Vorrei provare a descrivere un CD appena ascoltato.
Il termine recensione
mi pare esagerato, essendo io mero appassionato di musica, ma provare a
“raccontare” il feeling indotto da un susseguirsi di brani, mi pare sia sempre
esercizio pregevole, anche se non è scontato il buon risultato finale.
Il lavoro in questione
è “Il Nome del Vento”, proposto dai Delirium.
Non essendo un
professionista, posso permettermi di rovesciare gli schemi e partire dal fondo,
e cioè dalle domande: ”Perché comprare il CD? Chi dovrebbe farlo? "
Una considerazione di
carattere generale, rafforzata dal primo ascolto.
La musica Progressive,
quella con cui sono cresciuto, quella che più amo, non poteva, secondo me,
restare in auge per lunghissimo tempo.
E’ una musica
difficile da comporre e da eseguire, ed è difficile da ascoltare, nel senso che
non è di presa immediata.
In un mondo in cui si
può creare un hit in casa, con un paio di accordi, soddisfacendo le richieste
di utenti che davvero chiedono poco qualitativamente parlando, la realizzazione
di un prodotto come “Il Nome del Vento” appare come il frutto di un impegno
enorme.
E l’impegno va sempre
premiato.
Certamente non è
musica per tutti, ma adatta a chi chiede qualcosa in più di una semplice
melodia e di un ritmo accattivante.
Quando mi trovo
davanti a lavori come questo, o come “Il Viaggio di Colombo” del Cerchio d’Oro,
di cui ho già parlato da queste pagine, mi viene da associare la parola musica
al termine “cultura”. Non voglio intendere una rappresentazione elitaria, per
pochi fortunati, ma dedicata a chi ha voglia di scavare e scavarsi più a fondo,
avendo di fronte qualcosa da “assorbire” con tanto cuore e buona dosa di
cervello.
A tutti quelli che
sono, almeno in parte, in sintonia con questo pensiero, e a tutti quelli che
vogliono provare strade con qualche ostacolo, ma infinite, a giovani e meno
giovani, consiglio questo disco dei Delirium.
Avvertenza
Ascoltare “Il Nome del
Vento” almeno tre volte prima di deciderne il destino domestico: più lo si
ascolta e più piace.
E veniamo al sodo,
circa un’ora di musica, suddivisa su 10 brani più una bonus track e un video.
Dopo la breve intro mi
sono ritrovato dentro al brano che dà il titolo all’album, “Il Nome del
Vento”.
È un pezzo
rocckeggiante, dove la chitarra di Roberto Solinas si miscela con la
melodia in sottofondo, “condotta” dalla special guest, la vocalist Sophya
Baccini.
Nell’occasione la voce
è di Mimmo Di Martino.
La cosa che
immediatamente colpisce è l’atmosfera generale, quell’architettura musicale a
cui mi aveva abituato un gruppo di cui ero, sono, innamorato, i Van Der Graaf
Generator.
Potrei anche essere
influenzato dal fatto che V.D.G.G. è il primo gruppo che ho visto,da
adolescente, in uno spettacolo pomeridiano all’Alcione, ma non credo sia un
caso se i fraseggi di Martin Grice mi riportano a Dave Jackson,
piuttosto che a Ian McDonald o Elton Dean, anche loro lungamente ascoltati in
quel periodo.
E nemmeno riesco a
pensare ad un’equazione Delirium uguale Jethro Tull, gruppo della mia vita,
solo perché è frequente l’utilizzo del flauto traverso.
Difficile da spiegare,
ma l’impronta globale, già da iniziale ascolto, mi pare molto affine ai temi
cari ad Hammill e soci.
Dopo tutti questi
ragionamenti, fatti in 6 minuti, rotolo… “Verso il Naufragio”, un brano
strumentale che, partendo dai virtuosismi di Ettore Vigo al piano (e
successivamente al moog) arriva a, udite udite, “Theme One”, appunto dei
V.D.G.G.
Allora non avevo tutti
i torti!?
Per un attimo la mano
sinistra mi si re-impregna del sudore di Jackson, dopo l’esibizione di Albenga,
milioni di anni fa.
Mi rendo conto che il
porre l’accento su determinati particolari, potrebbe sembrare sminuire un
lavoro (ed un gruppo) che brilla di luce propria, ma le mie descrizioni e
similitudini sono da intendere come un tentativo di facilitare il compito di
chi si accosta solo ora a questo genere musicale, o a chi pensa ai Delirium
attuali come a “quelli di Jesahel”.
“L’Acquario delle
Stelle” è un brano più intimista, dal testo importante, e caratterizzato dall’utilizzo
degli archi e dall’hammond. Esiste anche un contributo visivo, contenuto nel
CD, che propongo a seguire.
“Luci Lontane”
appare come più vicino alla tradizione italiana, mentre “Profeta Senza
Profezie” presenta alla voce Stefano”Lupo” Galifi che conferma la sua
bravura, muovendosi su una base tra il jazz e il funky, tutt’altro che
semplice.
“Ogni Storia”
mi riporta alle considerazioni iniziali, e ritrovo qualche passaggio nel nome
del “generatore” (chi ricorda “Lost”?). In evidenza la sezione ritmica, con Pino
Di Santo e Fabio Chighini sugli scudi.
“Note di Tempesta”
è un brano strumentale che mi riporta indietro nel tempo, ai giorni gloriosi
del prog italiano. Virtuosismi tecnici che si amalgamano ai ritmi jazz rock e
mi fanno presupporre il piacere di una performance on stage, ovvero, il
divertimento che si può provare suonando dal vivo.
“Dopo il Vento”
è il brano più lungo. In nove minuti le situazioni cambiano frequentemente. Si
passa dalla melodia al jazz, dal rock al classico.
A me è sembrato un
sunto della musica dei Delirium.
“Cuore Sacro” è
caratterizzato dall’utilizzo del flauto, che dopo l’iniziale, prolungato, riff
di chitarra, duetta con la chitarra di Solinas. Notevole il binomio piano/voce.
E arriviamo alla bonus
track,“L’Aurora Boreale”.
Altro brano
strumentale ma, a mio giudizio, in grado di “parlare”.
Ho provato ad
ascoltarlo chiudendo gli occhi e sono riuscito a viaggiare, viaggiare alto e
verso mondi lontani.
I testi sono di Mauro
La Luce, paroliere storico dei Delirium.
Raccontare le liriche
credo sia in genere molto complicato.
Se è vero che la
musica arriva diretta ed è spesso il feeling a guidarci nei giudizi, le parole
hanno la capacità di nascondere, di dire e non dire, di provare a depistare
giocando con immagini a volte ermetiche.
Proverò quindi a
esporre ciò che mi è arrivato, con la concreta possibilità che gli intenti di
La Luce fossero molto diversi dai miei intendimenti.
Non lo si può definire
un “Concept Album “, ma esiste un unico filo conduttore, “steso” nei vari brani
da diverse entità.
Emerge una fotografia
fatta dall’alto, una visione globale, con protagonisti gli uomini “attuali”,
che danno molto per scontato, maturando sempre più la convinzione di una certa
superiorità verso ciò che li circonda.
Da qui un richiamo, un
avvertimento, una spinta al cambiamento, personale e generalizzato, nel
tentativo di salvare una situazione che sta sempre più degenerando, sfociando
in un enorme, serio, problema per l’oggi e, soprattutto, per il domani.
Per la realizzazione di questo lavoro
i Delirium si sono avvalsi di alcuni collaboratori. Oltre a quelli già citatati
(Galifi, Baccini) si segnala la presenza di un quartetto d’archi formato da:
Chiara (Chiarilla) Giacobbe al violino, Diana Tizzani al violino, Simona Merlano
alla viola, Daniela (Helmy)Caschetto al violoncello.
Line Up:
Ettore Vigo (Keyboards)
Martin Grice (Sax, Flute,Keyboards)
Peppino Di Santo (Drums, Vocals)
Roberto Solinas (Guitar, Vocals)
Fabio Chighini (Bass)
Mimmo di Martino (Vocals on "Il
nome del vento)
Un bel disco, capace di unire la
tradizione melodica italiana a una musica che si può definire tra il prog , il
rock e il jazz.
Cambi di ritmo, utilizzo di strumenti
cari alla storia dei “nostri anni 70” (mellotron, hammond), atmosfere
rarefatte, tempi dispari, jazz, rock, insomma un lavoro pregevole che potrebbe
diventare adulto al di là dei nostri confini.
Mi riallaccio al concerto di pochi
giorni fa al Teatro della Gioventù di Genova, lo stesso luogo che vedrà il 6
marzo di scena i Delirium e il Cerchio d’Oro.
In quell’occasione si esibirono “Il
Bacio della Medusa” e “Il Tempio delle Clessidre”, vale a dire dei giovani
(salvo Lupo, un po’ più “maturo”).
Se possiamo ascoltare dischi come “Il
Nome del Vento” e vedere dei “ragazzi” sul palco che hanno progetti diversi dal
solo “apparire”, beh, forse qualcosa si sta muovendo.
Ancora una nota relativa alla "confezione".
Il vinile si presentava come una piccola opera d'arte, da leggere, ammirare,
collezionare, e il passaggio al nuovo formato ha fatto perdere il fascino
dell'involucro. Questo CD rappresenta un piccolo ritorno al passato, con
libricino interno per i testi, i credits e per tutte le notizie utili
all'utente.
D'obbligo un po’ di note biografiche,
fornitemi dalla Black Widow, l’etichetta discografica genovese che mi pare
abbia come scopo primario quello di proporre musica di qualità.
BIO
Nati sul finire degli anni ’60 con il
nome di Sagittari, i Delirium (Ettore Vigo, Tastiere - Peppino di Santo,
Batteria e Voce - Mimmo diMartino, Chitarra acustica – Marcello Reale, basso)
adottano la sigla definitiva, con l’ingresso di Ivano Fossati, nel 1970.
Nel 1971 realizzano il loro primo
album “Dolce Acqua”: morbide atmosfere acustiche, sognanti ballate in
un’azzeccata miscela di rock, folk ejazz, con arrangiamenti arricchiti dal
flauto di Ivano Fossati che avvicina il gruppo allo stile dei più famosi Jethro
Tull di Ian Anderson.
La notorietà del gruppo aumenta e
l'anno dopo il gruppo partecipa al Festival di Sanremo con il brano
"Jesahel" che diventerà una hit con milioni di copie vendute.
Nonostante l’abbandono di Fossati, i
Delirium con l’ingaggio del Flautista - Sassofonista Inglese Martin Frederick
Grice, registrano "Lo Scemo e il Villaggio" con il quale il gruppo
raggiunge la piena maturità artistica con uno splendido disco di Jazz
Progressive.
Nel 1974 è la volta di "Delirium
III Viaggio negli arcipelaghi del tempo", il più progressivo dei loro
lavorI, nel quale viene impiegata una vera sezione di archi e Mimmo Di Martino
si cimenta per la prima volta alla chitarra elettrica. Nel 1975 i Delirium si
sciolgono. Dopo molti anni di silenzio, nel 2003 il gruppo si ricongiunge
grazie alla spinta di Pino Di Santo. Con un nuovo bassista (Fabio Chighini) ed
un nuovo chitarrista – cantante (Roberto Solinas), i Delirium sono tornati alla
grandissima con un album live, "Vibrazioni Notturne", nel quale
presentano alcuni dei loro classici rivitalizzati, un paio di covers dei J.Tull
ed una strepitosa versione di "With a little help from my friends".
Dal 2007 i Delirium hanno iniziato le
registrazioni de “Il Nome del Vento” con i testi di Mauro La Luce, già loro
autore storico. Il disco è sul mercato da gennaio 2009.
L'Acquario delle Stelle
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