lunedì 21 febbraio 2011

Intervista a Aldo Tagliapietra



Ha compiuto ieri 66 anni Aldo Tagliapietra.
Per ricordare il suo percorso ripropongo un’intervista realizzata lo scorso anno.

Aldo Tagliapietra è il conosciutissimo bassista e cantante delle ORME, ovvero il primo gruppo italiano ad aver pubblicato un album di musica progressiva, “Collage”.


Miriadi di ricordi mi riportano a quel disco, a quella copertina, a quei giorni spensierati.
Pochi mesi fa ho rivisto “Le Orme” dal vivo, a Savona, e ho constatato che il fascino di quella musica rimane immutato e i segni del tempo che passa scompaiono al cospetto di certi suoni che ormai ci appartengono, melodie che riconosciamo come nostre dopo la prima nota.
Casualmente ho “trovato” Aldo Tagliapietra online e la sua immediata disponibilità mi ha portato a proporgli alcuni quesiti, domande a cui ha risposto immediatamente.
Grazie Aldo.

Ricordo come fosse adesso quel pomeriggio in cui un mio amico, quello di solito più informato, mi portò a casa sua ad ascoltare “Collage”, appena uscito. Sino a quel momento “ Le Orme” erano per me quelle di “ Irene”. Cosa fece scattare la molla, come avvenne il passaggio dalla canzone da tre minuti a “Cemento armato”?
 E’ stato il momento della svolta per molti di noi. Probabilmente era nell’aria. Dalle canzoni siamo passati al primo Prog. Alcuni cambiarono nome come i Quelli (PFM), le Esperienze (BMS ) ecc… Noi abbiamo preferito mantenere lo stesso nome.

Fu una scelta precisa quella di ricalcare lo stile di “Nice / ELP”, almeno nell’utilizzo degli strumenti e nel numero di musicisti, o la casualità, l’amicizia, le circostanze, vi guidarono nel progetto? 
Fu una casualità. Eravamo rimasti in tre per la defezione di Smeraldi. In un primo momento abbiamo cercato un bassista, ma poi decidemmo che il basso lo avrei suonato io al posto della chitarra come avevo fatto fino a quel momento. Conoscevamo i Nice e così decidemmo di inserire alcuni brani nella nostra scaletta.

Ricordo di aver visto Le Orme dal vivo a Savona, negli anni 70, e lo scorso anno, a distanza di parecchi lustri, ero nuovamente presente. Stessa cosa mi è capitata con altri gruppi, rivisti a distanza di quasi 40 anni. A giudicare dai risultati, queste azioni sanno di tutto tranne che di operazioni nostalgia e il risultato è quasi sempre superiore alle attese. Invecchia sempre bene un musicista di professione? 
Noi siamo sempre stati artisticamente inquieti e questa inquietudine ci porta a fare sempre meglio nonostante gli anni.

Senza voler entrare nel privato, perché a un certo punto della vita, musicisti che hanno passato assieme mille vicissitudini, non riescono più a convivere? 
Per i gruppi è una cosa “naturale”. Ci si forma da giovani quando si dice spesso “tutti per uno, uno per tutti”. Poi si diventa più maturi, i caratteri si definiscono meglio ed esplodono gli ego. A quel punto, se si vuole essere onesti con se stessi e con il proprio pubblico, è meglio chiudere. In questo modo non si prende in giro nessuno.

Massimo Gasparini, di Black Widow, mi ha parlato dell’uscita di un vostro disco dal vivo, sul mercato mi pare in Giappone negli anni 70, e inedito per l’Italia. Come mai l’idea di proporlo è nata solo ora? 
In verità quei nastri sono già stati pubblicati nel passato, prima in vinile e poi in CD. Questa è la terza volta.

Nei miei momenti di “riflessione musicale”, sono arrivato alla conclusione che la musica progressiva, quella che io più amo, non poteva durare a lungo perché troppo difficile da assimilare se comparata all’easy listening di cui tutti pare abbiano bisogno. Cosa è accaduto in quell’inizio di anni 70, quando ci nutrivamo di Genesis, Yes, Elp, Orme, PFM e BMS? 
E’ accaduto l’impossibile. Per la prima volta nella storia dell’uomo un genere musicale “difficile” diventa il più amato e va ai primi posti delle classifiche. La spiegazione può essere cercata sul fatto che c’è stata una vera e propria rivoluzione culturale che voleva spazzare via il passato a favore di un nuovo mondo.

Hai un ricordo significativo, non necessariamente musicale, legato alle tue performance estere? 
Mi è rimasto nella mente il fantastico pubblico messicano: ho visto gente piangere durante il concerto. C’è stato un momento che ho pensato “ma stiamo suonando così male?”


Mi ha colpito il tuo utilizzo del Sitar. Come ti sei avvicinato allo strumento? E’ legato a un tuo percorso spirituale?


Ho sempre amato il sitar. Lo avevo visto in alcune foto di Brian Jones e poi di George Harrison. Nel 72-73 ne comprai un paio ma per mancanza di tempo diventarono parte del mio arredamento. Nel 90 conobbi Budhaditya Mukherjee il quale mi fece entrare nel magico e affascinante mondo della musica indiana. Il percorso spirituale è arrivato conseguentemente.

Esisteva amicizia vera tra voi pionieri del prog italico, quando vi fronteggiavate ai vari festival e concerti? 
Direi di si anche se non c’era molta collaborazione ad esempio nelle registrazioni.

Mi dici un esempio di bassista, italico o straniero, che ti ha influenzato o che ha cambiato il modo di interpretare il ruolo? 
Jack Bruce dei Cream, Chris Squire degli Yes, Stefano Cerri e molti altri.

Cosa scriveresti sul tema: ”Tagliapietra e la sua musica futura”? 
Spero di continuare ad avere quell’entusiasmo e quella creatività che mi ha permesso di arrivare a scrivere un disco come "Nella Pietra e nel Vento", per molti e molti anni ancora.
Versione.... a quattro....



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