Pillole di Frank Zappa, partendo dalla lettura di "Frank Zappa - La vita e la musica di un uomo Absolutely
Free", di Barry Miles.
Trascrivo
una recensione al libro, di Luca Trambusti.
"Barry
Miles è un giornalista del New York Times, autore di molti profili di star del
rock. L'ultima sua rischiosissima fatica è descrivere Frank Zappa, forse il più
grande genio espresso da quella cultura. Sebbene legato a Frank da una vera
amicizia, Miles riesce a essere obiettivo e in alcuni episodi persino critico
nei confronti del musicista. L'autore esplora più il lato umano che quello
musicale, fornendo un ritratto di luci e ombre.
Molto documentato, Miles approfondisce temi e tocca argomenti che svelano l'anima a tratti feroce e umanamente non proprio solare di Zappa. Alla cui vena artistica incontestabile Miles accosta sottilineature di come, in più occasioni, le sue idee provenissero dall'entourage dei musicisti. La vita personale e artistica di Zappa è sempre inquadrata nel contesto sociale e politico e l'intreccio è notevole. Insomma, Zappa come uno dei mille volti dell'America.
Molto documentato, Miles approfondisce temi e tocca argomenti che svelano l'anima a tratti feroce e umanamente non proprio solare di Zappa. Alla cui vena artistica incontestabile Miles accosta sottilineature di come, in più occasioni, le sue idee provenissero dall'entourage dei musicisti. La vita personale e artistica di Zappa è sempre inquadrata nel contesto sociale e politico e l'intreccio è notevole. Insomma, Zappa come uno dei mille volti dell'America.
Lo svolgimento del
libro è strettamente cronologico: dall'infanzia raminga per gli States al
seguito del padre, alle esperienze giovanili, alla vita da freak nella Los
Angeles dei Sessanta sino alla drammatica scomparsa per malattia. Chi ha letto
l'autobiografia di Frank troverà in questo libro angolature diverse. E spesso
Miles precisa, puntualizza e corregge (attraverso studi e testimonianze) quanto
lo stesso Zappa ha raccontato in vita.
La
vita di Frank Zappa, rispetto alla
sua musica, non è "degna di nota".
Un
gioco di parole che lo stesso artista ha lanciato, a metà degli anni Ottanta,
quando da molti era considerato un genio e da altrettanti un personaggio con
manie di grandezza per certi versi insostenibili.
Nella
sua stessa autobiografia, scritta con l'aiuto dell'amico giornalista Peter
Occhiogrosso, quello che c'è di davvero rilevante riguarda operazioni
concettuali o impressioni che Zappa ha riportato dall'incontro con cose e
persone: lavoratore infaticabile e imprenditore vero, si è spesso rinchiuso nei
suoi studi o ha girato in maniera ossessiva i palcoscenici, piuttosto che dare
spettacolo della sua intimità.
Una
intimità di cui, alla fine, si sa abbastanza poco.
Nato
il 21 dicembre 1940 a Baltimora, da due
siciliani che non avevano esattamente fatto fortuna con l'american way of life
(il padre era un operaio del governo nel deserto californiano), trasferitosi
nel Mojave e subito interessato alla sperimentazione di forme espressive
diverse fra di loro, Zappa si è formato su ascolti tutt'altro che rock-and-roll:
Varèse, Stravinskij, la musica dodecafonica e "tantissime canzoncine che ascoltavo da
bambino".
Le
cosiddette silly songs che avrebbero fatto capolino, riviste e ironizzate in
maniera grottesca, nelle produzioni centrali dei Sessanta zappiani.
I
suoi studi giovanili arrivarono fino allo Chaffey College di Alta Loma,
California, per poi lasciare spazio a piccole produzioni cinematografiche e a
un piccolo studio indipendente.
Nel
1964 suonava con una band locale, i Soul Giants, che divennero poi le prime
Mothers nel giro di un paio d'anni e inanellarono una serie di album
decisamente contro i cliché dell'epoca.
Allora
Frank aveva già sposato la sua prima moglie, una telefonista, e incontrato da
poco quella che sarebbe diventata la sua compagna per il resto della vita e che
gli avrebbe dato quattro figli, Gayle.
Lontano
dalla hippy-culture dell'epoca, l'aveva stigmatizzata in album poi divenuti
memorabili.
Il
simpatico gruppo di disordine delle Mothers si era reso conto in fretta di
avere un padre-padrone, più che un comprimario, così come lo stesso amico
d'infanzia Don Van Vliet, in arte Captain Beefheart, in un rapporto
speso fra liti e riappacificazioni più o meno credibili.
FZ
ha avuto sempre la tendenza a utilizzare i musicisti come meri esecutori delle
sue musiche, e il rapporto con loro, anche con i più famosi e riconoscenti, -
fra tutti, il grande polistrumentista Ian Underwood, oppure il
jazzista Jean-Luc Ponty - non è mai stato facile.
Dopo
lo scioglimento delle prime Mothers, si è avvicinato sempre di più al jazz e
poi alla musica colta, vista da una prospettiva originale .
"Hot
Rats",
forse il suo album più acclamato, da critica e pubblico, ha preceduto la
rifondazione delle solite Madri e una serie di concerti finita male, nel '72,
quando cadde dal palco di Londra, spinto da uno spettatore geloso, " pare
che Frank stesse occhieggiando la sua ragazza ) e si fratturò la gamba in due
punti.
Costretto
su una sedia a rotelle, si sarebbe dedicato così sempre di più alla produzione
in studio, con album - Waka Jawaka, per esempio -
strutturati e complessi (nonostante qualche parentesi commerciale, su tutte la
serie di Joe's Garage), fino al flirt finale con la musica contemporanea, le
collaborazioni con la London Philarmonic Orchestra, Pierre
Boulez, la riscrittura su "pianola elettronica" degli
spartiti del suo quasi omonimo Francesco Zappa e la raccolta di un archivio dal
vivo che avrebbe visto la luce alla fine degli Ottanta con la serie "You Can't Do That On Stage Anymore",in
vari volumi.
Tutte
cose che finirono per annullare completamente i dettagli quotidiani della sua
esistenza. Unica posizione pubblica sarebbe stata la presa di posizione contro
i genitori che denunciavano la pornografia dei testi del rock, a metà Ottanta;
poi, un'ultima tournée nel 1988 e alcune piccole apparizioni successive, fino a
quella nel settembre del 1992 a Francoforte e a Vienna per presentare l'ultimo
album," The Yellow Shark", in condizioni di salute oramai
precarie.
Dieci
anni dopo la sua morte, le sue pubblicazioni postume sono state molte di meno
di quanto si immaginasse e comunque l'importanza della sua musica non è affatto
diminuita, dimostrazione estrema che le opere di un grande artista contano più
di qualsiasi contorno minutamente biografico.
Citazione del giorno:
"Parlare di musica è come ballare di architettura" (Frank Zappa)
Come prefazione alla sua autobiografia Zappa scrisse: "In genere un'autobiografia è opera di qualcuno che considera la propria vita fonte di incredibile interesse. Io non lo penso della mia ma sono tali e tanti i volumi stupidi che trattano di me, che ho creduto opportuno ci fosse almeno un libro serio sul mio conto."
RispondiEliminaPersonalmente prendo le distanze da quanto rilasciato da Zappa...... dal definire un testo biografico meno attendibile rispetto ad uno autobiografico.A mio giudizio per farci un'idea dovremmo leggere tutto il materiale a disposizione ..