venerdì 16 agosto 2024

Graceland



Graceland, maggio 2008

Dopo una settimana di lavoro americano avevo ormai perso la speranza di vivere qualcosa di unico.
Di ogni viaggio oltreoceano ho ricordi indelebili, sia in vacanza che “on businnes”. Nel secondo caso gli impegni giornalieri non lasciano spazi adeguati, ma la sera - o la mezza giornata libera - solitamente regala qualche sorpresa.
Sono quei momenti che mai avrei pensato di vivere, attimi che lasciano il segno. Ne avrei a decine da raccontare, ma la mia soddisfazione non ha niente a che vedere col mettere in piazza le mie occasionali fortune per proporle come oggetto di vanto, ma è piuttosto un continuo ricordare a me stesso che la vita mi ha dato qualche opportunità che va al di là delle gratificazioni materiali .
Ritengo che gli episodi piacevoli che hanno caratterizzato un percorso, siano un buon ausilio nei momenti difficili, una specie di album fotografico che è dentro di noi, che possiamo scorrere a nostro piacimento, senza condividerlo, in qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento.

Oggi devio il mio proposito e provo a descrivere un episodio del mio ultimo viaggio.
Ovviamente lo faccio perché ha un forte legame con la musica.
Jackson è in Tennessee, ed è a metà strada tra Nashville e Memphis, a un’ora di auto .
Come non essere attratto da queste due città musicali?!
Ma questa volta il tempo manca davvero e incomincio a pensare che il mio sogno di comprare una chitarra sul posto, sfruttando il cambio favorevole, rimarrà solo un proposito.
A Jackson non trovo niente di interessante, salvo qualche CD. Ci sono solo centri commerciali, ristoranti e pompe di benzina. Mi rimane un’unica possibilità che prevede lo spostamento a Memphis, al venerdì , giorno che precede il ritorno a casa.
A Memphis c’è una cosa che occorre assolutamente vedere, se si è nei paraggi: Graceland, ovvero la dimora di Elvis PresleyE’ vicinissima all’aeroporto, e l’hotel in cui ho prenotato è ad un tiro di fucile. Prendo un taxi alle 4 p.m. e mi ritrovo davanti ad una Cadillac azzurra, con su scritto “Welcome to Graceland".
Lo scorso anno, a metà agosto, il TG raccontava del solito pellegrinaggio nella Elvis’s House, in occasione del giorno della sua morte, e ricordo di aver pensato a quel luogo come a qualcosa di irraggiungibile. Impensabile per me partire dall’Italia con lo scopo di una visita simile, il Rock and Roll non è esattamente il mio modello musicale, ma entrare in quel luogo di culto, girare tra quelle stanze, e vedere le cose appartenute a Elvis, rappresenta un’esperienza davvero emozionante. La musica che non vedi e non senti ti entra dentro. I sui dischi, i suoi cimeli, le chitarre, i suoi vestiti, le sue foto, emanano i suoni che solo le persone con fine sensibilità musicale possono udire.
Graceland è una fabbrica da soldi. Non so se in parte vadano in beneficenza, come si dice, ma anche l’aria che si respira costa. All’entrata mi impongono di lasciare la videocamera in un armadietto apposito. Mi accingo a farlo, con molto dispiacere, e mi accorgo che oltre ad obbligarmi ad un’operazione dolorosa mi fanno pure pagare un dollaro per l’utilizzo del box.
In questa zona sono situati tutti i negozi e alcuni musei che custodiscono le auto e le moto di Elvis. I due aerei sono visibili anche dall’esterno. Non ho il tempo per tutto e mi accontento di prendere il bus che mi porterà al di la della strada, dove e’ situata la casa, immersa nel parco.
La visita non è guidata, ma un comodo traduttore aiuta a comprendere i dettagli. Che emozione trovarsi davanti alla porta di ingresso! Elvis promise ai genitori che avrebbe fatto fortuna con la musica e una volta ricco avrebbe acquistato, anche per loro, una casa adeguata.
Si entra in gruppo. Il piano visitabile è solo il pianterreno. Ci viene raccontato che il piano superiore è chiuso al pubblico per mantenere inviolata la parte più intima dell’abitazione. Come si fa a girare tra le varie stanze senza pensare che quella moquette è stata calpestata da chi ha fatto la storia della musica!? Non ci sono vani enormi, anzi. L’arredamento è discutibile, e anche se parliamo di mezzo secolo fa è palpabile l’esagerazione e la voglia di ostentare, come di solito fa chi passa da condizione modesta a esagerata ricchezza. La stanza dei divani colpisce per i colori giallo e blu e soprattutto per le tre televisioni antiche, che Elvis guardava in contemporanea, emulando il presidente Johnson. Su di una parete si erge il simbolo del lampo, traduzione dell’idea di Presley di trattare gli affari nel segno della rapidità. La stanza dello svago presenta ancora un originale”sette” sul panno del biliardo, operazione di un amico maldestro. E poi la jungle room, davvero inguardabile, se si pensa allo stile. Ma ad ogni passo è un’emozione nuova. All’esterno la vista non riesce a misurare il parco verde e ben curato. La piscina è circondata da fiori ed è situata proprio di fronte alle tombe di Elvis e dei familiari.


Non c’è tristezza nei visitatori, l’ambiente è troppo sereno. Io non so più da che parte guardare e mi emoziono all’idea di visionare un gran pezzo di storia, della musica e non. E’ facile chiudere gli occhi e ricordare i film di un tempo, dove “Elvis the Pelvis” cantava, suonava, amava, giocava. E la parte migliore della sua vita, quella più felice, è circoscritta all’interno di Graceland, perché come sempre accade, le soddisfazioni maggiori arrivano dalla sfera privata. Tutto questo è palpabile .
O forse è l’atmosfera che è riuscita ad influenzarmi e a condizionarmi. Mi guardo attorno e vedo tanta gente normale, coppiette fresche di matrimonio (riconoscibilissime), anziani, bambini, maschi e femmine, tutti apparentemente incantati. Riprendo il bus che ci riporta all’origine. Mi riapproprio della videocamera e mi dedico ad un minimo di shopping. Se non lo facessi me ne pentirei amaramente. Dopo enorme selezione acquisto una cintura per chitarra con su il marchio di Elvis, e il quadrettino con l’immagine della porta d’ingresso, con su scritto “We have visited Graceland”. Giusto un ricordo. Sono le 5 pm. È passata solo un’ora ma mi sembra un’eternità. Tante emozioni, forti e concentrate, fanno perdere la cognizione del tempo.
Ho ancora tutta la serata per me. La downtown si chiama Beale Street. Là troverò musica blues, artisti incredibili, gente ammalata di musica… esattamente come me. Potendo scegliere, sarebbe quello il mio mondo ideale!


Alle nove p.m. esatte mi trovo casualmente davanti ad uno dei luoghi che avrei voluto trovare nel corso della settimana. Deviando da Beale Street, incuriosito dallo stadio dei Grezzly (NBA) vedo in lontananza un’enorme luce che illumina la via. L’insegna luminosa riporta il nome “GIBSON”.

Nei depliant trovati in hotel è contemplata la possibilità di una visita guidata al laboratorio Gibson per la modica spesa di 10 dollari. Le vetrine propongono ogni ben di Dio. Ma a quest’ora della sera tutto è chiuso e forse è un bene per me. Ritorno nel cuore di Memphis, trascinando i piedi dalla stanchezza. E’ tardi ormai, saluto idealmente tutti i musicisti e prendo un taxi. L’autista è somalo e trova strano che io voglia sedermi accanto a lui. Gli racconto della mia giornata a Graceland e della visita alla tomba di Elvis. Lui ride di gusto e dice:” Ma c'è ancora qualcuno che crede che Elvis sia morto?! “.




2 commenti:

  1. Spettacolo..è uno dei miei sogni vedere e vivere Graceland..grande Athos..e per me Elvis non è mai morto!!

    Pino

    RispondiElimina
  2. …“ Ma c’è ancora qualcuno che crede che Elvis sia morto?”.
    Già, attorno al bellissimo ed inimitabile Elvis si è creata una cortina di mistero degna del miglior scrittore di romanzi gialli, mi incuriosiscono le “leggende netropolitane” che si creano di solito attorno alla morte di un grande personaggio e nello stesso tempo mi infastidiscono.
    Bastano a volte dei piccoli particolari che non coincidono, frasi dette e contraddette, ad alimentare la fantasia di giornalisti, fotografi e ricercatori che mettono in moto il grande circo.
    Però…potrebbe anche essere vero…chissà, sta a noi scegliere la verità più “comoda”! In ogni caso il bellissimo ed inimitabile Elvis non è morto…i miti non muoiono mai.
    Elvis è stato molto amato, adorato, e lo sarà sempre fino all’ultimo fan! Io, non lo sono mai stata, anche se mi piaceva!
    La sua casa-museo quella che tu tanto bene hai descritto dicono che sia la seconda, in numero di visite, dopo la Casa Bianca e non potrebbe essere altrimenti perché lui era un Re, sia pure del Rock’n roll, che ha fatto la storia anche se di una cosa per molti superflua come la musica.
    Mettendola sotto questo punto di vista, io stessa che sono molto critica riguardo a certe scelte spregiudicate nei confronti dell’intimità e della morte altrui ,probabilmente, se mi trovassi da quelle parti, mi metterei in fila per entrare, anche se, sono sicura, mi sentirei a disagio.
    Raffaella

    RispondiElimina