venerdì 4 ottobre 2024

Ricordando Janis Joplin


"Non vendere te stesso.Tu sei tutto ciò che hai
(Janis Joplin)

Il 4 ottobre del 1970 ci lasciava prematuramente Janis Joplin: sono quindi passati 54 anni, ma la sua immagine, quella che la disegna come artista maledetta, è ancora nitida e potente.

Per ricordarla ho recuperato una biografia sintetica che aiuta ad inquadrarla…

Janis Joplin fu uno dei grandi miti degli anni '60, situazione alimentata ancor più dopo la sua morte.
E` uno dei casi in cui vita e arte si confondono ed è difficile giudicare l'una senza tener conto dell'altra. Fu senza dubbio una grande cantante, dotata di una voce che è rimasta uno degli archetipi del canto blues. Fu invece una pessima musicista, incapace di scrivere brani memorabili e limitata a eseguire cover d'autore.
Janis Joplin fu fedele nello spirito, travagliato e disperato, nel destino, emarginato e fatale, e nel canto, vibrante e passionale, ai grandi bluesman del Delta: "un incrocio fra una locomotiva a vapore, Calamity Jane, Bessie Smith, una trivella e un liquore disgustoso", com'ebbe a dire un critico del tempo.

Janis Joplin era nata in Texas e aveva avuto un'adolescenza turbolenta, nonostante fosse di famiglia abbiente. Nel 1963 arrivò per la prima volta a San Francisco e cominciò a esibirsi nei club alternativi. Nel 1966, nel pieno dell'era hippy, trovò impiego in pianta stabile come cantante dei Big Brother & The Holding Company.
Il loro primo disco, Big Brother & The Holding Co (Mainstream, 1967), orrendamente registrato, diede già la misura del blues-rock del gruppo, ma fu la loro esibizione al festival di Monterey del giugno 1967 ad attirare l'attenzione su quell'indemoniata cantante.
La leggendaria potenza dei loro show venne meglio immortalata sul secondo album, “Cheap Thrills” (CBS, 1968), ora che le chitarre di Sam Andrew e James Gurley erano maturate e fornivano l'adeguato accompagnamento all'istrionismo della cantante.
Joplin era già un personaggio, che sul palco metteva in vista esibizionismo, autocommiserazione e una scandalosa volgarità.

Univa un temperamento emotivo e una personalità insicura, una disastrosa vita sentimentale, una precoce assuefazione agli stupefacenti, alcoolismo da angoscia e solitudine. Sfogava le sue nevrosi nei concerti. Davanti al pubblico le sue terribili tensioni esplodevano. La sua voce roca, deteriorata dall'alcool e dal fumo, strillava con forza disumana e bisbigliava con tenerezza struggente. Più che "cantare", Joplin gemeva, rantolava, delirava. Ogni canzone era un rituale di autodistruzione in cui Joplin elargiva tutte le proprie forze.
Al termine di un concerto disse che si sentiva come se avesse fatto l'amore con migliaia di persone e fosse tornata a casa sola.
In "Pieces Of My Heart" sembra veramente che le stiano strappando il cuore quando grida sgolata "... take another little piece of my heart".
La lunga, strascicata litania di "Ball And Chain" (il classico di Big Mama Thornton) divenne un po' la metafora della sua vita.

Lasciati i Big Brother, Janis Joplin incise poi "I Got Dem Ol' Kozmic Blues” (1969), un disco molto meno spontaneo.
Joplin sembra volersi inventare una nuova carriera come cantante soul, ma riesce sempre meglio in blues tormentati come “Try” (ancora di Ragovoy).
Era già arrivata al capolinea. I suoi atteggiamenti da primadonna irritavano tutti.
Si stava disintossicando ma nell'ottobre del 1970 ebbe una ricaduta che le fu fatale: morì sola in una camera d'albergo di Hollywood.

I discografici misero insieme le ultime registrazioni e pubblicarono "Pearl "(1970), che è il suo album più maturo. Invece della strega oltraggiosa Joplin si rivela una creatura vulnerabile, che si esprime nei blues melodrammatici di "Half Moon", "Move Over", "Cry Baby", "My Baby" e "Get It While You Can" (le ultime tre ancora di Ragovoy), sposando la propria ruggente voce ora a un boogie da saloon e ora a un gospel accorato.

E finisce per commuovere quando canta a cappella "Mercedes Benz", senza sapere che la ascolteranno come un requiem.
Joplin, più che uno stile, impose un personaggio emblematico di quella generazione disperata di ragazzi scappati da casa per cercare un mondo migliore, e, dopo estenuanti torture, fucilati dalla realtà.per cercare un mondo migliore e, dopo estenuanti torture, fucilati dalla realtà.




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