giovedì 23 aprile 2009

Fabrizio Poggi & Chicken Mambo


Giorno dopo giorno ho la conferma che le attuali tecnologie a nostra disposizione abbiano ruolo fondamentale nel senso della socializzazione, delle nuove conoscenze e dell’avvicinamento di mondi molto lontani tra di loro.
Come sono arrivato a Fabrizio Poggi?
Carlo Aonzo (inutile spiegare chi sia), l’artista che mi ha avvicinato al mandolino, sapendo del mio amore per il blues, mi scrive testuali parole:

"...ci sono delle cose interessanti che ti devo raccontare sul
mandolin blues che sembra avere forti connessioni con gli italiani.
Tutto parte da diverse foto di neri con mandolino bowl back.:
Se hai tempo datti un'occhiata al sito di Fabrizio Poggi che parla dei
Delta Italians e di Rich del Grosso. Poi mi dici cosa ne pensi. "

Contatto Fabrizio che, in collaborazione con la sua metà, Angelina, si dichiara disposto a rispondere ad alcune domande, e quasi mi ringrazia.
Certi segni di umiltà sono, a mio avviso, caratteristica indelebile del grande personaggio.
Nelle sue risposte ampie e dettagliate ci sono elementi “storici” accanto all’attualità, e anche questa intervista, come quelle realizzate precedentemente, si trasforma in qualcosa di didattico che mi gratifica ampiamente e potrà soddisfare più di una curiosità.

L'intervista.

Domanda scontata, dopo la premessa: qual è la tua immagine più "antica" del mandolino nella musica blues?
Più che una immagine vera e propria, sono stati tanti i bluesmen da me incontrati in questi anni in Mississippi che mi hanno confermato che il mandolino nei primi decenni del secolo scorso era molto popolare nel blues e tra la popolazione afroamericana. Purtroppo se sono rare le immagini che ritraggono neri che imbracciano un mandolino, le registrazioni di blues suonato con il mandolino, per contro, sono ancora meno. Ciò lo imputo, presumibilmente, all'industria discografica dell’epoca che era praticamente gestita dai bianchi ai quali probabilmente non piaceva che i neri suonassero uno strumento che per loro era legato agli italiani tutti "pizza, coltello e mandolino"... Questo, non tutti lo sanno, è un altro filo rosso che comunque lega noi italiani al blues. Gli afroamericani avevano conosciuto questo strumento grazie ai nostri emigranti che se lo portavano appresso quando andavano a "cercare fortuna" in America. I neri che avevano importato il "banjar" (che diventerà presto "banjo") dalla natia Africa, abbandonarono presto questo strumento che gli era stato in qualche modo "rubato dai bianchi" e prima di passare alla chitarra, suonavano il mandolino che in qualche modo avendo quattro corde (seppur doppie) si avvicinava al banjo.
Inoltre altri uomini di blues che ho avuto il privilegio di incontrare a Chicago mi hanno raccontato che in città durante gli anno 30 non c'erano solo Johnny Young e Yank Rachel a suonare il mandolino. Tantissimi erano i chitarristi blues che per racimolare qualche dollaro si esibivano (senza cantare naturalmente) suonando con il mandolino le canzoni classiche del nostro repertorio italiano nei tanti ristoranti italiani della città che all’epoca erano gestiti dai boss della mafia italiana come Al Capone e soci. Quindi più di un bluesmen sapeva suonare il mandolino. Il problema è che poi l'industria discografica non li faceva incidere. Gli stereotipi erano duri a morire fin da allora.
Inoltre c’è un’altra interessante storia, che lega noi italiani al blues.
Alla fine dell’ottocento, quando i neri inventarono il blues, erano tanti gli italiani che lavoravano in Mississippi. Erano tanti gli italiani che, lavorando nelle piantagioni, fianco a fianco con i neri, raccoglievano cotone, malaria e canzoni. E allora chissà se forse, nelle vene del blues, non scorra anche un po’ di sangue italiano.
Nessuno saprà mai quanto di italiano ci sia nella “musica del diavolo”. Magari poco o niente. Di certo la storia dei “Delta Italians” è affascinante e testimonia che italiani e neri vivendo e lavorando insieme hanno sopportato fatiche e dolori che non potevano che sfociare nel canto. E di sicuro i neri e gli italiani cantavano nei campi. Probabilmente ognuno cantava la propria canzone. Ma lavoravano fianco a fianco negli stessi campi di cotone. E la musica, si sa, è come il vento, non si può fermare. Ti entra dentro anche se non lo vuoi. Nessuno può dire con certezza che le canzoni cantate dagli italiani non siano entrate in qualche modo in quelle cantate dai neri… Quello che è certo è che il canto unisce davvero i poveri e gli sfruttati di tutto il mondo ed è l’unica medicina veramente efficace contro la malinconia e contro quello che Cesare Pavese chiamava “il male di vivere”.
La storia tragica e commovente dei Delta Italians si può leggere sul mio sito
http://www.chickenmambo.com/

Nella mia città, Savona, c'è un locale che già conosci, il Raindogs, che si dedica prevalentemente al blues .
Tra pochi giorni ti esibirai insieme a molti altri bluesman a Varazze.
Eppure il blues è un po' musica di nicchia, che non fa parte della nostra tradizione.
Come giudichi il momento fortunato, almeno dal punto di vista della partecipazione?
A giudicare dal numero di festival blues che ci sono attualmente in giro, mi sembra che il futuro del blues in Italia sia più che roseo. Ci sono tantissimi bravi e giovani musicisti ed il mondo del blues italiano è davvero colmo di eccellenti “promesse” e ottime “conferme”. Certo niente è facile, ma quando si sceglie di suonare il blues si sa già che la strada sarà in salita. Ma dandoci dentro con passione e tenacia si possono avere grandi soddisfazioni.
Io credo che si debbano ringraziare tutte le persone che in questi anni con grande spirito di sacrificio e abnegazione hanno fatto tanto affinché il blues uscisse dalla ristretta cerchia degli appassionati.
Anche uno spazio come quello che tu gestisci sulla rete, è preziosissimo e di grande aiuto per chi come me considera il blues non una pura musica d’evasione ma qualcosa di più, qualcosa che ti fa diventare più ricco dentro. Qualcosa che ti riempie l’anima e la vita. A proposito di “nicchia” io amo sempre chiedere a me stesso e agli interlocutori che spesso mi chiedono se non sia in qualche modo frustrante suonare in piccoli spazi e per pochi appassionati rispondendo con altre domande. Dove si gustano i sapori migliori? Nella
mensa aziendale che sforna 3000 coperti al giorno o in quel ristorantino in collina, difficile da raggiungere e che ha solo cinque tavoli a disposizione e quindi bisogna prenotarsi con un certo anticipo (e non sempre si trova posto)? E chi è più bravo a stuzzicarci il palato? Il cuoco della mensa o quello trattoria?

A leggere delle tue collaborazioni c'è da rabbrividire, eppure emergere in questo mondo musicale è cosa davvero complicata. Mancanza di pubblicità? Poca voglia di investire? Occhio rivolto al solo business?
Mah, un po’ tutte e tre le cose.
Non vorrei essere troppo negativo e pessimista ma credo che si stia purtroppo raccogliendo quello che si è seminato. Come dice un mio amico, forse gli ultimi ad avere investito sulla musica in Italia sono stati i nobili mecenati dell'Ottocento che commissionavano opere liriche ai compositori, e quindi possiamo aspettarci ben poco. Sembra impossibile, ma in un’epoca dominata da quello che io chiamo “iPod estremo”, in tempi in cui siamo letteralmente bombardati dal suono, c’è davvero poca musica con la emme maiuscola in giro, quasi non c’è musica nelle scuole, non c'è musica nel tempo libero, non c'è musica nelle famiglie... Si fa fatica ad accettare la musica come un fatto culturale. Un figlio ingegnere o avvocato è la gioia e l'orgoglio dei genitori, un figlio musicista è un capellone drogato perditempo che dà tante preoccupazioni... A meno che non guadagni subito tanti soldi, ovviamente. In altri paesi i ragazzi crescono in famiglie in cui alla domenica mattina è naturale trovarsi a fare musica tutti insieme: il papà strimpella la chitarra, la mamma suona il piano, il fratello più grande “strapazza” il violino e la musica così diventa quotidianità. Qualcosa che fa parte della vita, come il cibo, una passeggiata, guardare un tramonto. Qualcosa che ti aiuta a vivere. Che ti arricchisce dentro. Così spesso tutto va avanti senza progetto, senza allegria, senza collegamenti, verrebbe da dire senza speranza, ma io di speranza vivo e quindi sono sicuro che tra le giovani generazioni non so quando e non so come ci sarà qualcuno che troverà il modo di uscire dalle nostre “riserve” musicali. E quello sarà un gran giorno per tutti noi che della musica abbiamo fatto la nostra passione. Il mercato discografico? La logica conseguenza di quanto detto prima: inesistente. Finché la maggior parte dei dischi si vendono ai concerti, non ha nemmeno senso nel nostro paese, secondo me, parlare di mercato discografico. Quelli che ne parlano, spesso, lo fanno solo per riempirsi la bocca e sentirsi importanti. All’estero e in America è tutta un’altra cosa. E infatti lì ho potuto realizzare gran parte dei miei sogni.
Comunque ci sono realtà importanti che da anni fanno molto per promuovere la musica che arriva dal cuore dei musicisti. Mi vengono in mente il negozio di Paolo Carù a Gallarate, le riviste Buscadero, FB Folk Bulletin, il Blues, Musicablack, Jam, Rockerilla e distributori come l’IRD di Franco Ratti. Realtà e persone a cui tutti noi appassionati di blues e dintorni dobbiamo essere grati. Senza dimenticare poi tutti i festival, promoters e i piccoli club che tra mille difficoltà ci portano vicino a casa musicisti di gran pregio. Un esercito di persone che spesso in maniera assolutamente disinteressata e appassionata stanno cercando da anni di far diventare il nostro un paese “musicalmente più civile”.


Ho visto che ti sei esibito anche a Memphis , che ho avuto la fortuna di vedere da poco. In Beale Street si ha l'impressione che il blues sia un elemento vitale, come il pane e l'acqua. Seduti per strada si possono trovare artisti che hanno calcato palchi di tutto il mondo. Qual è la differenza, a parità di talento, tra un musicista europeo e uno nato in Tennessee?
Io non parlerei di differenze, ma ormai nel villaggio globale di “fratellanza musicale”. Da anni sono convinto che ci sia davvero un filo rosso che lega le canzoni dei raccoglitori di cotone del Mississippi a quelle delle nostre mondariso. E’ lo stesso filo rosso che lega Woody Guthrie, Pete Seeger, e tutti i bluesmen a Giovanna Daffini e a tutti i cantanti popolari della nostra terra. Le loro canzoni folk (e il blues e lo spiritual cosa sono se non canzoni folk), vengono tutte da un retroterra comune. Sono canzoni semplici e dirette e hanno una grande anima. Sono canzoni, quelle popolari come il blues, che hanno fatto da colonna sonora alla vita disperata eppure piena di sogni di tante persone da questa e dall’altra parte dell’Atlantico. Le stesse persone che come me, come te e che come tutti coloro che si sentono fratelli nell’amore per un tipo di musica che mira dritto al cuore amano ascoltare. Canzoni in grado di raccontare con parole di immediatezza assoluta e di disarmante sincerità ciò che abbiamo dentro di noi. Che uno sia nato in Europa o in Tennessee, ciò che deve fare è cercare di fare “proprie” quelle canzoni, dandone una visione personale, sincera, onesta e in qualche modo unica. E l’onestà e la sincerità pagano sempre, senza ogni dubbio. Come hai scritto nella precedente domanda, è vero, sono stato fortunato. Ho avuto il privilegio di suonare con grandi della musica di ieri e di oggi: da Garth Hudson di The Band a Zachary Richard, da Willie Nelson a Jerry Jeff Walker, da Eric Bibb a Guy Davis, da Eric Andersen a Otis Taylor a Tom Russell. Eppure la più grande emozione, che mi ha in qualche modo ripagato dei tanti sacrifici che ho fatto in questi anni, l’ho avuta in un piccolo juke joint sperduto del Mississippi quando alla fine di una canzone un’anziana donna nera si è alzata, mi è venuta vicino e mi ha detto: “Hey man you touched my heartMi hai toccato il cuore”. Cosa si può chiedere di più? In quel momento ho capito che avevo imparato la “lingua del blues”. E il grande miracolo del blues è proprio quello di essere una musica così piena di forza e saggezza da riuscire a toccare ogni cuore in ogni parte del mondo. Non importa dove tu sia nato, quale sia la lingua che parli e il colore della tua pelle.
Preferisco mille volte suonare “la loro musica” per gente così, come quella signora, piuttosto che esibirmi negli stadi. Queste sono le piccole ma grandi cose per le quali ho tenuto duro suonando con passione il blues da quasi trent’anni. Alcuni mi chiedono perché suono il blues, ma il perché l’ho persino dimenticato. Forse sarà perché la mia generazione è cresciuta nel mito di Kerouac, Steinback, Bob Dylan. Per noi l’America, potrà sembrare oggi ingenuo, era sinonimo di libertà ed il blues la libertà nella musica, almeno per me: libertà di esprimermi toccando con la mia armonica parti profonde dell’animo umano.
Sempre, quando soffio nella mia armonica un blues, sento davvero che qualcuno più grande di me mi ha dato un grande dono: quello di toccare, a volte, l’anima delle persone. Sento che mi è stato dato il privilegio e la possibilità di toccare le corde più segrete degli uomini, corde che stanno nel profondo della loro anima e che vengono mostrate solo in particolari occasioni, perché appartengono a qualcosa di molto intimo; corde che vibrano solo se si riesce a stabilire un contatto fatto di emozioni semplici e sincere
.

Ho conosciuto Richard Johnston e mi sono innamorato della sua musica.
In questi giorni ho ricevuto la sua mail, inviata ai fans, dove chiede scusa per non aver inviato per tempo il suo nuovo lavoro, non avendo trovato i fondi sufficienti .
Anche oltreoceano i problemi sono gli stessi, quando si parla di musica poco vendibile su MTV?
Sono anch’io un grande fan di Richard Johnston. Credo che sia davvero un artista straordinario dotato non solo di grande talento ma capace di trasmettere emozioni davvero indescrivibili.
Un amico proprio qualche giorno fa, mi ha detto che purtroppo sta passando un periodo difficile a causa di diversi problemi personali. Spero che si risolvano presto.
Difficoltà nell’affermarsi ci sono ovviamente anche in America. Bisogna considerare che là sono davvero tanti i musicisti di gran pregio. E se è vero che in quella terra c’è posto per tutti, ogni tanto non essere al posto giusto al momento giusto può far accadere cose piuttosto incomprensibili come quelle accadute a Willy Deville, che è molto più famoso in Europa che negli States.

A fine anno Fabio Treves ha provato a spiegare ai nostri figli che cos'è il Blues.
Tu come lo definiresti? E' tutto racchiuso nel "...no pain no blues?"

Non conosco ciò che ha espresso il mio amico Fabio a proposito di ciò che rappresenta per lui il blues.
Credo che ognuno viva questa musica in maniera abbastanza diversa e personale. Il mio modo di interpretare questa musica che non è solamente qualcosa che si ascolta, ma qualcosa che si vive quotidianamente credo di averlo espresso ampiamente nelle risposte alle domande precedenti
.

Hai a cuore la divulgazione della buona musica verso le nuove generazioni ? Fai qualcosa di specifico... magari in ambito domestico?
Beh chi mi ha già visto in concerto sa che oltre alle canzoni racconto spesso le storie che ci sono dietro ad ogni brano che canto e suono. E’ molto importante specialmente per una musica cantata in una lingua diversa dalla nostra. Allegato alla mia ultima fatica discografica, “Mercy” c’è un libretto piuttosto corposo in cui racconto perché è nata quella canzone e quale è stato il percorso musicale che l’ha portata sino a noi.
Ho scritto diversi libri tra cui “L’armonica a bocca: il violino dei poveri”, un libro per ragazzi (di ogni età) che racconta la storia dello strumento nella nostra musica popolare; “Il soffio dell’anima: armoniche e armonicisti blues” in cui racconto nel mio stile semplice e diretto, la storia dei grandi dell’armonica blues. Un libro che mi ha dato molte soddisfazioni perché sono stati tanti coloro che mi hanno scritto dicendomi di essersi avvicinati al blues proprio dopo aver letto il mio libro. Un libro che io ho aspettato per quasi vent’anni, (tanto è il tempo che ho dedicato all’armonica) che qualcuno scrivesse, e poi quando ho visto che nessuno si decideva, l’ho fatto io. E’ un libro in qualche modo “unico al mondo” perché, nemmeno negli States esiste una pubblicazione interamente ed esclusivamente dedicata all’armonica blues. Inoltre lo scorso dicembre è uscito un libro dal titolo “I cantastorie: una strada lunga una vita” in cui racconto l’emozionante storia dei leggendari cantastorie pavesi. I più famosi cantastorie italiani. Una storia da non dimenticare.
Inoltre oltre ai libri, tengo mensilmente una rubrica sulla rivista FB Folk Bulletin, dal titolo Blues Borders, e collaboro con diverse riviste sia cartacee sia on line tra cui Buscadero,
http://www.musicablack.com/ e altre.

Qual’è il sogno musicale che sei riuscito a realizzare, quello che idealizzavi sin da bambino, e quale quello che vorresti prendesse forma... prima o poi?
Gran parte dei sogni che avevo da bambino, li ho realizzati. Volevo imparare a suonare l’armonica e ci sono riuscito. Volevo mettere su una band e i Chicken Mambo sono ormai una realtà consolidata nel mondo del blues nazionale, e non solo, da oltre vent’anni. Certo quando ero un ragazzo non avrei mai pensato che un giorno avrei suonato con tanti dei miei eroi di quegli anni conquistando la loro stima e ricevendo da loro amicizia e buone vibrazioni.
Prova solo ad immaginare cosa vuol dire per un ragazzo che a sedici anni strimpella la sua chitarra nella stanzetta di una piccola città della provincia italiana, cercando di “andare dietro” ai dischi dei grandi e piccoli (solo per notorietà) musicisti che stanno a migliaia di chilometri da lui, e un giorno, quasi per caso, o meglio “per miracolo” (perché “là” certe cose possono succedere davvero), ti trovi in uno studio di registrazione con Jerry Jeff Walker, Garth Hudson di The Band, Zachary Richard, Ponty Bone, Jimmy LaFave che cantano le canzoni che tu hai scritto in un altro posto lontano da lì, ma che loro stessi (i tuoi eroi) ti dicono sono belle come quelle che si sentono dalle loro parti. Beh lì il tuo cuore viene messo a dura prova.
Anche suonare negli States è stato un sogno che è diventato realtà. Non è stato facile. All’inizio c’era da vincere la diffidenza di chi va ad esibirsi in posti dove sicuramente “non hanno bisogno di una band italiana che vada a suonare la loro musica”. Ebbene con la nostra grande passione siamo sempre riusciti a vendere “il ghiaccio agli eschimesi”. La gente negli States non è “educata” come da noi. Se non gli vai a genio te lo dice con sincerità, ma se riesci a conquistarla, ti dà soddisfazioni che sono difficili da raccontare. Non erano posti “facili” quelli, dove andavamo a suonare, spesso erano club dove fino a 10 anni prima c’era la rete a protezione del palco. Erano locali dove, davvero, guardando le foto alle pareti ci trovavi scritta la storia della musica americana degli ultimi 50 anni. E poi, scorrendo il programma ti trovavi a suonare in un locale dove lo stesso mese c’erano (o c’erano stati) i più bei nomi della scena musicale americana!.
Parecchi dei miei sogni si sono realizzati grazie alla mia “dream catcher” ovvero a mia moglie Angelina,
la mia compagna di vita, che per me, è molto più di una moglie. E’ la persona che io vi auguro, auguro a tutti di incontrare nella vita. Auguro a tutti di incontrare un’ Angelina o un Angelino che, come canto nella canzone a lei dedicata, quando vi perderete nella vostra vita, e a volte capita, vi riporta a casa, come sempre.
Angelina mi ha aiutato a venire fuori da un buco nero in cui ero caduto qualche anno fa e mi è sempre stata vicino nei miei progetti. Chi conosce un po’ la mia storia e quella dei Chicken Mambo sa che molte cose che ci sono accadute in questi anni non sarebbero successe senza il “magico” intervento di Angelina.
E ad aiutare l’Angelina a realizzare i miei sogni, ci sono gli straordinari musicisti con i quali ho la fortuna di condividere il mio percorso: Maurizio “Micio” Fassino alle chitarre, che collabora con me da quasi 25 anni ed è uno dei più bravi suonatori di chitarra acustica in Italia e non solo e ha suonato con diversi artisti americani; il bravo Bobby J. Sacchi, la nostra anima folk, alla fisarmonica, Gianfranco “French” Scala, un ottimo musicista abile sia alla “slide” sia alla chitarra acustica ed elettrica; e una sezione ritmica davvero eccellente composta da due musicisti di gran pregio: Roberto Re al basso e Stefano Bertolotti alla batteria. Stefano Bertolotti oltre ad essere il proprietario dello studio dove ho registrato le mie ultime fatiche discografiche (l’Ultra-Sound Studio) è diventato in questi ultimi anni un musicista di livello davvero internazionale: tanto che parecchi musicisti statunitensi lo hanno ingaggiato per suonare nei loro tour europei. E poi, da non sottostimare, il fatto che tutti i componenti della band alle eccellenti doti musicali uniscono una simpatia e un’umanità davvero uniche. Suonare con loro è per me un altro grande privilegio e l’essere circondato da musicisti di questa caratura mi dà una grande sicurezza sia dal vivo che in studio. E quando suonano hanno un cuore e una passione che posso veramente sentire quando condivido il palco con loro.

La musica ha la peculiarità di permettere, a chi la suona, per mestiere o per diletto, una longevità impossibile in altri campi. Esiste però una fascia di età in cui si evidenzia la piena maturazione artistica? E se sì, quanto può durare?
Mia moglie Angelina, dice spesso come battuta che nel nostro paese si accorgono di te soprattutto dopo morto. O comunque quando sei molto anziano.
Cioè quando praticamente gioire dei tuoi successi è in qualche modo limitato dall’età che avanza e dalle tante delusioni che hanno indurito anche il più sensibile dei cuori.
Certo i musicisti a volte, perché non sempre capita, bisogna essere fortunati anche qui, possono sopravvivere anche oltre la loro scomparsa da questa terra. La loro musica come canta Billy Joe Shaver in una sua bellissima canzone will live forever – potrà vivere per sempre.
Per quanto riguarda la longevità artistica ognuno ha la propria storia. Ci sono persone che cantano per anni la stessa canzone e altre che si mettono in gioco fino al giorno prima di andare in paradiso. Certo quello che conta è invecchiare con la propria musica rimanendo giovani dentro. Sembra facile e sembra una frase fatta ma è difficilissimo. Ed è una cosa che sembra accadere solo ai più grandi.

Mi racconti qualcosa relativamente ai tuoi progetti futuri?
Sicuramente ci sarà presto un nuovo disco anche se adesso non so ancora quali saranno le canzoni che vorrò incidere e quale sarà la strada che prenderà la mia musica. Magari uscirà fra sei mesi o magari fra dieci anni. Tutto questo non dipende solo da me. In questo periodo sto ultimando la scrittura di un libro in cui protagonista assoluto sarà ancora una volta il blues con le sue storie affascinanti e coinvolgenti.
La vita mi ha purtroppo insegnato a non fare progetti a lunga scadenza, ma a vivere il mio futuro di giorno in giorno.
Ogni mattina mi sveglio con la testa piena di nuove idee e nuovi progetti e il mio cuore e la mia anima piena di sogni, ricordi bellissimi e di emozioni indescrivibili. Ma se le emozioni riesco a trasmetterle agli altri attraverso la mia musica, i sogni finché non si realizzeranno, preferisco tenerli nello scrigno segreto del mio cuore.


Breve Biografia

Fabrizio Poggi, cantante, armonicista, viaggiatore, sognatore, scrittore e giornalista, leader dei leggendari Chicken Mambo, premio oscar Hohner Harmonicas, 12 album incisi, di cui tre registrati negli Stati Uniti, ha suonato e inciso con tanti grandi del blues, del rock e della canzone d’autore tra cui Garth Hudson di The Band e Bob Dylan, Willie Nelson, Jerry Jeff Walker, Zachary Richard, Steve Cropper, i Blues Brothers, Ponty Bone, Otis Taylor, Guy Davis ed Eric Bibb.
Il suo lavoro più recente Mercy un album di spiritual blues dedicato a Martin Luther King è stato eletto disco consigliato e disco italiano dell'anno dalla prestigiosa rivista Buscadero con quattro stelle e parole che lo descrivono come un disco prezioso, da assaporare nota dopo nota.
Chi ha già ascoltato il disco e assistito al concerto che ne è scaturito ha definito la musica di Fabrizio Poggi colta e gentile, intensa e interiore, commovente e profonda.
Altri ancora hanno detto di aver raramente ascoltato canzoni e storie di questa dolcezza e di questa umanità.
Canzoni in cui ci sono cuore, spiritualità, sentimento, amore. Per la musica, per la vita.

Per saperne di più, ascoltare la sua musica, leggere le sue storie di blues e vederlo in azione con i suoi amici ed eroi musicali visitate il sito
: http://www.chickenmambo.com/ .









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