la sua chitarra si intrecceranno col violino di Fabbri
per far rinasce la magia del tour PFM/De Andrè.
Aldo non è solo
musicista, ma ha anche una grande passione per la fotografia, e l’immagine più
significativa, dalla mia posizione defilata, sul lato destro del palco, è
quella di una testa da bucaniere su cui si erge un violino ed il suo archetto,
mentre la nostra storia musicale ritorna con forza sul palco.
Il secondo ospite è
ormai il denominatore comune di tutte le invenzioni di Taulino.
Parlo
ovviamente di Bernardo Lanzetti, “The Voice” .
Incontro
un suo vecchio fan che mi da la sua chiave di lettura che condivido in pieno.
Le
cose che colpiscono di lui, dal punto di vista tecnico, sono le enormi capacità
vocali, la timbrica particolare, la sua voglia di sperimentare; ma ci sono
elementi che completano il personaggio e lo rendono unico.
Bernardo
è un trascinatore, e tra la gente è esattamente quello che vediamo on stage,
una persona semplice, che ama il contatto con uomini e donne, l’ ideale per la
realizzazione dell’interattività tra pubblico e artista.
Presenta
alcuni brani della PFM (Traveler, Harlequin, Chocolate King, Maestro della voce,
Dolcissima Maria), dei Beatles (Norwegian Wood, con
Fabbri) di Dylan (Hurricane, ancora con Fabbri).
Nel
suo show personale troviamo un po’ di tecnologia applicata alla voce, quando
indossa il glovox (captatore di frequenze derivanti
dalle vibrazioni delle corde vocali, poi trasformate in suoni ), ma le chicche
dialettiche continuano, e si mischiano al pubblico quando scende dal palco con
l’ asta del microfono e coinvolge tutti in un ritornello corale.
Il terzo ospite è Lucio
Fabbri, il
“violino “ per antonomasia.
Attacca
con Bourée. Non avevo mai sentito
una versione del genere e cerco di registrare il più possibile.
Questo
brano, ascoltato mille volte da Ian Anderson e da chi lo coverizza, mi porta a
riflessioni sull’unicità di certi strumenti all’interno della famiglia del
rock. Flauto traverso e violino sono rimasti strumenti di settore, non
introducibili in tutti gli svariati contesti che il mondo del prog ha proposto,
ma l’utilizzo che Lucio Fabbri fa del suo strumento rende tutto apparentemente
semplice, superando quel muro concettuale che relega il violino a puro
strumento classico.
Mi
piace, mi diverte e si diverte Lucio, e i suoi fraseggi mi riportano alle collaborazioni
con Finardi e conseguente mente alla mia giovinezza.
Una
chicca è “Hurricane”, dove
“il
violino e the voice” duettano alla grande, col pubblico attento e pronto
a sottolineare i passaggi con applausi e contenute grida di approvazione.
Nessuno dei miei
soliti compagni di viaggio mi ha seguito a Oviglio, e ha perso un grande
spettacolo.
Il
punto di vista di uno spettatore è spesso contrastante con quello di chi si
esibisce.
Mentre
il primo privilegia maggiormente il clima generale ed è felice se qualche
brivido è partito dalla nuca ed è arrivato sino in fondo, il secondo è più
critico, tecnicamente parlando, e memorizza i piccoli errori di cui è stato
protagonista.
Questa
sera di brividi ne ho sentiti parecchi, e non importa se spesso coincidono col
fatto che qualche vecchio ricordo è riaffiorato … anche questa è un’importante
funzione della musica.
L’ultimo
di questi “fremiti” arriva in concomitanza col bis, quando cioè tutti i
protagonisti della serata salgono sul placo per regalare l’ultima chicca, “Hey Jude”, con Lucio Fabbri
alla chitarra.
Ancora
un elogio alla Beggar’s Farm, diventata ormai la band che ho visto più volte
nella mia “carriera”. E con loro i magnifici giovani che Franco Taulino propone
a piccole dosi, spettacolo dopo spettacolo, preparando forse la formazione del
futuro.
Chiaraluce,
Garavelli, Ponti, Valle … bravi, puntuali,
con una dote rara, quella di mettere tutti nella situazione di dare il meglio,
senza cercare il protagonismo. Eppure loro sono protagonisti!