mercoledì 14 gennaio 2015

Kaleidoscope



Attraverso l’ascolto del CD triplo "Pulsating Dream" sono arrivato ai Kaleidoscope. Chi sono? Certamente non una band appena uscita dal liceo, ma un gruppo che ha una sua valenza e storia importante.
L’album, sentito sommariamente, mi è piaciuto immediatamente, e seguendo l'istinto sono andato alla ricerca di qualche notizia che propongo.

Siamo di fronte probabilmente ad una delle migliori band di psichedelia west-coast che ha dato alla luce almeno due perle del genere nel 1967, anno di massima espressione musicale.
Da non confondere con l'omonima band di oltre manica, il loro nome è stato per anni avvolto da un alone di leggenda dovuta alla cronica irreperibilità dei loro album, al mistero di cui amavano circondarsi personaggi come Buda e Feldthouse e alla originalità del loro sound, condensato di rock e blues incrociato con melodie di origine orientale.
I Kaleidoscope si formano a metà degli anni ' 60 ad opera di David Lindley, musicista molto attivo nell'area di Los Angeles con vari gruppi country.
Lo stesso forma nel 1966 una band che prende il nome di Bagdhad Blues Band che annovera nelle sue fila John Vidican, Solomon Feldthouse, il tastierista Brian Monsour e il bassista Rick O' Riell.
Gli ultimi due escono dalla formazione e vengono sostituiti da Maxwell Buda e Chris Darrow; a questo punto il nome viene definitivamente cambiato in Kaleidoscope e da qui non verrà più modificato.
Il background musicale dei vari componenti è chiaramente influenzato dal country e dal folk, soprattutto Feldthouse (nato a Ismit in Turchia) imprime il suo stile orientale trasmettendolo anche agli altri musicisti ,in particolare Lindley già appassionato di musica indiana; i due diventeranno i "personaggi" più rappresentativi della formazione.
Lindley, Darrow, Buda, Feldthouse e Vidican realizzano i primi due album dei Kaleidoscope; "Side Trips" esce nel giugno 1967 e subito testimonia lo stile della band.
Si tratta di 10 canzoni vivaci, fresche, cariche di tensione e creatività, anche se il tutto è racchiuso in 29 minuti, troppo poco per esprimere l'enorme potenziale musicale dei Kaleidoscope.
Si passa da Egyptian Gardens classico esempio di influenze orientali, al classico old time jazz Minnie The Moocher, di Cab Calloway; la voce oscura e baritonale di Feldthouse ricrea atmosfere di rara intensità emotiva.
Nello stesso anno (1967) cercano di crearsi una piccola popolarità e nel luglio partecipano al Berkeley Folk Festival insieme ad artisti del calibro di Richie Havens e Steve Miller.
Alla fine del 1967 viene pubblicata la loro seconda fatica "A Beacon From Mars", all'interno della quale troviamo i due pezzi più visionari e lunghi del repertorio, Taxim e la title-track: il primo è uno straordinario rifacimento di musica popolare turca, strumentale, la cima delle loro incursioni nel folk orientale, la seconda acida e misteriosa disgressione rock, un infinito trip, inquietante la voce di Feldthouse e impazziti gli assoli di Lindley.
Quest'ultimo è un disco geniale e mitico, opera di grande bellezza che adesso è diventato un raro pezzo da collezione.
Nel 1968 esce il terzo lavoro "Incredible Kaleidoscope" che si rivela il lavoro più omogeneo ma che lascia trapelare i primi cenni di stanchezza creativa; c'è una massiccia dose di country, blues e del poderoso rock.
L'unico episodio degno di nota è Seven - Ate Sweet, un viaggio di 11 minuti in territori musicali esotici e affascinanti.
La stupenda formazione della Bay Area, dopo aver pubblicato nel 1968 un singolo con due inediti, si perde in conflitti personali durante la lavorazione dell'album successivo "Bernice" che vedrà la luce nel 1970.
A metà dello stesso anno i Kaleidoscope partecipano alla colonna sonora di "Zabriskie Point" con due brani e tengono un ultimo concerto a Clermont.
Grazie a loro la scena west - coast si è arricchita di sonorità variopinte, pura creatività e divagazioni visionarie, in una sola espressione i Kaleidoscope sono stati uno dei più grandi gruppi emersi in quell'epoca: grandiosi.

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