Ieri sera ho assistito al concerto di John Mayall sul
magnifico palco allestito al Priamar di Savona.
Il filo conduttore delle manifestazioni estive sulla fortezza
è il tributo al mondo femminile, e il re del blues sembra quasi una forzatura
nel contesto generale.
Alla luce di quanto si è visto e ascoltato, Mayall non è
sembrato un intruso, ma piuttosto un “collante” tra diverse generazioni, tra
differenti modi di intendere musica e vita, tra uomini e donne, tra passato,
presente e aggiungerei futuro.
Il pubblico che affluisce è composto e sicuramente preparato.
Chi è presente sa che ascolterà blues, solo blues e non ci
sarà spazio per divagazione alcuna.
Entrando la prima sorpresa.
Nell’angolino dedicato alla vendita delle solite t-shirt e
CD, il banchetto è presidiato da una faccia nota.
Mai vista una cosa del genere! John Mayall in persona dispensa autografi sulla sua mercanzia e si fa fotografare sorridente.
È una grossa novità per i presenti, che gradiscono e si
gettano su tutto l’acquistabile.
Mentre mi prendo la mia razione di soddisfazione e gli stingo
la mano, rifletto su cosa possa significare questo siparietto, questa discesa
sul campo che sicuramente porta ad incrementi di vendita.
È un atto da musicista che decide di andare incontro al suo
pubblico, rendendosi terreno e mettendosi a disposizione in toto.
Ho davanti a me la storia, la scuola di musica per tanti miti
dei giorni nostri, un uomo che da adolescente vedevo già sulle copertine di
“Ciao 2001” e che ora si mostra in tutta la sua semplicità.
Si suona per dare piacere a sé stessi, ma quando si riesce ad
arrivare alla gente … beh, credo sia linfa vitale per ogni artista.
E lui arriva, al di là dei tanti dischi realizzati.
Prendo posto e mi colpisce il palco… minimalista.
In un tempo in cui ci si può sbizzarrire con ogni tipo di attrezzatura, il gruppo presenta solo lo stretto necessario.
Non ci sono posti vuoti e chi pensava di trovare il biglietto
dell’ultimo minuto torna a casa deluso.
Si inizia senza Mayall, solo i Bluesbreakers, ma il
chitarrista texano dotato di Telecaster cattura subito il pubblico.
Buddy Whittington ha dimensioni notevoli, ma cosa colpisce di
lui non è la stazza, semmai la sua tecnica chitarristica.
Le dita volano sulla tastiera e credo che il risultato sia il
massimo della goduria per gli amanti del genere.
Anche la voce è impressionante e personalmente la trovo più
interessante di quella di Mayall.
Un paio di pezzi e poi viene introdotta la star della serata,
presentata come “The King of Blues”.
Avrà anche 73 anni, ma non si vede.
La musica da delle possibilità infinite e non ci sono i
limiti tipici di altri campi.
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