Sempre più spesso mi capita di... scrivere di artisti e lavori
musicali per me nuovi.
Mi piace percorrere "strade
alternative" e, soprattutto, condividerle.
“L’ossessionare” i miei
conoscenti e amici con le cose che scrivo ha un unico scopo, quello di spartire
e diffondere la buona musica, che spesso fatica ad avere visibilità. Le mie
possibilità di aiuto sono modeste, ma il provarci mi da il senso del
“contribuire alla causa”.
Sono entrato nel mondo musicale
di Sophya Baccini nello spazio pochi giorni, attraverso
le musiche di Delirium e Osanna, ma soprattutto per mezzo di Aradìa, il disco di Sophya appena uscito,
prodotto dalla genovese Black Widow.
Mi ero riproposto una specie di
recensione, ma credo che non potrei migliorare quella di Riccardo Storti,
pubblicata su Mentelocale, che può essere visionata al seguente
link:
Preferisco
quindi far scoprire Sophya Baccini attraverso le sue parole.
Evidenzio
come tutti gli artisti che riesco ad avvicinare rispondano alle mie domande in
modo ampio ed esaustivo, non limitandosi al gesto di cortesia, dimostrando
quindi professionalità anche nell’assecondare un “gioco” , il mio, che in
quanto a passione non è di livello minore.
Proprio
per rispetto di Sophya, in questo caso, non salto nemmeno una riga di quanto da
lei espresso, realizzando un post poco “vendibile”, giornalisticamente
parlando, ma che inquadra la donna, la musicista, il talento.
Tutta
da leggere l’intervista … non le mie parole, ma quelle di Sophya.
Sei per me un’artista da scoprire. Chi è Sophya
Baccini e qual è il suo background culturale-musicale?
Non è facile riassumere 25 anni di carriera così su
due piedi! Beh, ho cominciato col pianoforte da bambina, per cui ho conosciuto
subito i grandi autori classici, e ho nutrito una passione veramente folle per
Chopin; poi ho scoperto di avere una buona voce, e il fuoco si è spostato verso
il canto. Ho preso lezioni di lirica, e contemporaneamente di dizione,
recitazione e danza. Non pensavo di diventare una professionista, coltivavo
semplicemente una passione; poi ho comprato due dischi fatali: “Relayer” degli
Yes e “Greatest hits” di Janis Joplin: credo di aver deciso allora che quella
sarebbe stata la mia strada. Il piano di Rick, la voce di Janis!
Risposi ad un annuncio di un gruppo che cercava una
cantante per fare cover dei Matia Bazar, mi presero … e da allora non mi sono
fermata più. Ho lavorato molti anni all’estero, anche negli Emirati Arabi come
cantante degli Hilton Hotels, poi tornata in Italia sono diventata session
player, e vocalist dal vivo per un mucchio di artisti. In questo ambito ho
incontrato il tastierista ed il chitarrista dei Presence. Ho registrato con
loro, a nostre spese, “The Shadowing”, e questo ha attirato l’attenzione della
Black Widow, che ci ha contattati. Sono seguiti così altri cinque album in
studio, più uno dal vivo e varie partecipazioni. Nel frattempo studiavo,
ascoltavo, viaggiavo … in effetti non ho mai smesso di studiare musica, tuttora
lo faccio, per me è una bellissima esigenza! Si passano tanti anni sui banchi
di scuola a studiare, un po’ per forza, una volta che ho imparato come fare,
permetti che studio quello che mi pare? Perdona questa piccola digressione …
Poi ho ricevuto una proposta dalla finlandese Colossus di scrivere un brano ispirato ad un loro poema epico, il Kalevala, insieme ad altri 30, tra gruppi e solisti. Il lavoro sarebbe stato un triplo CD. Dopo una serie di dubbi lancinanti e notti insonni, dovuti al fatto che ero assolutamente incapace di giudicare obiettivamente il mio lavoro di compositrice, ho deciso di accettare e mettermi in gioco. Ho scritto così “Malvagio per le stelle”, che è stato segnalato da molti come il miglior brano dell’opera . A questo punto mi sono chiusa per due anni nel mio studio e poi in sala d’incisione, ho raccolto tutto in una storia, ed ha preso forma “Aradìa”.
Poi ho ricevuto una proposta dalla finlandese Colossus di scrivere un brano ispirato ad un loro poema epico, il Kalevala, insieme ad altri 30, tra gruppi e solisti. Il lavoro sarebbe stato un triplo CD. Dopo una serie di dubbi lancinanti e notti insonni, dovuti al fatto che ero assolutamente incapace di giudicare obiettivamente il mio lavoro di compositrice, ho deciso di accettare e mettermi in gioco. Ho scritto così “Malvagio per le stelle”, che è stato segnalato da molti come il miglior brano dell’opera . A questo punto mi sono chiusa per due anni nel mio studio e poi in sala d’incisione, ho raccolto tutto in una storia, ed ha preso forma “Aradìa”.
Ascoltando il disco dei Delirium ho scoperto una voce
incredibile, quasi nascosta dalla dicitura ”corista”. Poi ti ho vista sul
palco, ti ho ascoltata il giorno dopo e ora ho il tuo CD che mi rivela
un’artista matura, nonostante la giovane età, che fa pensare a grandi margini
di evoluzione. Dove può e dove vuole arrivare Sophya?
Se tu mi avessi fatto questa domanda qualche mese fa,
quando il disco era pronto ma non era ancora uscito, ti avrei risposto che
comunque fosse andata mi sentivo appagata, e che probabilmente questo sarebbe
stato un punto di arrivo. Adesso, dopo l’accoglienza che ha ricevuto, ti dico
che ho un’energia incredibile addosso, un mucchio di idee in testa, e che
questo non è altro che l’inizio di un lunghissimo percorso. La vita di un
artista, lo sto imparando adesso, è un continuo scambio di sensazioni con chi
lo ascolta … e chi può prevedere dove ti porterà una cosa del genere? Una cosa
però posso dirla: mi piacerebbe che “Aradìa” fosse un’ispirazione per i
ragazzi, un incitamento a fare di meglio, come altri dischi lo sono stati per
me. Credo di essere tra le pochissime donne nel Prog che canta, arrangia, suona
e compone, in questo momento, ed essere una pioniera, aprire una pista – con
tutti i rischi che questo comporta, ( me li assumo, va bene? ) – è sempre stata
una mia caratteristica, e vorrei che continuasse così.
Sono entrato con un po’ di ritardo all’incontro di
sabato, e tu eri impegnata a raccontare il “tuo significato” di prog. E’ un po’
quello che dico e scrivo da sempre e mi ha colpito un concetto che hai espresso
e che a volte ho remore ad esprimere, per non passare per blasfemo. Sto
parlando del tuo parallelismo con la musica classica, intendendo il progressive
una musica completa, difficile, impegnativa e di piena soddisfazione per chi
compone, esegue e ascolta. Come ti sei avvicinata alla musica progressiva?
E’ stato un percorso graduale, prima i cantautori
italiani e francesi, dove è importante sentire quello che dicono, poi il rock
classico inglese ed americano, dove è importante il ritmo, e poi è arrivato il
Prog che riuniva un po’ tutte queste cose, oltre alle forme musicali care alla
musica lirica e sinfonica, come ad esempio la suite. Per me il Prog è il punto
più alto della musica leggera, oltre quello c’è solo la musica classica. Di
più, per me è la lirica del futuro. Io veramente, vabbè lo dico, sono stata la
prima ad alternare la tecnica lirica a quella moderna nel mio modo di cantare,
e dopo che qualcuno ha gridato allo scandalo si è invece scoperto il mondo
infinito di opportunità che ti apre questo incontro di generi, che è poi
l’anima stessa del Prog. Qualcuno di noi ha mai dimenticato “Pictures at an
Exhibition” degli EL&P? E’ stato per mesi e mesi primo in classifica!
Non confiniamo il Prog in una piccola nicchia per pochi estimatori, per me non
è quello il suo posto … è solo questione di tempo.
Sono molti i musicisti che operano reunion e
riprendono con vigore la via prog, così come esistono tanti giovani che mettono
da parte le “cose semplici” e si impegnano in progetti ambiziosi.
E’ un momento di riflusso, è un periodo fortunato, o è
solo ..”… alla fine la musica buona prevale…” ?
La terza che hai detto … però, a parte gli scherzi, il
Prog può anche essere estremamente semplice; lo sai, ascoltiamo qualche disco
degli Ange, ad esempio, oppure “Lucky man” degli EL&P o “Wonderous
stories” degli Yes, o “Raviole” degli Audience, o “700.000 anni fa l’amore”,
del Banco, così tanto per dirne alcuni… la verità è che un prodotto nato dal
Prog non finisce mai di stancarti, perché c’è quella tale canzone, ma c’è anche
il brano da 10 minuti da riscoprire ogni volta, o l’assolo virtuoso ed
immediato… è qualcosa che dura, ed è questo quello che il mondo vuole ADESSO.
Il prodotto usa e getta non vale una spesa di 15-20 euro, quello se permetti me
lo scarico da Internet, lo sento un paio di volte e poi mi libero l’hard disc.
Un disco di buona musica è bello a cominciare dalla confezione, è una piccola
opera d’arte che voglio tenere per sempre sul mio scaffale.
Nel corso della serata è emerso il discorso della
musica “spazzatura” e tu hai dichiarato, tra le righe, di aver rischiato di
andare a Sanremo. Non ho capito se sarebbe stata un’avventura stimolante o da
evitare.
Se è vero che non è il tuo mondo artistico preferito,
è anche vero che la visibilità che ne può derivare può facilitare la
realizzazione dei progetti personali che spesso richiedo notevoli sforzi
economici.
Insomma, forse bisogna mettere in conto che occorre
sottostare a qualche piccolo compromesso. Sono fuori strada?
No, assolutamente, sono d’accordo con te, qualche
compromesso è sempre necessario. Ne ho fatti tanti io, e ne faccio ancora
quando si tratta di lavorare per gli altri, come vocalist o arrangiatrice.
Quando la musica diventa una professione – io non faccio altro nella vita – non
puoi fare sempre la scelta di qualità, altrimenti non mangi più! Emerson ha
collaborato con Jovanotti, Spike Lee con Eros Ramazzotti… l’importante è essere
sempre se stessi, anche in un ambito che non ti appartiene. Ed anche non
esagerare con la spazzatura! Io sinceramente non penso che Sanremo sia solo spazzatura,
per la maggior parte presenta cose inascoltabili, ma anche tanti grandissimi
artisti sono usciti da lì. Il fatto è che io ci andrei anche domani, ma non
portando spazzatura! Non avrebbe senso, non trovi? Non sarei credibile, non è
il mio messaggio, non avrebbe alcun seguito e potrebbe essere addirittura
controproducente.
Ti ho vista coccolata da Lino, da Martin e un po’ da
tutti.
E’ il riconoscimento del talento , ma ci ho visto tanto affetto, segno che anche dal punto di vista umano le cose funzionano. Come nasce questo spirito positivo, che supera l’aspetto generazionale e la paura del nuovo che sopravanza, tipico di ogni ambiente di lavoro?
E’ il riconoscimento del talento , ma ci ho visto tanto affetto, segno che anche dal punto di vista umano le cose funzionano. Come nasce questo spirito positivo, che supera l’aspetto generazionale e la paura del nuovo che sopravanza, tipico di ogni ambiente di lavoro?
Nasce dal fatto che quando sei un grandissimo artista,
come nel caso di Martin e Lino, non hai nessuna paura del nuovo che avanza,
comprendi anzi le potenzialità che esso contiene e la spinta ulteriore che può
dare a quello che hai fatto e che fai tu. Cosa hanno più da dimostrare i
Delirium, gli Osanna, che sono famosi in tutto il mondo? Che nessuno ha mai
dimenticato nonostante anni di silenzio? Io devo dimostrare che sono in grado
di essere ancora qui fra vent’anni! E poi la collaborazione, il riconoscimento
del talento, sono tipici del mondo del Rock e del Prog in particolare. Da parte
mia, ho imparato che più i grandi sono grandi, più sono modesti e disponibili,
più apprezzano anche il tuo lato umano, forse più di quello artistico. Una
lezione di vita, oltre che di musica. Sono quelli che usurpano il trono che
hanno sempre paura che arrivi qualcuno ad usurparlo…
A un certo punto hai parlato di tasselli che trovano
la loro giusta collocazione.
Cosa è accaduto in questo ultimo periodo e che ruolo ha avuto la Black Widow?
Cosa è accaduto in questo ultimo periodo e che ruolo ha avuto la Black Widow?
E’ successo che per uno strano caso, davvero non era
programmato, questi tre dischi per me importantissimi – “Prog family” degli
Osanna, “Il Nome del Vento” dei Delirium e “Aradìa” – sono usciti insieme. Se
anche ne fosse uscito uno soltanto sarebbe comunque stata una tappa
fondamentale della mia carriera. Invece sono qui tutti e tre, ed in ognuno di
loro c’è una parte di me ben precisa e definita.
Tutto è cominciato con la collaborazione di Lino in” Aradìa”. La Black Widow, che è sempre attenta a questi segnali, ha capito che era tornata la voglia agli artisti di suonare dappertutto, di uscire di nuovo dal guscio. Così ha messo in contatto me e Martin, e lui ha suonato il flauto ed il sax in “Aradìa” ed io ho elaborato i cori ed ho suonato il piano ne “Il Nome del Vento”. Poi Lino mi ha chiamata tra gli ospiti di “Prog family” e i Delirium sono andati a suonare ad Afrakà, un festival bellissimo e molto importante che Lino organizza ogni anno all’inizio dell’estate, e Martin ha duettato sul palco con David Jackson. Insomma è cominciato un fermento che secondo me durerà molto a lungo… tutti suonano con tutti, confrontando generi ed esperienze, e chi trionfa una volta tanto è la musica pura e semplice. Per farti un esempio pratico, se tu comprassi questi tre dischi ascolteresti in un colpo solo grandi classici, due ore di musica inedita, e nel caso degli Osanna David Jackson dei Van Der Graaf Generator, Gianni Leone, David Cross dei King Crimson per citare alcuni degli ospiti, e strumenti e voci che girano in brani diversi, con stili diversi e con grandi esecutori… l’ultima cosa che mi sarei aspettata quando sono andata a fare queste collaborazioni! Evidentemente c’era già pronto un mosaico, ma io potevo vederne solo le singole tessere.
Tutto è cominciato con la collaborazione di Lino in” Aradìa”. La Black Widow, che è sempre attenta a questi segnali, ha capito che era tornata la voglia agli artisti di suonare dappertutto, di uscire di nuovo dal guscio. Così ha messo in contatto me e Martin, e lui ha suonato il flauto ed il sax in “Aradìa” ed io ho elaborato i cori ed ho suonato il piano ne “Il Nome del Vento”. Poi Lino mi ha chiamata tra gli ospiti di “Prog family” e i Delirium sono andati a suonare ad Afrakà, un festival bellissimo e molto importante che Lino organizza ogni anno all’inizio dell’estate, e Martin ha duettato sul palco con David Jackson. Insomma è cominciato un fermento che secondo me durerà molto a lungo… tutti suonano con tutti, confrontando generi ed esperienze, e chi trionfa una volta tanto è la musica pura e semplice. Per farti un esempio pratico, se tu comprassi questi tre dischi ascolteresti in un colpo solo grandi classici, due ore di musica inedita, e nel caso degli Osanna David Jackson dei Van Der Graaf Generator, Gianni Leone, David Cross dei King Crimson per citare alcuni degli ospiti, e strumenti e voci che girano in brani diversi, con stili diversi e con grandi esecutori… l’ultima cosa che mi sarei aspettata quando sono andata a fare queste collaborazioni! Evidentemente c’era già pronto un mosaico, ma io potevo vederne solo le singole tessere.
Leggendo le note sul tuo CD ho rafforzato certe mie
impressioni che si legano poi al discorso del prog.
E’ semplicissimo creare una canzone e a volte basta un
solo accordo e forse un giorno di lavoro.
Recentemente mi sono occupato del disco del Cerchio
d’Oro, due anni di lavorazione, dei Delirium, due anni di lavorazione , e ora
leggo che il tuo è stato registrato in più di due anni.
Impegno, fatica, spirito di abnegazione… ma a quale
razza appartenete?
A quella dei perfezionisti monomaniaci ossessivi, con
ascendenze pinkfloydiane. Però con questo modo di fare i Pink Floyd hanno
creato un disco che è tra i primi cento in tutte le classifiche mondiali dal
1970.
Mi racconti come nasce “Aradìa” e mi dai qualche
delucidazione sui suoi significati?
Per prima cosa è nato questo tema musicale che mi girava per la testa, e pensavo di costruirci una suite. Poi mi è capitato di leggere del mito di Aradia, figlia del diavolo e della dea Diana, la prima strega nella storia del mondo. Affascinante! Nel frattempo, sul piano personale, conoscevo un sacco di donne belle, brave ed in gamba, che mi stavano facendo abbandonare una certa mia latente misoginia dovuta al fatto che a causa del mio lavoro mi sono sempre ritrovata in un mondo di maschi, e ho dovuto anche imparare a difendermi, sviluppando un certo caratterino… a volte scostante proprio con il gentil sesso. Con queste donne sono nate delle bellissime amicizie di tipo un po’ “maschile”, cioè basate sul cameratismo autentico, sull’affetto quasi fraterno, una cosa che mentalmente noi donne, secondo me, stiamo appena cominciando a sperimentare. E’ come se fosse cominciato un reale affrancamento psicologico, dopo quello economico, e quindi siamo pronte per diventare nientemeno che amiche. Perché non unire tutto questo a quel famoso tema che intanto stavo cominciando a buttare giù sul piano? Ho preso in prestito la figura di Aradia ed ho cambiato l’accento in Aradìa, perché più che una storia mi serviva un nome, ho cominciato a scrivere i primi testi ed il resto è stata una naturale conseguenza. Ho lasciato poi che fosse una grandissima donna, Joni Mitchell (cantante, compositrice, pianista, chitarrista, pittrice…), a chiudere questo cerchio con la sua “Circle Game”.
Per prima cosa è nato questo tema musicale che mi girava per la testa, e pensavo di costruirci una suite. Poi mi è capitato di leggere del mito di Aradia, figlia del diavolo e della dea Diana, la prima strega nella storia del mondo. Affascinante! Nel frattempo, sul piano personale, conoscevo un sacco di donne belle, brave ed in gamba, che mi stavano facendo abbandonare una certa mia latente misoginia dovuta al fatto che a causa del mio lavoro mi sono sempre ritrovata in un mondo di maschi, e ho dovuto anche imparare a difendermi, sviluppando un certo caratterino… a volte scostante proprio con il gentil sesso. Con queste donne sono nate delle bellissime amicizie di tipo un po’ “maschile”, cioè basate sul cameratismo autentico, sull’affetto quasi fraterno, una cosa che mentalmente noi donne, secondo me, stiamo appena cominciando a sperimentare. E’ come se fosse cominciato un reale affrancamento psicologico, dopo quello economico, e quindi siamo pronte per diventare nientemeno che amiche. Perché non unire tutto questo a quel famoso tema che intanto stavo cominciando a buttare giù sul piano? Ho preso in prestito la figura di Aradia ed ho cambiato l’accento in Aradìa, perché più che una storia mi serviva un nome, ho cominciato a scrivere i primi testi ed il resto è stata una naturale conseguenza. Ho lasciato poi che fosse una grandissima donna, Joni Mitchell (cantante, compositrice, pianista, chitarrista, pittrice…), a chiudere questo cerchio con la sua “Circle Game”.
Hai qualche aneddoto da raccontare, legato al periodo
di gestazione?
C’è l’episodio divertente che è successo quando sono
andata a chiedere a Lino Vairetti se voleva partecipare al disco, che era
ancora in embrione… come ti ho detto Lino organizza ogni anno questo Festival
molto importante che si chiama Afrakà, e io e mio marito andiamo da sempre a
vederlo, perché ci sono sempre grandi nomi della musica internazionale ed
oltretutto è gratis, in un bel parco… quell’anno c’era Brian Auger, e dopo il
concerto andammo a salutare Lino come al solito, e io mi ero preparata tutto un
discorso complicato un po’ alla Troisi, sicura che quando gli avessi fatto
quella domanda lui avrebbe risposto no… e allora io avrei detto ma perché no,
guarda che c’è questo, e quest’altro, e poi così, insomma una sfilza di
argomenti che adesso neanche ricordo. Ci avviciniamo a Lino, lo salutiamo,
tanti complimenti, io prendo fiato, gli faccio la fatidica richiesta, e lui: “Sì”.
Sono rimasta impietrita riuscendo a stento a sostituire il “perché” con un
“grazie”, ed un sorriso tiratissimo che non si è più cancellato fino a quando
non sono tornata a casa…
Con Martin invece è successo un fatto forse ancora più
carino. Gli ho mandato il primo brano dei due che lui ha suonato, “Nei luoghi”,
con un sax guida, ovviamente campionato, poi ci siamo sentiti per telefono (ero
emozionantissima, credimi…) e gli ho detto che mi sarebbe piaciuto il sax
tenore. Lui mi disse ok, poi mi ha raccontato in seguito che quando ha posato
il telefono parlava da solo…”Io ho il sax baritono, il soprano, una serie
infinita di flauti, flautini ed ottavini, ma lei no, vuole il sax
tenore che è l’unico che non ho…” Comunque ne ha comprato uno su Internet
apposta … e parola mia, il suono di quel sax in quel pezzo è da brividi! Non
dirglielo però… non garantisco la sua reazione!!!
Martin Grice ha affermato una cosa che sposo in pieno:
è un lavoro che andrebbe “messo in scena”, rappresentato anche dal punto di
vista teatrale.
Io ho avuto la stessa impressione, al primo ascolto.
Fa parte dei tuoi progetti futuri una realizzazione del genere?
Io ho avuto la stessa impressione, al primo ascolto.
Fa parte dei tuoi progetti futuri una realizzazione del genere?
Spero veramente che si possa fare, “Aradìa” è nata
come una storia da rappresentare,e io ce l’ho tutta ben chiara in mente. Certo
non è facile, renditi conto, cantanti, ballerini, scene… ma negli ultimi tempi
ho imparato che le cose più insperate a volte si realizzano nel più semplice
dei modi.
Ho messo in start il CD e ho iniziato a seguire i
testi.
Non è un lavoro semplice, di immediata presa, ed emana profumo di cultura.
Non temi di aver realizzato qualcosa che escluda in partenza la massa?Assolutamente no, perché ci sono anche delle semplici canzoni - nelle quali tra l’altro io credo molto - tipo “When the Eagles flied”, che è un mio personale omaggio al Southern Rock americano, e nel titolo riecheggia “When the eagle flies” di Stevie Winwood, ma a parte queste elucubrazioni mentali è semplicemente un brano carino, come anche “Ever too small”, che invece è un po’ British Pop, una cosa alla Elton John. E poi ti dirò una cosa incredibile: io ho fiducia nella massa! Non penso che sia formata totalmente da deficienti, penso invece che esiste una gran MASSA di persone che è stufa di sentire sempre e solo cretinaggini e che dice solo “era ora” quando gli si offre qualcosa di meglio. Chiedilo un po’ ai Genesis, che devono il loro successo planetario agli italiani… anche a quei tempi, Orietta Berti e Mino Reitano erano primi in classifica… tanto di cappello a questi due grandi professionisti, ma accanto a loro la stragrande MASSA degli italiani mandò anche “The Lamb lies down on Broadway” a dominare la scena.
Non è un lavoro semplice, di immediata presa, ed emana profumo di cultura.
Non temi di aver realizzato qualcosa che escluda in partenza la massa?Assolutamente no, perché ci sono anche delle semplici canzoni - nelle quali tra l’altro io credo molto - tipo “When the Eagles flied”, che è un mio personale omaggio al Southern Rock americano, e nel titolo riecheggia “When the eagle flies” di Stevie Winwood, ma a parte queste elucubrazioni mentali è semplicemente un brano carino, come anche “Ever too small”, che invece è un po’ British Pop, una cosa alla Elton John. E poi ti dirò una cosa incredibile: io ho fiducia nella massa! Non penso che sia formata totalmente da deficienti, penso invece che esiste una gran MASSA di persone che è stufa di sentire sempre e solo cretinaggini e che dice solo “era ora” quando gli si offre qualcosa di meglio. Chiedilo un po’ ai Genesis, che devono il loro successo planetario agli italiani… anche a quei tempi, Orietta Berti e Mino Reitano erano primi in classifica… tanto di cappello a questi due grandi professionisti, ma accanto a loro la stragrande MASSA degli italiani mandò anche “The Lamb lies down on Broadway” a dominare la scena.
I brani sono cantati in equilibrio tra italiano e
inglese, con passaggi in francese, e il tutto avviene anche all’interno dello
stesso pezzo.
Perché hai scelto questi mezzi espressivi? Quali legami hai col mondo anglosassone?
Tutto si svolge sempre al servizio della storia, è questo il mio modo di comporre. Volevo far capire che “Aradìa” attraversava varie fasi della sua vita e della sua coscienza, viaggi fisici e mentali, ed ho usato linguaggi diversi per rendere questa idea. Ma comunque, io penso che ognuno poi può vederci quello che più gli pare, in un pezzo io ho inteso questo, ma a te può ricordare quella sera a Parigi con quello schianto di ragazzina francese… a me piace moltissimo anche come “lega” il francese con le atmosfere Prog, a volte anche più dell’inglese. L’inglese è d’altronde un must, è ormai il linguaggio del mondo, una specie di esperanto naturale, e l’italiano è la mia lingua, sono italiana, napoletana, e mi va di sottolineare questa cosa. Infine è stato semplicemente un caso, molti brani sono nati direttamente così, e non ho voluto eliminare quel tocco di spontaneità. Per quanto riguarda i miei legami col mondo anglosassone, sono forti, fortissimi, derivano da una ammirazione sconfinata per il loro modo di vivere, per la loro cultura in generale, a volte penso che siano una razza superiore. Beh, oddio, non proprio… ma davvero mi piacciono moltissimo gli inglesi, ed io piaccio a loro, c’è sempre stata una simpatia immediata e ricambiata. Martin Grice, non ha mai nascosto di essere uno dei miei più grandi ammiratori ed estimatori, così come Clive Jones dei Black Widow. Ma con Martin è una cosa speciale, a parte il fatto che io ho collaborato alsuo disco e lui al mio, non ha mai smesso di incoraggiarmi, di credere in me. Quando ha sentito i provini dei due brani che ha suonato nel disco, mi ha detto delle cose che scavavano nel profondo, si è accorto del lavoro e dello uno sforzo compositivo enorme che avevo fatto, e di un modo di usare la voce ai limiti del lecito, come uno strumento aggiunto. Questo non è mai successo con un artista italiano, e non è una constatazione polemica, è semplicemente un dato di fatto. Ti assicuro che se “Aradìa” alla fine è uscito, almeno per il 50% per cento lo devo a lui, ed alla fiducia che è stato capace di infondermi. E poi ammiro degli inglesi il sense of humour che mi appartiene come essenza, e che a volte qui in Italia può essere frainteso in una donna; mi piace il loro modo di ragionare, di premiare il migliore e di difendere la propria “isola”. Per questo motivo, non andrei mai a vivere in Inghilterra!!!
Perché hai scelto questi mezzi espressivi? Quali legami hai col mondo anglosassone?
Tutto si svolge sempre al servizio della storia, è questo il mio modo di comporre. Volevo far capire che “Aradìa” attraversava varie fasi della sua vita e della sua coscienza, viaggi fisici e mentali, ed ho usato linguaggi diversi per rendere questa idea. Ma comunque, io penso che ognuno poi può vederci quello che più gli pare, in un pezzo io ho inteso questo, ma a te può ricordare quella sera a Parigi con quello schianto di ragazzina francese… a me piace moltissimo anche come “lega” il francese con le atmosfere Prog, a volte anche più dell’inglese. L’inglese è d’altronde un must, è ormai il linguaggio del mondo, una specie di esperanto naturale, e l’italiano è la mia lingua, sono italiana, napoletana, e mi va di sottolineare questa cosa. Infine è stato semplicemente un caso, molti brani sono nati direttamente così, e non ho voluto eliminare quel tocco di spontaneità. Per quanto riguarda i miei legami col mondo anglosassone, sono forti, fortissimi, derivano da una ammirazione sconfinata per il loro modo di vivere, per la loro cultura in generale, a volte penso che siano una razza superiore. Beh, oddio, non proprio… ma davvero mi piacciono moltissimo gli inglesi, ed io piaccio a loro, c’è sempre stata una simpatia immediata e ricambiata. Martin Grice, non ha mai nascosto di essere uno dei miei più grandi ammiratori ed estimatori, così come Clive Jones dei Black Widow. Ma con Martin è una cosa speciale, a parte il fatto che io ho collaborato alsuo disco e lui al mio, non ha mai smesso di incoraggiarmi, di credere in me. Quando ha sentito i provini dei due brani che ha suonato nel disco, mi ha detto delle cose che scavavano nel profondo, si è accorto del lavoro e dello uno sforzo compositivo enorme che avevo fatto, e di un modo di usare la voce ai limiti del lecito, come uno strumento aggiunto. Questo non è mai successo con un artista italiano, e non è una constatazione polemica, è semplicemente un dato di fatto. Ti assicuro che se “Aradìa” alla fine è uscito, almeno per il 50% per cento lo devo a lui, ed alla fiducia che è stato capace di infondermi. E poi ammiro degli inglesi il sense of humour che mi appartiene come essenza, e che a volte qui in Italia può essere frainteso in una donna; mi piace il loro modo di ragionare, di premiare il migliore e di difendere la propria “isola”. Per questo motivo, non andrei mai a vivere in Inghilterra!!!
Sono rimasto colpito, al primo ascolto, da “Don’t
Dream the Dream”.Nel quotidiano, coltivi i sogni o preferisci il
pragmatismo?
Sono una sognatrice molto disincantata. Vivo
praticamente nel mondo delle favole, ma so che con una buona dose di
pragmatismo molti dei tuoi sogni si possono avverare … l’importante, secondo
me, è essere pronti quando questo avviene! Spesso sogni per il piacere di
sognare, di vivere in quella dimensione aliena dove tutto succede nel modo più
bello e più piacevole che si possa immaginare. Poi magari queste due dimensioni
si uniscono per un istante e tu sei lì a guardare da qualche altra parte.
Oppure ci sono i sogni che possono ucciderti, che sono falsi amici, e ti
annebbiano la mente. Questo è quello di cui parlo in “Don’t Dream the Dream”.
In quel caso devi avere la forza di rinunciare, e il pragmatismo
può essere un grande alleato per aiutarti a vederci chiaro.
Esiste qualcosa, al di fuori della musica, per cui
riesci a provare forti emozioni?
Beh, a parte la sfera del personale, che com’è immaginabile comprende l’amore, l’amicizia , c’è la letteratura – un buon libro più di una volta mi ha salvato la vita – e il cinema, che però sfiora la musica, nel senso che la musica associata alle immagini è una cosa che mi interessa moltissimo, e lo stesso vale per il teatro, che ha raggiunto ultimamente dei livelli tecnologici strabilianti. E poi lo sport, il calcio ed il pattinaggio artistico in particolare, ma anche l’atletica… praticamente ogni quattro anni quando ci sono le Olimpiadi io non ci sono per nessuno. E poi la natura, gli animali. Una volta, tanto per dirtene una, ho fatto un applauso ad un panorama. Forse sono un po’ matta? Ti assicuro che avresti applaudito anche tu quello spettacolo, se avessi visto quello che ho visto io….(ho visto cose che voi umani!!!) sono insomma una persona molto sensibile, e fiera di esserlo, credo che l’elenco sarebbe troppo lungo…
Beh, a parte la sfera del personale, che com’è immaginabile comprende l’amore, l’amicizia , c’è la letteratura – un buon libro più di una volta mi ha salvato la vita – e il cinema, che però sfiora la musica, nel senso che la musica associata alle immagini è una cosa che mi interessa moltissimo, e lo stesso vale per il teatro, che ha raggiunto ultimamente dei livelli tecnologici strabilianti. E poi lo sport, il calcio ed il pattinaggio artistico in particolare, ma anche l’atletica… praticamente ogni quattro anni quando ci sono le Olimpiadi io non ci sono per nessuno. E poi la natura, gli animali. Una volta, tanto per dirtene una, ho fatto un applauso ad un panorama. Forse sono un po’ matta? Ti assicuro che avresti applaudito anche tu quello spettacolo, se avessi visto quello che ho visto io….(ho visto cose che voi umani!!!) sono insomma una persona molto sensibile, e fiera di esserlo, credo che l’elenco sarebbe troppo lungo…
All’interno della magnifica confezione CD ho trovato
la seguente frase di Verdi, "Torniamo all’antico: sarà un progresso”…
Quale significato dai a questa frase, calata sulla tua musica, sul tuo modo di
vivere?
E’ una frase che Verdi pronunciò proprio in un periodo
simile a quello in cui stiamo vivendo, dal punto di vista della creatività e
dell’innovazione. C’era stato il grande movimento della Scapigliatura milanese
e c’era Wagner che anticipava un po’ la musica dodecafonica, e quindi sembrava
che ormai non ci fosse più niente da dire, che non si potesse andare oltre.
Tutto si ripeteva stancamente e c’era l’obbligo del già sentito, del “come
quello”. Allora Verdi disse questa cosa, nel senso di prendere ispirazione dal
vecchio per fare il nuovo, ascoltare il passato per creare il futuro. Fu una
ventata di energia per l’intera sfera musicale dell’Ottocento! In questo senso
ho voluto usarla per spiegare Aradìa: io credo che si tratti di qualcosa di
assolutamente nuovo, ma con le radici ben piantate nelle origini del
Progressive. E credo che si possa applicare alla vita di noi tutti: quando non
riuscite più ad andare avanti, ricordate qualcosa di bello del vostro passato,
ma non con nostalgia, che vi farebbe stare peggio, piuttosto con un senso di
conferma: se c’è stato una volta, può tornare.
When the Eagle Flies
Note biografiche
Sophya nasce professionalmente
come cantante solista ed autrice di testi in italiano, napoletano, francese ed
inglese.
Compositrice e corista, figlia di
un tenore, ha perfezionato la sua tecnica vocale con studi di emissione lirica
e blues, ha studiato pianoforte sin da piccola, e si è divertita ad imparare da
sola a suonare la chitarra. Per migliorare la qualità delle sue esibizioni, ha
frequentato corsi di dizione, recitazione e danza, oltre alla preparazione
della licenza di solfeggio . Lavora da anni come vocalist dal vivo e come
turnista in sala d’incisione. Nel suo curriculum, collaborazioni tra gli altri
con Amij Stewart, Paolo Zavallone, il Maestro Mino Campanino, Nino D’angelo,
Lino Vairetti degli Osanna.
Nel 1990, dopo una serie di
esperienze prima in Italia e poi negli Emirati Arabi Uniti come cantante nella
catena degli Hilton Hotels, fonda i PRESENCE, gruppo Prog-Dark molto amato
all’estero (particolarmente in Giappone, America e Germania) mettendoci dentro
un po’ tutta la sua esperienza di session-player e tutto quello che per lei è
voce, dalla sperimentazione elettronica con l’uso di echi ed effetti creati da
lei stessa, ai cori dissonanti, alle sonorità più “maschili” ed alla voce usata
come strumento con l’impiego del campionatore, fino alle contaminazioni di
lirica e blues con il rock ed un certo pop “de luxe”.
Con i Presence pubblica sei
dischi, di cui è l’autrice dei testi, tutti full-length albums, molto curati
nella grafica e nelle incisioni, grazie alla collaborazione con l’etichetta
Black Widow di Genova. E’ votata dal magazine Flash Europa come quarta miglior
voce rock femminile al mondo, in seguito alla sua interpretazione di quattro
romanze di Verdi pubblicata sul CD “Black Opera”. Viene coniato per lei il
termine “Rock Soprano”.
Nel 2004 la Black Widow ristampa
il loro quarto album uscito nel 1996,”The Sleeper awakes”,su CD e doppio
vinile, realizzato con la collaborazione della sezione d’archi del teatro
S.Carlo, con allegato disco dal vivo.
Come solista, partecipa nel 2003
per la Colossus (etichetta finlandese di Progressive)ad un album triplo
dedicato al grande poema epico Kalevala,dove collaborano trenta gruppi tutti di
nazionalità diverse, in cui si cimenta per la prima volta come pianista e
compositrice oltre che cantante. Il disco è distribuito in tutto il mondo dall’etichetta
francese Musea.
Nello stesso anno si esibisce dal
vivo nel Dance Musical “Il Canto di Circe”, tratto dall’omonima opera di
Giordano Bruno, di cui è ideatrice della tematica ed autrice dei testi. Lo
spettacolo viene ripreso e stampato su DVD.
Nel 2005 appare come special
guest nel disco dei romani Greenwall “From the treasure box”, per l’etichetta
Rock Revelation, in cui canta tre brani, e per uno di questi compone i cori.
Nell’Aprile 2008 esce l’album dei
Malaavia “Vibrazioni Liquide” che vede la partecipazione di Sophya nel brano
“Lakhmidi di Hira”.
E’ del Giugno 2008 l’ uscita del
sesto album in studio dei Presence, “Evil Rose”, di cui è autrice come sempre
di tutti i testi. .
Sophya ha collaborato inoltre ad
un album di cover italiane di Prog anni ’70 per i genovesi Wicked Minds, con il
brano “Io la Strega” dei Circus 2000, ed al disco solista del chitarrista della
band, Electric Swan, con la cover di Ruth Copland “Your love feels so good to
me”.
E’ tra gli ospiti del disco dei
bergamaschi Tilion, insieme con Clive Jones della storica band inglese Black
Widow, e con Lino Vairetti degli Osanna, con il brano scritto espressamente per
lei “Symphony for a Shadow”. Il disco è uscito nell’Ottobre del 2008 per la
Musea Record.
E’ tra gli ospiti del nuovo album
degli Osanna, “Prog Family”ricco di collaborazioni illustri (David Jackson dei
Van der Graf Generetor, David Cross dei King Krimson, Gianni Leone del Balleto
di Bronzo tra gli altri), ed ha collaborato anche con i Delirium per il loro
nuovo album “Il Nome del Vento”, uscito nel Febbraio 2009.
Esce il 7 Marzo 2009 il suo primo
album da solista, “Aradìa”, contenente una suite originale di circa 60 minuti
ed interamente scritto, arrangiato e registrato da lei. Ospiti illustri hanno
partecipato a questo progetto, come Lino Vairetti degli Osanna, Martin Grice
dei Delirium, il batterista/cantante Aurelio Fierro jr, nipote del celebre
cantante napoletano, ed il tastierista Stefano Vicarelli dei romani Fonderia
con il suo Moog modulare.
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