giovedì 31 dicembre 2009

Gong



Nei primi anni 70, quando ero alla costante ricerca di musica nuova, seguii il consiglio di un mio compagno di scuola che mi propose “Angel’s Egg “ dei Gong.
Posseggo ancora quell’incredibile vinile, un po’ “massacrato”, ma ancora ascoltabile.
Ed io lo ascolto.
Nel cercare di proporre qualcosa di Daevid Allen e soci ho trovato qualche difficoltà.
La storia è molto intricata e non è possibile raccontare “troppo” in un blog che dovrebbe fornire “una lettura in pillole”.
Ho provato a riassumere qualcosa trovato in rete, tagliando e ricucendo con ago, filo e tasti.
Spero che ne risulti una lettura chiara e, soprattutto, che nasca la voglia di avvicinarsi alla musica dei Gong.
Il progetto dei Gong, rock band capitanata da Daevid Allen, si riassume nella Trilogia di “Radio Gnome Invisibile” .
Musicalmente parlando, la trilogia raccoglie e amalgama tutto ciò che nei primi anni 70 era possibile ascoltare. Un ibrido per eccellenza dove la psichedelia della San Francisco Bay miscelata al Canterbury inglese fanno da matrice; le visioni strampalate di Allen unite alla poesia surrealista della moglie Gilli Smyth sono l'altro marchio di fabbrica; tastiere, fiati e bonghetti le tessere mancanti di un incredibile mosaico di suoni. Anche se per definizione confinati sempre in un ambito underground, nel 1971, con il loro terzo disco "Chambert Electrique" , arriva il loro primo successo commerciale. Un album quest'ultimo che, secondo leggenda, venne registrato esclusivamente durante le notti di luna piena dell'estate di quello stesso anno. Sarà proprio "Chambert Electrique" a preparare il terreno al successivo "Radio Gnome Invisible", registrato nella stessa fattoria-studio e (sembra) con rituali analoghi.
La trilogia di "Radio Gnome Invisibile" rappresenta fondamentalmente un inno al libero pensiero. Quasi ad emulare la Torre di Babele, si materializza come un tentativo di raggiungere qualche divinità attraverso una sorta di "mastodontica congiunzione tra le arti". Anche se la musica dei Gong nasce come influenzata dalla Psichedelia "primordiale" (quindi Syd Barret e Grateful Dead in primis), ciò che alla fine esce dal cilindro, di primordiale o classico ha veramente poco. La risultante è una musica che può essere definita in mille modi ed in altrettanti modi opposti senza mai sbagliarsi. È un rock pesantemente spruzzato di misticismo, medioevale, eroico, fiabesco e hippie; allo stesso tempo intriso in atmosfere bucoliche, fatate, spaziali e surreali. Sicuramente un sound di difficile caratterizzazione e descrizione.
Facciamo un passo indietro, torniamo nella seconda metà degli anni sessanta dove, alla soglia della trentina Daevid Allen, australiano, trapiantato e musicalmente cresciuto in Inghilterra in quel di Canterbury, dopo aver sposato la poetessa inglese Gilli Smyth, decide di rompere con la sua band di allora: i Soft Machine di Robert Wyatt. Di quest'ultimo criticherà a più riprese una eccessiva immobilità artistica ed una scarsa propensione alle innovazioni. Successivamente, nel 1967, Allen insieme alla moglie ed altri musicisti, si insedia vicino Parigi, in aperta campagna, in una fattoria che verrà convertita ad una sorta di centro dedicato alla ricerca musicale. Da questa convivenza, si svilupperà dopo alcuni aggiustamenti la prima line-up dei Gong.
Nel gruppo, ogni componente è chiamato con un proprio nickname, a sua volta diverso dal nome dei personaggi che interpretano nei dischi. Inoltre, per creare ancora più confusione, i nomi degli strumenti sono sempre associazioni fantastiche, quasi mitologiche come: spermguitar, space wisper, dog foot e così via. Questo però non deve far pensare ad una loro approssimativa attitudine musicale, tutti infatti avevano un background classico e tutti, seppur nell'improvvisazione, sapevano dove volevano andare.
Comunque, in ordine decrescente di "sballamento", i Gong di Radio Gnome Invisible, con i loro bravi nick sono:
· Daevid Allen - Bert Camembert (chitarra, voce - local vocals, lewd)
· Gilli Smyth - Shakty Yoni (voce - space wisper, orgone box)
· Steve Hillage - The Submarine Captain o Stevie Hillside (chitarra solista - spermguitar, slow whale, sideral slideguitar, dog foot)
· Tim Blake - High Tea Moonweed o Francis Bacon (organo e tastiere - VCS3 box, Cynthia size A, crystal machine)
· Didier Malherbe - Bloomdido Bad de Grasse (sax, flauto - split sax, soprasax, so floot)
· Mike Howlett - Mista T Being (basso - aqualung bass)
· Pierre Moerlen - Dierre de Strasbourg o Lawrence the Alien (batteria, percussioni - drumbox kicks & knoks)
Radio Gnome Invisible. La storia
A cavallo tra il 1973 ed il '74 vengono pubblicati su etichetta Virgin i tre album facenti parte della trilogia. Nell'ordine: "Flying Teapot", "Angel's Egg" e "You".
Nelle intenzioni della band c'era sicuramente l'obiettivo di realizzare qualcosa di molto simile ad una commedia per orecchie, l'output non andrà molto distante.

A dispetto del precedente "Chambert Electrique" che aveva imposto la band anche tra il grande pubblico, "Radio Gnome Invisible" fu concepito come un prodotto di "pura controcultura fortemente intellettuale"; destinato a nicchie di seguaci votati alle "pure sperimentazioni", un prodotto in tutto e per tutto refrattario alle mode. Centrerà in pieno tutti gli obiettivi; i tre dischi si collocano ben oltre la definizione di concept album, ma allo stesso tempo si presentano come un'opera troppo raffinata e strutturata per essere definita solo provocazione artistica. Tre dischi in grado di consacrare i Gong come band di culto in maniera quasi imprevista, quasi ci fossero molti più "fuori di zucca" di quanto preventivato.
La Parigi del finire dei Sixties, musicalmente non era certo avara di ispirazioni: un ombelico "globale" dove confluiva di tutto: musica classica, free jazz, musica balcanica e araba. Da questa metropoli i Gong assorbiranno tutto, anche il lato oscuro, cominciando dai concetti politico-filosofici di anarchia (un loro chiodo fisso), la loro volontà di evitare ogni forma di snobismo, per finire al rifiuto dell'identità borghese. Anche il teatro parigino, con le sue lezioni di melodramma, mimo e prosa, esercitò un forte ascendente sui nostri.
"Radio Gnome Invisible" introduce la storia e i personaggi nel primo atto "Flying Teapot". Si racconta di una "teiera volante" - flying teapot appunto - proveniente dal pianeta Gong che atterra sulle montagne del Tibet per incontrare tre rappresentanti del pianeta Terra (Mista T Being, Fred The Fish e Banana Ananda). La teiera volante trasporta "Pot Head Pixies": piccole creature verdi con minuscole antenne piantate in testa costantemente connesse alle trasmissioni radio di Radio Gnome Invisible provenienti, neanche a farlo apposta, dal pianeta Gong (per la cronaca situato al settimo cielo in una zona dell'Universo sconosciuta ai nostri astronomi troppo primitivi). La missione dei Pot Head Pixies è quella di preparare il pianeta Terra all'arrivo di una numerosa colonia di Gonghiani prevista per il 2032. La storia prosegue poi con gli altri due dischi e con le avventure del nostro rappresentante terrestre Zero The Hero sul pianeta Gong.
Tutto questo è arricchito, a volte sovraccaricato, da continue allusioni dove la normalità è la non normalità. Banana Ananda per esempio viene presentato come l'orso Yogi che vive nella sua caverna tibetana ed usava la frase "banana nirvana manana" per entrare in trance. Oppure la descrizione del misterioso scudo di forza impenetrabile che circonda gli Octave Doctors che a loro volta apparivano come occhi giganti incaricati di proteggere il pianeta Gong.
Autentici bombardamenti e veri e propri loop di allusioni sono anche le descrizioni del booklet di "Angel's Egg" e le liner notes che confondono ancor di più. Volontariamente le informazioni necessarie a capire la storia sono state frazionate e nascoste in contesti diversi. A nessuna curiosità viene data una risposta comprensibile, piuttosto, la risoluzione di un dubbio ne genera a sua volta altri. Poi, come se non bastasse, sia le liner notes che i testi contengono molto slang e numerose parole sono inventate o scritte secondo fonetica. Giudicando da quest'ottica, sembra che la band si trovasse dentro una specie di "turbolenza psichedelica", febbricitante, delirante e allucinata da tutto questo contorno.
La trilogia, e a questo punto sembra superfluo dirlo, nella sua monumentalità rappresenta una delle più grandi rock opera di sempre. Due ore e mezzo di dissonanze spaziali, vibrazioni viscerali dell'universo, evocazioni ultraterrene, riferimenti "trippati" dove l'immaginazione è stata spinta (da chi e con che cosa lo si può sospettare...) davvero al limite. Due ore e mezzo dove si condensa l'anima di una band al proprio apice creativo.


lunedì 28 dicembre 2009

Amazing Journey: The Story of The Who


Sotto l’albero di Natale ho trovato, come al solito, stimoli musicali.
Nella letterina di metà dicembre metto sempre qualche libro e qualche DVD o CD.
A volte scrivo anche i dettagli dei miei desideri, ma in altre occasioni lascio che l’intuito dei miei familiari coincida con qualche mio desiderio, e magari lo superi.
Anche quest'anno sono rimasto soddisfatto.

"L’oggetto" musicale di cui vorrei raccontare oggi è un doppio DVD, “Amazing Journey: The Story of The Who”.






Dei The Who ho scritto spesso da queste pagine, essendo uno dei miei gruppi preferiti, sicuramente il n. 1 in ambito rock (in senso generale, senza sottocategorie).
Il gruppo ha caratterizzato la mia fanciullezza (quando ho ascoltato “Substitute” la prima volta, avevo 8 anni!!) e quando nel 2007 sono riuscito a vederli (col mio cucciolo di 10 anni)ho provato emozioni fortissime, che non sono state minimamente intaccate dai temporali e dalla perdita dela voce di Roger Daltrey.
Pete Townshend è il mio modello di musicista.
Il doppio DVD racconta la storia di questa band, nei singoli e nell’insieme.
E’ un bel racconto per chi, come me, conosce bene quel mondo musicale, ma credo sia gradevole anche per chi poco lo conosce e desidera approfondire.
Ci sono filmati inediti, e rivedere gli Who a sedici anni sul palco provoca una forte nostalgia.
Rivivere quei momenti in bianco e nero, riporta alla magia di quei giorni, in un mondo di cui sentivamo parlare, ma non potevamo toccare con mano. Le prime ribellioni, le prime musiche “diverse”, giovani vite che diventavano improvvisamente portatrici del cambiamento culturale naturale a pochi anni dalla fine della guerra.
Mi sono ritrovato in quegli abiti, in quegli atteggiamenti, in quei suoni che per me erano elementi assorbiti di rimbalzo.
E poi i veri protagonisti, The Who, uno per uno, gli ormai assenti e i presenti, i drammi e la voglia di continuare, grazie alla necessità di creare musica.
E che dire della tragedia di Cincinnati, nel 1979, raccontata dai protagonisti!

Un bel lavoro che consiglio a tutti gli amanti della musica, meno giovani e giovani.
L'acquisto in negozio tradizionale porta ad una spesa nota, per un doppio DVD, ma in rete si può trovare a basso prezzo, tra 7 e 15 €.

La scheda:
Titolo: Amazing Journey: The Story of The Who
Regista: Paul Crowder Murray Lerner
Attori: The Who
Produttore: Universal Pictures
Anno di produzione: 2007
Durata: 210
Sottotitoli: Cinese, Danese, Finlandese, Francese, Inglese per non udenti, Islandese, Italiano, Norvegese, Olandese, Portoghese, Spagnolo, Svedese
Formato audio: Inglese (Dolby Digital 5.1)
Contenuti: dietro le quinte (making of),speciale,interviste
Data pubblicazione: 21 Novembre '07




mercoledì 23 dicembre 2009

Shirley Ann Manson


Shirley Ann Manson è una cantante, chitarrista, modella e attrice scozzese, famosa come frontwoman del gruppo statunitense dei Garbage.

Seconda di tre figlie di un genetista e di una musicista, all'età di 7 anni si iscrive alla "City of Edimburgh Music School", dove inizia a suonare il pianoforte.
A scuola è fatta oggetto di episodi di bullismo, viene infatti presa in giro per i suoi capelli rossi e per i suoi occhi giudicati troppo grandi. Questo la getta in una profonda depressione (ricordata in Only happy when it rains) e la spinge a forme di autolesionismo.
Il primo gruppo in cui entra a far parte è quello degli Autumn 1904 and Wild Indians, ma è solo con il gruppo dei "Goodbye Mr. Mc Kenzie" (nel quale è sempre tastierista), di cui fa parte dai 16 anni, che ottiene un certo successo.
Dopo lo scioglimento del gruppo, nel 1992, Shirley fonda (con altri due membri dei Goodbye Mr. Mc Kenzie) gli Angelfish, dove lei è anche cantante. Gli Angelfish pubblicano nello stesso anno un omonimo album, lanciato dal singolo Suffocate Me.
Nel 1993 tre famosi produttori statunitensi stanno creando un nuovo gruppo: cominciano a scrivere musica e testi, ma gli manca una vocalist.
Una sera però Steve Marker, guardando 120 minutes su MTV, vede il video di "Suffocate me". Marker rimane subito impressionato e colpito dalla voce di quella ragazza, tanto che lui e gli altri membri del gruppo la vollero per farla diventare una di quelli che si chiameranno Garbage.
Appena entrata nel gruppo inizia subito a modificare i testi delle canzoni già scritte da Vig e Marker: il lavoro darà vita all'albumGarbage, che uscirà nel 1995, sulla scia di singoli come Only happy when it rains, Stupid girl e Milk.
L'album venderà 5 milioni di copie, ottenendo il disco di platino in USA, Gran Bretagna e Australia.
Nel 1998 esce il secondo album della band, Version 2.0, dove Shirley è autrice dei testi e suona la chitarra in alcune tracce.

In questo periodo il gruppo crea la colonna sonora del film The world is not enough, della serie diJames Bond.

Dopo una breve parentesi come modella per Calvin Klein, Shirley torna a lavorare a un nuovo album, il sensuale Beautifulgarbage, uscito nel settembre del 2001, dal quale vengono estratti singoli come Cherry lips e Androgyny. In quel periodo però si manifestano dei dissidi interni al gruppo, che poi causeranno un temporaneo scioglimento (2003); contemporaneamente Shirley deve subire un intervento chirurgico a causa di alcuni noduli alle corde vocali (per mesi non potrà cantare). Ma «quasi magicamente» (come ha affermato lei stessa) il gruppo si ricompone, per incidere Bleed like me, quarto album della band.

Finito il tour di Bleed like me, voci insistenti parlano di scioglimento del gruppo, mentre ufficialmente i membri della band parlano solo di progetti solisti per ognuno di loro.

Manson è stata scelta nel 2008 per la parte di Catherine Weaver nel telefilm Terminator: The Sarah Connor Chronicles.





domenica 20 dicembre 2009

Flying Burrito Brothers


I Flying Burrito Brothers furono la naturale conseguenza .......
della rivoluzione country-rock cominciata da Gram Parsons (già presente su questo blog) nel 1968.
Alla tormentata storia del complesso hanno preso parte in tempi diversi parecchi personaggi importanti del country-rock.
La prima formazione del gruppo (ottobre 1968) comprendeva Parsons (canto), Chris Hillman dei Byrds (basso e mandolino), Chris Ethridge (basso), Pete Kleinow (steel guitar).
I primi due dischi, impostati da Parsons e Hillman, sono suonati con entusiasmo e spontaneita`, soprattuto il primo, "Gilded Palace Of Sin "(1969), una raccolta di canzoni country apocalittiche che parlano di solitudine, teppismo, droga, sesso adolescenziale e crisi esistenziale, cantate da
Parsons con la sua voce cristallina e disperata ("Sin City", dove profetizza, con un tono da predicatore moribondo, la distruzione della citta` del peccato ad opera di "The Lord's Burning Rain"), accanto a stornellate piu` facili (Christine`s Tune, My Uncle).
E` il capolavoro del country d'autore di Parsons, che trova modo di dare forma concreta ai fantasmi interiori della sua tormentata psiche.
Dal suo agghiacciante spaccato morale, Los Angeles emerge come un inferno di degradazione e alienazione, un buco nero dei sentimenti dove l'individuo e` condannato alla solitudine eterna e sempre piu` acuta, un luccicante "palazzo dorato del peccato".
L'album rimarra` forse il capolavoro del country-rock.
Il successivo Deluxe (1970), che annovera il chitarrista Bernie Leadon degliEagles, ritorna invece al sound dei Byrds, con le armonie vocali a tre voci e le chitarre piu` jingle-jangle che country (Cody Cody).
Inediti del periodo compariranno anche su Sleepless Nights (1976).
La vita scapestrata costa a Parsons il posto nel complesso, che viene preso dal cantante e chitarrista Rick Roberts, autore di qualche buona ballata (Colorado) su "Flying Burrito Brothers" (1971).
Il gruppo rischia pero` di affondare nella ragnatela dei troppi talenti, e non stupisce che riesca meglio dal vivo, sull'effervescente " Last Of The Red Hot Burritos "(1971), con Byron Berline scatenato al violino nel Dixie Breakdown e nell'Orange Blossom Special.
Qui prevale l'anima bluegrass, i virtuosismi incantano e trascinano.
Naturalmente e` rimasto poco dell'animo tormentato di Parsons.
Questo e` il country-rock per le masse, non quello per la catarsi personale.



Gli atteggiamenti irriverenti valsero loro l'appellativo di "country-punk".
In quest'immagine, piu` che nella musica, sta il loro contributo piu` importante alla nascita del nuovo genere.
"Close Up the Honky Tonks "(1974) e` un'antologia.
Leadon lascio` per formare gli Eagles, Hillman si aggrego` ai Manassas di Stev Stills, e, dopo due anni, anche Roberts lascio` il gruppo per formare i Firefall.
Berline suonava anche con i Country Gazette, formati nel 1971.
Chris Ethridge e Pete Kleinow riformarono i Flying Burrito Brothers, che registrarono "Hot Burrito "( 1975), "Flying Again" (1976)," Airborne" (1976).
"Sin City" (2002) e` un'antologia, comprendente per intero i primi due album.
Hillman terra` viva l'idea di quel country-rock intellettuale sui suoi dischi solisti "Slippin Away" (1976) e "Clear Sailin" (1977), e poi la portera` al successo con la Desert Rose Band (One Step Forward, 1987; He's Back and I'm Blue, 1988; I Still Believe in You, 1988).



Citazione del giorno:
"Quello che ci piace negli amici è la considerazione che hanno di noi" (Tristan Bernard)

mercoledì 16 dicembre 2009

Fiona Apple




Nata e cresciuta nell’Upper West Side di Manhattan, New York, la giovane Fiona Apple si impone all’attenzione del mondo musicale con il suo primo album, il delicato e intenso Tidal, uscito per la Sony Music nel 1996 e motivo di paragoni con altre giovani cantautrici statunitensi (Alanis Morissette, Tori Amos, Leah Androne, Danielle Brisebois). Le ottime recensioni pubblicate da testate come Rolling Stone, Time e New York Times vengono affiancate dal grande successo riscosso durante il Lilith Fair Tour e da un Grammy Award conseguito nella categoria “Best New Artist in a Video”. Nel 1999 esce il suo nuovo album, When The Pawn..., prodotto da Jon Brion. Tra i vari progetti collaterali, Fiona Apple contribuisce anche alla realizzazione della colonna sonora del film “Pleasantville”.
Sei anni dopo il suo secondo album, Fiona Apple torna con Extraordinary Machine, un disco che era diventato un caso: registrato nel 2002, era infatti stato rifiutato dalla sua etichetta a causa dell'assenza di brani commerciali ma, dopo una campagna online dei sostenitori della cantante e anche per il fatto che una versione del lavoro era emersa su Internet, la Sony decise di pubblicarlo dopo avere imbarcato a bordo il nuovo produttore Mike Elizondo(2005).
Nel 2006 interpreta una cover di Sally's song inclusa nell'edizione speciale della colonna sonora del film prodotto da Tim Burton Nightmare Before Christmas.
Nel filmato a seguire la vediamo accompagnate dal famoso mandolinista Chris Thile.


giovedì 10 dicembre 2009

Fabrizio Fedele


L'arrivo della Prog Family degli Osanna, a Savona, mi ha regalato nuove conoscenze significative:
http://athosenrile.blogspot.com/search/label/Osanna%20a%20Savona
http://athosenrile.blogspot.com/search/label/David%20Jackson

Questa famiglia delle meraviglie non è solo piena di artisti/miti maturi, ma il 50% è composto da giovani talenti che ho avuto la fortuna di vedere e ascoltare da vicino.
Uno di questi è Fabrizio Fedele, di mestiere chitarrista, sotto diverse forme e con diversi gruppi, scrittore... e sicuramente molto altro.
E' appena uscito un suo disco, Brotherhood of the Wine, di cui ho inserito a fine post una delle tante presentazioni, quella di Rosario Scavetta.


Nonostante la giovane età Fabrizio può vantare una grande esperienza e per scoprire qualcosa in più di lui, ho provato a porgli qualche semplice domanda che contribuisce a formare un quadro che, pur non essendo esauriente, dovrebbe stimolare la curiosità e portare sulla strada dell'approfondimento:

L'intervista

A marzo, nel corso della presentazione di “Prog Family”, ho ascoltato Lino Vairetti dire che i musicisti dei nuovi Osanna incarnavano il vero spirito prog, quello che lui cercava.Cosa vuol dire per te, musicista anagraficamente lontano dalla musica progressiva, ascoltare, suonare e incarnare quella musica di inizio anni 70? Premetto che sfondi una porta aperta. Per me esistono due cardini, inscindibili e imprescindibili, nella musica pop (nell’accezione “popular”) di sempre: Jimi Hendrix e The Beatles. Quindi quel sound, quelle sonorità chitarristiche e non solo mi affascinano da sempre. Se ascolti Tomorrow Never Knows dei Beatles, su Revolver del ’66, capirai a pieno di cosa parlo. Il suono della band, il drumming di Ringo Star… sublimi!

Leggendo le note biografiche Fabrizio Fedele appare come un soggetto iperattivo, che spazia dalla musica alla scrittura, tra differenti gruppi e lavori diversi. Cosa pensi della mia banale teoria che il massimo a cui possiamo aspirare è far coincidere il lavoro con le passioni quotidiane? E’ esattamente ciò che faccio: la mia passione è il mio lavoro e viceversa. Qualcuno diceva “se ami il tuo lavoro non lavorerai un solo giorno della tua vita”. Beh, approvo in pieno. Tutti i progetti in cui m’immergo sono quasi sempre progetti “d’amore”.

Mi spieghi quale tipo di equilibrio occorre cercare in un gruppo quando dei giovani, seppur talentuosi, devono relazionarsi con mostri sacri della musica italiana e internazionale? Ah, saperlo! La chimica degli elementi (quelli della band, dico) è fondamentale. Sono profondamente convinto che la musica nasca e si faccia prima di salire sul palco. Se non c’è alchimia tra gli stessi componenti della band credo non accadrà mai nulla di veramente magico su nessun palco. Poi, il talento e la creatività fanno il resto.

Poter vivere di musica, di questi tempi, può anche voler dire scendere a importanti compromessi. Ti è mai capitato di avere preso una decisione esclusivamente “commerciale”, di cui poi ti sei pentito? Mai! Ecco perché non ho una lira (rido profondamente).

Suonare in un gruppo importante e realizzare un tuo album personale, credo siano cose che in maniera diversa diano enormi soddisfazioni. Ma qual è il vero sogno di Fabrizio Fedele? Continuare a vivere di musica! Per sempre!

Brotherhood of the Wineè la tua ultima opera. Cosa rappresenta per te: una continuazione, una maturazione, una novità? A questo non so rispondere. Ma forse è un po’ tutte e tre le cose che hai appena detto. Credo però sia più giusto che rispondano i fruitori attenti a questo. Io mi sento lo stesso di sempre. Scrivo, compongo, registro e lo faccio cercando di cesellare tassello per tassello affinché il lavoro sia perfetto almeno alle mie orecchie esigenti. Quello che poi ne viene fuori è semplicemente musica…

Credo che le canzoni, i racconti e le poesie, richiedano momenti differenti di ispirazione, e anche il tipo di concentrazione sia di diversa natura. Qual è la tua esperienza in proposito? Stati d’animo. E voglia di raccontare. Agitare bene prima dell’uso… et voilà!

Qual è il ricordo più bello, musicalmente parlando della tua storia musicale? Tutte le sante volte che salgo su di un palco. E il prossimo sarà ancora più bello… almeno me lo auguro!

Riesci ad avere una sorta di separazione tra lavoro e vita privata? Questo dovresti chiederlo a mia moglie. A parte gli scherzi, è veramente difficile scindere le due cose. I miei migliori amici sono musicisti, giornalisti musicali, scrittori. Mia moglie danza e ama fotografare rock shows (la maggior parte dei miei scatti sono opera sua, lo stesso Lino Vairetti ne sa qualcosa). Per cui anche nella vita privata è difficile che non si parli di “lavoro”.

Cosa regala Napoli a un musicista, qualunque sia la musica che lo appassiona? Il background formativo. La grinta. E soprattutto la voglia di lasciarla. Quando nasci in una metropoli difficile come la mia devi imparare a difenderti. Io lo faccio con la mia strato e i miei ampli valvolari sparati a tutto volume.



La Presentazione dell'Album
Un nuovo viaggio sonoro per il trentottenne musicista napoletano: 11 tracce sospese tra gli echi di John Fante, l’esperienza-prog con gli Osanna e l’omaggio a Carlos Santana. In una lettera all’amico giornalista Carey McWilliams del 1974, il grande scrittore John Fante descrisse gli elementi-chiave del suo romanzo La confraternita dell’Uva, la storia di Nick Molise e “di quattro italiani vecchi e ubriaconi” come amava definirla lo stesso Fante.
Ed è proprio una leggera variazione del titolo originale di questo libro a dare il nome al quarto album di FABRIZIO FEDELE, Brotherhood of the Wine. Il trentottenne musicista napoletano - chitarrista, compositore, autore di colonne sonore e scrittore – giunge al suo quarto capitolo discografico completando idealmente il percorso affrontato con i precedenti THE INVISIBLE PART OF ME, IF I HAD MECHANICHAL WINGS e GLUE.
Il disco è stato prodotto e registrato dallo stesso Fedele presso il suo Cellar Studio, mentre il mastering è stato affidato a Steve Fallone del prestigioso studio statunitense Sterling Sound di New York. Otto tracce composte dal chitarrista e tre riletture d’autore, Bella del leggendario Carlos Santana e gli strumentali Variazione VI e Variazione VI (reprise) firmata negli anni Settanta dal Premio Oscar Luis Bacalov e dagli Osanna, formazione di cui Fedele è oggi chitarrista ufficiale.
Ed è proprio la voce di Lino Vairetti, frontman storico degli Osanna, nel brano Danzami negli Occhi, composto da Fabrizio Fedele ad aprire Brotherhood of the Wine: lo stesso brano è poi riproposto con un testo in lingua inglese – The Patchwork Lion – nell’intepretazione vocale di Fedele come ultima traccia del disco.
Pubblicato dall’etichetta Afrakà e distribuito dalla BTF, Brotherhood of the Wine è un disco ambizioso sotto il profilo sonoro e compositivo, impreziosito da una bella copertina e da un delicato artwork dell’artista Lucia Franciosa. Questi i musicisti che hanno preso parte alla lavorazione del disco: IRVIN VAIRETTI e SOPHYA BACCINI (backup vocals), SIMONA COSCIA FEDELE (french vocal), NELLO D’ANNA (electric bass), FABIO CENTURIONE (violoncello), ADRIAN EVANGELISTA (glass percussion / Hammond organ), ENZO VACCA (electric bass), PINO CICCARELLI (saxophone), MARCO CALIGIURI (drums), SASA’ PRIORE (Hammond organ / Rhodes piano) e i due compnenti del FABRIZIO FEDELE TRIO SERGIO SCALETTI e PINO REGA (coautore del brano Rush of Blood).



sabato 5 dicembre 2009

venerdì 4 dicembre 2009

Chris Thile




Ho appena conosciuto Chris Thile...

e non posso fare a meno di raccontare qualcosa di lui. Le immagini parleranno più di ogni descrizione di questo 27enne , ex Nickel Creek. Spero che gli occasionali lettori saranno invogliati a ricercare il lavoro di questi musicisti , davvero incredibili.
Utilizzo una vecchia descrizione di Alfredo De Pietra per descrivere il personaggio.

Il termine “enfant prodige” è sempre stato visto con una buone dose di perplessità e scetticismo nel campo musicale: tranne rare eccezioni, quasi sempre tutta l’abilità dei bambini prodigio si risolve in puro sfoggio di una abilità tecnica fine a se stessa, senza la presenza di una “sostanza” artistica apprezzabile.
Il giovanissimo mandolinista americano Chris Thile costituisce in questo senso una piacevole eccezione.
Provate un po’ a immaginare la scena: il piccolo Christopher Scott Thile alla tenera età di due anni viene portato da mamma e papà in una di quelle pizzerie americane con la band che suona dal vivo in sottofondo musica bluegrass. Il piccolo Chris osserva e sente suonare il mandolinista della band, John Moore e…ad onta dell’età il pargolo prende la decisione della sua vita: il mandolino sarebbe stato per sempre il suo compagno inseparabile.
Sogni di un bambino? Niente affatto! Invece di chiedere trenini e costruzioni, il piccolo Chris desidera, vuole, pretende un mandolino.
All’età di cinque anni i genitori, esausti per le continue richieste del piccolo Chris, decidono finalmente di accontentarlo, e gli regalano il tanto agognato strumento: da allora in poi non vi è stato un solo giorno in cui Chris Thile non sia stato con il mandolino tra le mani. E i risultati si iniziano ben presto a vedere: all’età di otto anni si affiancano a questa giovane promessa i coetanei Sara Watkins al fiddle e Sean Watkins alla chitarra: è la nascita del gruppo Nickel Creek. A 12 anni Chris viene scritturato dalla Sugar Hill Records, ed il suo primo album, Leading Off, desta grande scalpore nell’universo dei mandolinisti americani. La musica dei Nickel Creek è stata descritta con toni iperbolici dal New York Times, e il TIME Magazine si è spinto a parlare di Chris, Sara e Sean in termini di “Music Innovators for the Millennium”.
Oggi Chris Thile non è più considerato semplicemente un bambino prodigio, e il suo nome figura a ragione tra i grandi del mandolino mondiale, a prescindere dai generi musicali. Se infatti è vero che la sua origine è ragionevolmente da collocare nella bluegrass music, è innegabile che nella sua musica siano presenti le più svariate influenze, dal jazz al rock alla musica classica, con una sostanziale vena “celtic”, nettamente percepibile del resto anche nelle incisioni con i Nickel Creek.




Ciò che colpisce maggiormente in questo incredibile talento musicale sono, a parte la sensazionale abilità tecnica, la versatilità e il gusto presenti nelle sue registrazioni: non si può parlare esclusivamente di bluegrass né comunque, a ben vedere, di un ben definito genere musicale. Non a caso la critica musicale di giornali come USA Today e il Chicago Tribune si è espressa, a proposito di Chris Thile, in termini di “acoustic innovator” e di “future Of American acoustic music”.
A onore del mandolinista va inoltre il merito di non essersi montato la testa, nonostante la giovane età e le lusinghiere definizioni che già da qualche anno accompagnano la sua musica. Thile ammette infatti serenamente di comprendere bene di trovarsi ancora in una fase iniziale del suo sviluppo artistico:

Cerco sempre di migliorare la mia conoscenza della tastiera, di impadronirmene sempre meglio da un punto di vista tecnico. Da questo punto di vista i miei modelli sono i pianisti e i violinisti classici e i sassofonisti jazz. Alla base della mia filosofia musicale vi è il continuo miglioramento, non tanto da un punto di vista tecnico, ma in funzione di una migliore espressione delle mie tendenze artistiche. A chi mi chiede quali siano le mie influenze musicali, posso mostrare la musica che ascolto in macchina: Pat Metheny, J.S. Bach, Radiohead, Bela Fleck…”


Recentemente è stato pubblicato, sempre dalla Sugar Hill Records, il terzo CD di Chris Thile, intitolato Not All Who Wander Are Lost, ovvero “Non tutti quelli che vagano si sono persi”. La spiegazione di questa altrimenti sibillina affermazione è nelle note di copertina redatte dallo stesso mandolinista:
Il concetto alla base di questo album è che comunque è sempre meglio vagare insieme a qualcuno, che non da soli. Certo, mi piace comporre, ma arrangiare, provare e alla fine registrare la mia musica assieme a questi musicisti è stato per me il classico sogno che si avvera! Sono infatti cresciuto musicalmente ascoltando la loro musica, e suonando insieme a questi grandi musicisti ho cercato di capire cosa ci accomuni e cosa d’altro canto li renda così unici: ci unisce il gusto dell’esplorazione musicale, e ciò che li diversifica è quello che ciascuno di loro riesce a offrire e il modo in cui ci presenta la propria individuale esperienza artistica. La musica di questo CD rappresenta ciò che ho osservato, sperimentato e creato grazie a queste grandi collaborazioni”.


E ad osservare la line-up di questo CD ci si rende conto che ad accompagnare Chris Thile in questa sua nuova avventura discografica è presente il meglio della new acoustic music americana: in varie formazioni sono infatti presenti Bela Fleck al banjo, Jerry Douglas al dobro, Stuart Duncan e Sara Watkins al fiddle, Edgar Meyer e Byron House al basso, Bryan Sutton e Sean Watkins alla chitarra e Jeff Coffin al sax tenore.
Sul CD è presente il brano “Big Sam Thompson”, tratto da Not All Who Wander Are Lost, evidente esempio dell’importanza della celtic music nell’esperienza artistica di Chris Thile: il brano è dedicato a un antenato di Chris, a quanto pare star del baseball americano degli inizi del secolo scorso. Per stessa ammissione di Chris inspiegabilmente nel suo cervello vi è una curiosa associazione mentale tra il baseball e la musica celtica!
Ad accompagnare il mandolinista in questo “Big Sam Thompson” sono Sean e Sara Watkins, ovvero il resto dei Nickel Creek, e Byron House al basso. È una fiddle tune che parte con una lenta e malinconica presentazione del tema per poi scatenarsi liberamente fino a un travolgente finale: energia allo stato puro, e chiara dimostrazione delle grandi qualità di compositore, arrangiatore e strumentista di questo ex bambino prodigio, dai più considerato ormai, giustamente, il nuovo messia del mandolino.

L'articolo risale a qualche anno fa per cui vediamo i fatti più recenti relativi ai Nickel Creek

Alla fine dell'estate del 2006 attraverso il loro sito ufficiale, i Nickel Creek hanno annunciato che entro la fine dell'anno non avrebbero più collaborato alla registrazione di un album e che il loro tour programmato per il 2007 sarebbe stato l'ultimo per un indefinito lasso di tempo. Secondo quanto afferma Thile, "è sempre stato naturale, ma ultimamente è diventato tutto meno naturale e correvamo il rischio di scioglierci come gruppo. Abbiamo preferito dividerci per un po' di tempo, intanto che il nostro rapporto è ancora buono."
Sean Watkins ha affermato che tutti i membri del gruppo sono pronti ad espandere i propri orizzonti musicali sperimentando nuovamente la vita reale, "quando sei in viaggio tutto il tempo e incontri le persone che amano la tua musica, non puoi sempre relazionarti con loro perché spesso certe situazioni non le vivrai mai. Dovremmo provare a scrivere canzoni che ci relazionino ad altre persone. Ho bisogno di uscire e vivere una vita diversa da quella che ho vissuto fino ad ora. Sono pronto a scrivere nuovamente di fatti reali".
L'ultimo tour dei Nickel Creek prima della temporanea separazione venne annunciato sul loro sito ufficiale il 13 febbraio 2007. In una recente dichiarazione, i Nickel Creek hanno affermato: "vogliamo fare tutto ciò in maniera positiva e compiere quest'ultimo passo prima della separazione. Vogliamo vedere i nostri fan ancora una volta e suonare con i musicisti che ci hanno ispirato per anni.


Raining at Sunset


giovedì 3 dicembre 2009

Walter Trout


Walter Trout è un noto chitarrista blues nato nel New Jersey intorno al 1951.
Inizia la sua carriera musicale sul finire del 1960, e da giovanissimo milita nella band di Bruce Springsteen.
Trasferitosi successivamente a Los Angeles, per cercare altre opportunita’ nel mondo musicale, suona nella band di Percy Mayfield e di Deacon Jones, collaborando con John Lee Hooker and Joe Tex.

Ma la svolta decisiva avviene nei Blues Breakers di John Mayall, dove spesso è accompagnato da un altro mostro della chitarra blues virtuosa ma mai fredda, Coco Montoya.
Suona nella band di Mayall dal 1981 al 1989, senza incider alcun album.
Il suo stile è riconoscibile da subito, visto il suo virtuosismo, ma anche il suo sentimento da classico chitarrista blues.
Trout è anche autore di album particolarmente riusciti come ad esempio il suo debutto, Life in The Jungle, del 90, un bel mix di rockblues, in cui si avverte chiaramente l’influenza e la mano del maestro Mayall, su un artista ormai completo giunto alla maturità artistica.

Da ascoltare il Live: Trout Live del 2000.

Walter Trout Band

* 1990 Life In The Jungle (re-released in USA in 2002)
* 1990 Prisoner of a Dream
* 1992 Transition
* 1992 No More Fish Jokes (live)
* 1994 Tellin’ Stories
* 1995 Breaking The Rules
* 1997 Positively Beale St.