venerdì 20 febbraio 2015

Quanah Parker: Suite degli Animali Fantastici


Quanah Parker: Suite degli Animali Fantastici
M.P. & Records

Riccardo Scivales mi facilita il compito descrittivo del prossimo album dei Quanah Parker, band di cui è il leader: Suite degli Animali Fantastici. Il suo racconto entra nei dettagli e regala al lettore la possibilità di scendere in profondità ed evidenziare aspetti importanti che spesso sfuggono nel corso dell’ascolto, ma che ne sono fondamentale complemento.
Quale miglior modo per facilitare l’avvicinamento, sia del curioso che di chi già conosce la filosofia musicale della band!?
Provo a riassumere.
Una lunga suite centrale, trenta minuti, come la logica prog suggerirebbe: la title track.
Un paio di brani che appartengono al repertorio passato e che, seppur rielaborati, fotografano un prog antico, DNA di Scivales e compagni di viaggio.
L’utilizzo della doppia lingua, italiana e inglese.
Un artwork sognante che riporta agli stilemi delle copertine più importanti degli anni ’70.
Capitolo a parte il brano dedicato a Francesco Di Giacomo, scritto d’impulso da Scivales subito dopo la prematura dipartita, pezzo che crea un perfetto link tra epoche e artisti dediti alla musica di qualità.
Ma il tema centrale, il vero “nuovo”, è la suite - 8 tracce - suggerita dal musicista americano Edward J. Shanaphy, capace di intravedere nella musica dei Q.P. un ampio respiro orchestrale, il corretto commento ad immagini e azioni, una sorta di colonna sonora che è peculiarità di molti concept album prog.
Il tema scelto riporta alle creature mitologiche fantastiche viste come “… proiezioni oniriche di una mente umana e le vedono compiere un affascinante viaggio al di là dello spazio e del tempo per tornare infine al loro creatore…”.
“Fantastiche” non significa “immaginarie”, e il peso di queste icone si lega al fatto che, in tempi lontani, siano state credute reali e capaci di influenzare la storia, a causa di poteri sovrannaturali, o per semplice forza fuori dal comune. Tema affascinante.
Da un’idea brillante nascono le liriche di Alessandro Monti, che trovano la chiusura del cerchio nella proposizione vocale di Elisabetta Montino, artista dalle doti canore sorprendenti, con una buona predisposizione alla sperimentazione e alla ricerca, come ci viene raccontato nell’intervista a seguire.
Restando in tema di giudizio generale, ciò che più mi ha colpito è il contrasto tra le creazioni articolate - dalla costruzione a volte molto complessa - e la fluidità di ascolto, situazione in cui emerge la capacità di creare atmosfere che trascinano e allontanano ogni tipo di etichetta o incasellamento a favore dell’universalità della musica, e alla fine stabilire se sia il prog la materia che abbiamo tra le mani diventa solo un dettaglio, e nemmeno troppo importante.
Un grande lavoro di squadra, fatto di interconnessioni tra musica, parola e immagini, capace di suscitare emozioni forti sin dal primo ascolto.
Scivales racconta come “… quasi tutti i brani del CD sono stati eseguiti con successo dai Quanah Parker in vari concerti del 2014…”, e non ho dubbi che il talento di questi straordinari musicisti possa esaltarsi proprio nel contatto con l’audience.

Un piccolo frammento è ascoltabile a questo link:




L’INTERVISTA

Da dove nasce l’idea che ha portato alla creazione di “Suite degli Animali Fantastici”?

Dopo l’uscita a fine 2012 del nostro primo CD, Quanah! (Diplodisc dpl 004, G.T. Music Distribution), volevamo incidere presto un secondo album. Avevamo già pronto molto materiale e ci giunse anche un suggerimento prezioso. L’idea di scrivere il brano che dà il titolo all’album, infatti, mi è stata suggerita dal pianista e arrangiatore jazz americano Edward J. Shanaphy, che è anche l’editore della maggior parte dei miei libri di musica e dei miei brani (anche Prog) pubblicati su spartito nelle sue magnifiche riviste per pianoforte (recentemente chiuse, purtroppo, dopo decenni di gloriosa attività). Dopo aver ascoltato Quanah!, Shanaphy mi scrisse che a suo avviso molti miei brani avevano delle qualità che si prestavano benissimo anche a realizzazioni e impieghi più estesi, ad esempio lavori orchestrali, colonne sonore, ecc. In tal senso, mi suggerì appunto di scrivere una lunga suite (nella più bella tradizione del Rock Progressivo) sull’affascinante soggetto degli “animali fantastici”. Accogliendo questo suggerimento, iniziai quindi a scrivere le musiche della Suite e a provarne gli arrangiamenti con i Quanah Parker. Quando molto materiale era ormai a buon punto, l’abbiamo fatto ascoltare ad Alessandro Monti, che è stato subito entusiasta della Suite e per essa ha iniziato a scrivere con una velocità miracolosa delle liriche assolutamente straordinarie, contribuendo inoltre con alcune nuove melodie e spunti musicali. Alessandro si è sentito talmente coinvolto dalla Suite che ha voluto inciderne personalmente in studio (con eccellenti risultati) anche le parti di basso, oltre a varie piccole percussioni e il tabla in un episodio in tandem con la batteria. Suoi sono anche il basso e il suggestivo flauto dolce Moeck in From Distant Lands. Le parti di basso di tutti gli altri brani (A Big Francesco, Death of a Deer e Make Me Smile) sono state invece brillantemente registrate dal nostro chitarrista Giovanni Pirrotta. Ci tengo molto a dire che nell’intero album c’è stato un bellissimo lavoro “collettivo” di tutta la band nell’elaborazione definitiva delle mie composizioni. In tal senso vorrei ricordare, tra le altre cose, le bellissime invenzioni batteristiche di Paolo Ongaro e gli straordinari assolo di chitarra di Giovanni Pirrotta, ad esempio in Danza di un Mattino e Death of a Deer. La magica voce di Elisabetta Montino e le sue doti interpretative hanno completato alla perfezione il tutto, dandogli anche quell’inconsueto tocco di vocalità Prog “al femminile” che molti vedono come una delle peculiarità della nostra band. Il resto lo dobbiamo a Vannuccio Zanella e ad Antonino Destra della M.P. & Records e della G.T. Music Distribution, che dopo aver ascoltato alcuni nostri concerti si sono interessati alla nostra musica e ci hanno offerto di co-produrre e distribuire l’album, dandoci anche preziosi suggerimenti e indicazioni per la realizzazione definitiva del lavoro. Li ringraziamo qui ancora per averci offerto la loro esperienza e il loro entusiasmo. Siamo molto orgogliosi di questo disco e di essere entrati a far parte del catalogo M.P. & Records, che ha prodotto album di vari musicisti importanti, tra cui alcuni dischi del mio “keyboard hero” Rick Wakeman. Aggiungo che diversamente dal nostro album precedente, questo è un disco bilingue: la Suite è cantata in italiano, altri due brani in inglese, e From Distant Lands ha delle “liriche nascoste” sempre in inglese. L’album è stato registrato nel 2014 da Andrea De Marchi presso il Virtual Studio a Treviso, e mixato e masterizzato da Bebo “Best” Baldan allo Exit Studio di Venezia. Infine, due parole sulla mia strumentazione: come già nel precedente Quanah!, anche in quest’album ho suonato tutto con un’unica tastiera (la mia amata Casio Privia PX-300), eccetto una o due parti di “Minimoog” realizzate con un synthesis module della Korg. E forse può non sembrare, ma dalla mia Casio viene anche l’assolo di vibrafono che puoi sentire in Cantico Marino.     

Ci sono brani “antichi” e riarrangiati per l’occasione: si può considerare un lavoro che racconta l’evoluzione della band?

No, nel senso che i brani “antichi” (Death of a Deer e Make Me Smile) sono solamente due su un totale di dodici, e in ogni caso il pezzo “centrale” dell’album è la Suite. Inoltre, l’album rispecchia perfettamente la band attuale, che ha quasi tutti i componenti diversi da quella che registrò questi brani “antichi” trent’anni fa. Direi però che Death of a Deer, essendo stata composta nel lontano 1981, può darci un’idea del progressive suonato dai primi Quanah Parker in anni decisamente pioneristici per il “Neo-prog”. In questo CD, entrambi i brani “antichi” sono stati comunque rielaborati e arricchiti dalla band attuale, e in un futuro disco con materiali di archivio sarà interessante confrontarli con le vecchie versioni (ancora inedite) registrate nel 1981-1985, e avere così un’idea dell’evoluzione della band e anche della mia scrittura per essa.
 
Mi parli della collaborazione con Alessandro Monti?

Alessandro è un mio carissimo amico d’infanzia, ed è stato anche il principale cantante della formazione originaria (1981-1985) dei Quanah Parker. Dopo alcuni anni in cui ci eravamo un po’ persi di vista musicalmente, nel 2012 è venuto a un concerto dei “nuovi” Quanah Parker, e ne è rimasto talmente entusiasta da offrirci generosamente di co-produrre il nostro primo CD Quanah!, facendolo uscire per la sua etichetta Diplodisc e seguendone poi con grande cura la promozione. Il suo entusiasmo è stato determinante anche nella realizzazione di questo nuovo album, e del suo importante contributo ad esso ti ho già parlato. Alessandro ha un bellissimo approccio alla musica, molto spontaneo e “naturale”, e per me è sempre una gioia collaborare con lui. Ricordo inoltre che l’anno scorso Alessandro ha ristampato nella sua bellissima compilation internazionale Diplocomp: A Diplodisc Sampler (Diplodisc dpl 010) una nuova versione della nostra “prog ballad” After The Rain (già presente in Quanah!), in un mio nuovo arrangiamento per voce/pianoforte/coro che avevo già inciso insieme a Elisabetta Montino per un CD del Vocal Ensemble Monteverdi New Voices diretto da Silvia Buscato.

Su quale base è stato creato l’art work di Elisabetta Montino?

Beh, innanzitutto ci tengo a dirti che per quest’album Elisabetta ha creato un artwork assolutamente strepitoso e originale (come del resto aveva già fatto in Quanah!). Le basi di questo suo lavoro risalgono a un pomeriggio di primavera del 2012, quando ci trovammo a dover creare una sorta di “divisa” (cioè delle camicie di scena) della band per un nostro concerto in occasione del trentennale di una scuola di musica (intitolata a Claudio Monteverdi) in cui quasi tutti noi insegnavamo all’epoca, e vi lavoriamo tuttora. Elisabetta si mise subito al lavoro, con l’obiettivo di creare delle decorazioni che fossero semplici da realizzare, ma efficaci dal punto di vista scenico, e con un’unica possibilità cromatica, cioè il bianco sul nero. La sua ricerca si rivolse necessariamente a tipiche decorazioni pellerossa (come sai, il nome della nostra band è ispirato a un famoso capo Comanche), geometriche ed estremamente stilizzate, ma si estese in modo sorprendente quando Elisabetta iniziò a notare dei singolari parallelismi con certe forme decorative celtiche, soprattutto quando nelle decorazioni venivano inserite delle figure di animali o dei riferimenti espliciti ad altre forme della natura: sole, luna, nuvole, acqua, ecc.  Da qui, approdare in seguito al mondo dei codici miniati medievali è stata la più naturale delle conseguenze, perché ha permesso a Elisabetta di creare la cornice di una finestra in cui concentrare liberamente tutte queste forme, e alla quale potersi affacciare per contemplare questo nuovo mondo “fantastico” prima di entrarvi. L’artwork di quest’album è quindi basato su un’originale commistione tra Medioevo e mondo pellerossa. E nella front cover, al vertice della lettera “Q” di Quanah c’è anche l’invenzione di un totem che con i suoi cinque occhi rappresenta lo sguardo dei cinque componenti della band sulla necessità del fare musica oggi: oltre che un modo di esprimersi, appunto, una necessità!

All’interno dell’album è presente un brano dedicato a Francesco Di Giacomo: come è nato?

 Questo brano, intitolato A Big Francesco, e che per ovvi motivi non avrei mai voluto scrivere, è nato come un mio personale omaggio, molto sentito, al grande Francesco Di Giacomo. L’ho scritto di getto al pianoforte dopo aver appreso la tragica notizia della scomparsa di questa immensa e carismatica figura del Prog italiano (e non solo). Sono sempre stato un grandissimo estimatore del Banco (che reputo una delle più grandi band di tutti i tempi), ho sempre adorato la voce di Big Francesco e i suoi testi di straordinaria umanità e poesia, e non mi era mai successo di sentirmi così scosso dalla notizia della scomparsa di un musicista. A questo brano hanno dato un importante contributo sia Paolo col suo brillante drumming che Giovanni con un bellissimo assolo di chitarra (e anche con la sua parte di basso). E vorrei aggiungere che questo nostro omaggio a Big Francesco si è esteso anche a una mia rielaborazione strumentale di In volo (dal leggendario “salvadanaio” del Banco), che abbiamo suonato in vari concerti basandola sullo stesso ostinato della mano sinistra poi riutilizzato in From Distant Lands, cioè il primo brano del nuovo album.   

So che i brani sono già stati testati dal vivo: come giudichi la reazione del pubblico?

La Suite è stata suonata più volte live ed è sempre stata accolta sempre molto bene. Essendo un brano lungo quasi mezzora filata, devo dirti che la cosa mi ha un po’ sorpreso: probabilmente il pubblico ha la sensazione di “entrare in una storia” che lo coinvolge e lo fa sognare, e questo è esattamente il risultato che volevamo ottenere. Nella sua alternanza tipicamente Prog di episodi energici e momenti più calmi, penso che la Suite sia costruita molto bene, e indubbiamente presenta anche il vantaggio di essere cantata in italiano (quindi ben comprensibile a chi ci ascolta, e in linea con i canoni del Progressive Italiano), tra l’altro sulle liriche affascinanti di Monti, che secondo me hanno un altissimo valore poetico e che non esito ad accostare ai più grandi testi Prog. In concerto, A Big Francesco ha una grande forza comunicativa ed è stato sempre accolto molto bene, e anche Make Me Smile sembra piacere molto: infatti è dal 2006 che la suoniamo regolarmente live, spesso con un’Intro strumentale ripetitiva che serve a presentare al pubblico i componenti della band. From Distant Lands non l’abbiamo ancora suonata live, ma non dovrebbe presentare problemi: ha una melodia seducente e una bella ambientazione “ipnotico-magica”, e posso assicurarti che tutti quelli che l’hanno ascoltata dal disco ne sono rimasti affascinati. Death of a Deer è uno dei primissimi pezzi che ho scritto, per la precisione nel 1981. E’ un brano di quasi dieci minuti, molto articolato e non semplice da rendere in live. Con i Quanah attuali lo abbiamo eseguito varie volte (e sempre con successo), ma penso che lo abbiamo messo veramente a punto proprio con la versione più matura inclusa in questo CD, che mantiene identici tutti i temi principali e la struttura della versione 1981, ma vi apporta numerose novità: un nuovo testo originale (incentrato come dice il titolo su una caccia al cervo), una nuova “doppia Intro” strumentale e cantata, un breve recitato e due nuovi temi strumentali inframmezzati ai nuovi assolo di tastiere e chitarra.

Puoi spendere qualche parola specifica sulla lunga traccia “Suite degli Animali Fantastici”?

La Suite, che ho firmato e depositato insieme ad Alessandro Monti, naturalmente è dedicata a Edward J. Shanaphy. E’ formata da otto brani, che anziché risolversi in un semplice descrittivismo di ben noti “animali fantastici” mitologici, identificano queste “creature fantastiche” come proiezioni oniriche di una mente umana e le vedono compiere un affascinante viaggio al di là dello spazio e del tempo per tornare infine al loro creatore. L’azione si svolge in un’isola immaginaria, e le varie parti sono intitolate Risveglio Onirico, Danza di un Mattino, Interludio Notturno, Déjà Vu Fantastico, Luci dagli Abissi, Cantico Marino, Animale Multiforme e Ritorno alla Mente. In apertura (dove c’è anche un episodio recitato) e in qualche altro punto abbiamo usato anche degli effetti sonori “ambientali”. La genesi della Suite e i molti significati profondi dei suoi testi sono stati ben descritti da Alessandro nel post QUANAH PARKER: Note sulla “Suite degli Animali Fantastici” del suo blog www.unfolkam.wordpress.com. I testi non sono riportati nel booklet, ma saranno presto disponibili nel nostro sito www.quanahparker.it. In qualche modo, un bellissimo contributo è venuto anche da mia figlia Giulia: il brano Interludio Notturno della Suite, infatti, mi è stato ispirato da un tema da lei composto al flauto alcuni anni fa. E in una sorta di “trasfigurazione magica”, un frammento di questo tema è stato rielaborato e sviluppato come un’improvvisazione nel pezzo di apertura dell’album, From Distant Lands, un brano molto evocativo che serve a “preparare l’ambientazione” della Suite e in effetti ne è una sorta di “preludio”. Elisabetta ha qui usato un’originalissima tecnica di commistione tra vocalizzi e parole “dilatate”, appena percettibili e comprensibili, creando così un effetto molto suggestivo di “liriche nascoste”. Con la sua commistione di vari generi (Prog, Folk, Ambient, ecc.) e le sue particolari sonorità di tastiere e chitarra abbinate al sensibile drumming di Paolo, questo brano è stato un po’ una “rivelazione” e penso che esplori interessanti territori finora inediti per i Quanah. Tornando alla Suite, i suoi brani che mi sembrano più significativi sono Danza di un Mattino, Dejà Vu Fantastico, Cantico Marino e Animale Multiforme. Vorrei infine ricordare che la lunga Intro di Déjà Vu Fantastico (come del resto vari brani di Quanah!) è stata pubblicata negli Stati Uniti su spartito in una delle bellissime riviste pianistiche di Shanaphy, dove era apparsa nel 2007 col titolo di Prelude To “Sailor’s Song” (A Scottish Landscape).

E’ prevista un’uscita in vinile?

Naturalmente è stata preventivata un’uscita su vinile, ma questo a data da destinarsi per un motivo molto semplice e anche… molto tecnico. Infatti, l’album è stato registrato e mixato su digitale, perciò la dinamica delle sue tracce si presterebbe molto poco a una trasposizione su vinile che risulterebbe alla fine “gracchiante”. Quindi stiamo cercando di riprendere in mano completamente la registrazione, creando (e credo che siamo i primi ad avere questo tipo di delicatezza nei confronti degli ascoltatori) una versione che ripristini le vere sonorità adatte al vinile.

Progetti futuri?

Ora come ora, abbiamo appena finito di provare tutto il nostro repertorio “live” col nostro nuovo bassista, il giovane e bravissimo Alberto Palù, e per un po’ di tempo saremo impegnati con le presentazioni del CD. Comunque ho già scritto vari nuovi brani che proporrò presto alla band. Stiamo inoltre preparando uno spettacolo che espanderà ulteriormente la Suite, nel senso che unirà, senza soluzione di continuità e con dei brevi narrati di raccordo, i brani di questo CD a molti brani di quello precedente.

Line Up:
Riccardo “Rick” Scivales: tastiere
Elisabetta “Betty” Montino: voce
Giovanni Pirrotta: chitarre, basso
Paolo “Ongars” Ongaro: batteria
Alessandro “unfolk” Monti: basso, seconda voce, flauto dolce, Moeck, tabla, percussioni


mercoledì 18 febbraio 2015

Pino Sinnone racconta...


Questa intervista inedita è nata a fine Ottobre, ma per una serie di tristi e note vicissitudini si è interrotta ed è stata completata pochi giorni fa, un iter costruttivo condizionato da una perdita grave, quella di Joe Vescovi.
Il suo amico Pino Sinnone risponde a seguire con due diversi stati d’animo, che contraddistinguono il prima e il dopo.
Resterà nel tempo una bella testimonianza che racconta di musica, di rapporti umani, di gioventù e di storia incancellabile, quella di un’epoca dove c’era un fervore musicale che aveva la possibilità di sfociare in importante condivisione.



Ma leggiamo il pensiero di Pino.

Impossibile non chiederti lumi sulle origini dei Trip e su come diventasti il loro drummer!

Le origini dei Trip sono inglesi e l’atto iniziale fu quello di Ricky Maiocchi (ex Camaleonti); Io suonavo con il gruppo torinese "Le Teste Dure" e a Torino i Trip erano di casa. I Trip erano per me il top dei gruppi che si esibivano nei migliori locali di Torino ed in tutta Italia. A mia insaputa mi seguivano come batterista, e Billy Gray aveva il compito di ascoltarmi per poi riferire a Wegg e Joe. Una sera, mentre scendevo le scale di un famoso locale di Torino, il "Mack uno", incrociai Wegg, che appena mi vide propose l’espressione di colui che vede un miraggio… mi disse: “Cercavo proprio te!”. Con il suo inglese italianizzato, o forse italiano inglesizzato, mi chiese di andare a suonare con loro in quanto il loro batterista, Jan Broad, li aveva abbandonati dopo una accesa discussione. Precisamente con loro iniziai nel ’67, allo Scotch di Finale Ligure: a quel tempo suonavamo cover.

Hai partecipato ai primi due album della band e sei quindi entrato di diritto nella storia della Musica Progressiva Italiana: che cosa  c'era di realmente innovativo in quei due dischi?    

Di innovativo credo ci fosse stato il modo di suonare, con gli strumenti (basso chitarra e organo) in forma  polifonica fraseggi di blues, musica classica e rock, distaccandoci  quindi dai soliti brani di musica leggera: strofa, refrain, ritornello, refrain, strofa, ritornello, e così via. Eseguivamo  delle Suite musicali.

Perchè ad un certo punto ti staccasti dal gruppo?

Nel capodanno del 1971/1972 facemmo un concerto vicino a Roma, a Civita Castellana.
Rientrando a Roma, arrivati all'hotel come sempre accadeva, abbiamo scaricato i bagagli per portarli all'interno dell'hotel, lasciando il  furgone incustodito per alcuni minuti.  Ritornati per prendere il furgone e custodirlo in garage trovammo l'amara sorpresa: il furgone era sparito (forse eravamo  stati  seguiti). Ci trovammo ripuliti degli strumenti e quindi a terra, moralmente ed economicamente.  Per rifarci proposi ai ragazzi di fare un genere discograficamente commerciale (vedi Fantasia e Una Pietra Colorata), per rifarci un pò e per provare a vendere più dischi, in quanto con il nostro genere facevamo pienoni ai concerti, ma dischi se ne vendevano pochissimi; sicuramente  il nostro genere Prog vende  più oggi (ma è troppo tardi). Wegg e Joe non colsero la mia proposta; solo Billy aveva capito quanto chiesi (infatti anche lui se ne andò dalla band per fare il suo blues. Decisi così di uscire dal gruppo, forse con troppa impulsività, e di ritirarmi anche dalla musica.

Delle band italiane dell'epoca i Trip erano i più internazionali, data la presenza di Wegg Andersen e Billy Gray, ed un  inizio  all'insegna di  Ritchie Blackmore: erano davvero un passo avanti a noi, questi  inglesi?

Sììììì, gli inglesi erano più avanti di noi, non tanto per la  tecnica personale, comunque diversa dalla nostra, ma per l’esecuzione dei pezzi; in Italia i musicisti imparavano a memoria i brani e li eseguivano (come in molti fanno ancora oggi), gli inglesi invece fornivano un’interpretazione personale, che è molto diverso semplicemente dal suonare ed eseguire i brani.

 Due ex Trip citati non sono più tra noi: che ricordi hai di loro

Wegg e Billy erano due persone diverse tra loro pur essendo anglosassoni. Di Wegg ricordo il suo spirito avventuriero: infatti non viaggiava con noi sul furgone, adorava spostarsi in solitaria, passando da una città all'altra in treno, mentre noi tre viaggiavamo con il furgone contenente la nostra strumentazione.
Per quanto riguarda la musicalità Wegg e Billy avevano in comune il sound e il groove, la loro intesa musicale era impressionante.
Billy lo ricordo come una persona socievole, simpatico, intraprendente e sciupafemmine in quanto era un dolce conquistatore e seduttore.
Tra di noi esisteva una classifica per quanto riguardava avere successo con le donne: in 1° posizione c'era appunto Billy, seguito da Wegg, poi Joe e per ultimo il sottoscritto e infatti i giornalisti mi definivano "il brutto conquistatore".

Dopo un lungo letargo durato una quarantina di anni, Joe Vescovi ha riannodato la fila dei Trip, ed io sono testimone oculare degli atti più importanti: cosa ha significato per te la reunion, anche se non ti ha visto coinvolto completamente?

Molti anni prima della effettiva reunion, avvenuta nel 2010, avevo contattato più volte Joe e Wegg, proponendo loro di riformare il gruppo e ritornare sulla scena; purtroppo però senza esito, le risposte sono sempre  state "NI" o "SO".  Anche se non sono stato coinvolto direttamente sono stato felice della reunion  perchè, essendo io lo storico del gruppo mi piaceva sapere che i nostri fans erano felici di questo, dimostrandomi comunque grande affetto e dimostrazione che non mi avevano dimenticato. Anzi, c'è stato pure un grande scontro tra fans e Joe su facebook, i nostri seguaci si sono divisi, chi voleva il sottoscritto nella reunion e chi voleva Furio. Sta di fatto comunque che in più occasioni sono stato coinvolto come special guest, e questa per me è stata una bella soddisfazione.

Che tipo di batterista era ed è Pino Sinnone?

Io vengo dall'oratorio, figlio di operaio, e con una famiglia alquanto numerosa (7 figli) abitavamo nelle case popolari. Iniziai a suonare su pentole, casseruole e ogni superficie che mi permetteva di sfogare il mio istinto ritmico. Non avevo tecnica, sono andato soltanto sei mesi a scuola da un batterista di musica da ballo che faceva l'imbianchino, il quale mi insegnò solo a tenere le bacchette in mano. Il resto lo feci  da solo quindi  autodidatta dell'altro ieri, senza molti riferimenti. I batteristi autodidatti di oggi  hanno molti riferimenti da cui attingere. Mi ritengo perciò un batterista da gruppo e non solista, tenendo il groove appunto per il gruppo.

Recentemente sei stato ospite del secondo album de Il Cerchio d'Oro, assieme a Fico Piazza, Ettore Vigo e Martin Grice: che cosa hai provato nel partecipare ad una registrazione a distanza di cosi tanti anni?

Devo ringraziare i ragazzi del Cerchio d'Oro che mi hanno stimolato nel riprendere le bacchette in mano che avevo abbandonato per più di 35 anni. E' stata per me una grande emozione aver partecipato alla registrazione del loro eccellente ultimo lavoro dal titolo "Dedalo E Icaro"; il brano in cui ho suonato si intitola  “Il Mio Nome è Dedalo", un brano abbastanza impegnativo per repentini cambiamento di tempo.

Qual è il tuo più grande rammarico, riferito al tuo impegno musicale?

Non ho alcun rammarico. Per mia fortuna sono una persona consapevole di ogni avvenimento della mia vita, consapevole di essere stato il batterista de The Trip, consapevole di aver rifiutato la proposta di andare con i Pooh, consapevole di aver abbandonato per mia scelta lo strumento, consapevole del passare degli anni e…  consapevole di invecchiare serenamente; a questo proposito mi sono creato un aforisma a doc: "Non sono un vecchio che vuole ostinatamente fare il giovane, ma sono un giovane felicemente invecchiato”.

Ci saranno altre occasioni per vederti dal vivo o in qualche nuovo album?

E’ possibile che mi possiate vedere dal vivo in circostanze di ospite di qualche gruppo, ed è anche possibile che mi possiate ascoltare in un nuovo album, non come Trip ma come Pino "Caronte" Sinnone.

Dopo pochi giorni Joe ha cambiato luogo di vita e Pino ha voluto ricordare così quei momenti…

Nel 2012, dopo il concerto ad Alassio in memoria di Wegg, venni a sapere che a Joe era stato riscontrato un tumore al pancreas. La sua famiglia ed io abbiamo cercato di non far trapelare la notizia per non allarmare amici e fans. Joe è stato un grande musicista/compositore... a circa 20 anni compose molti meravigliosi brani di cui tutti sanno, ne cito solo due, Caronte ed Atlantide.
Joe era a capo dei Trip, non per fare il comandante, ma per trasferire ai noi, suoi compagni di "Trip", Wegg, Billy ed il sottoscritto, le sue magnifiche opere, .che sono ascoltate ancora oggi  da molti fans sparsi per il mondo. Quando non eravamo in tournee andavamo in ritiro alla famosa "Villa Rosso", a Cisano sul Neva, in provincia di Savona. Avevamo un bellissimo affiatamento tra noi facevamo le prove durante il giorno e, alla sera tardi, quando era giunta l'ora  di andare a dormire, lui si fermava ancora sulle  sue tastiere e componeva. Il giorno seguente ci faceva ascoltare cenni delle sue creazioni e dava ad ognuno di noi tre il suggerimento di come voleva la base ritmica musicale di quei brani. Era piuttosto severo  e a volte addirittura (era anche un polistrumentista) imbracciava il basso, poi la chitarra e poi anche si sedeva alla batteria per farci sentire come voleva l'esecuzione. Lui amava vestire con abiti settecenteschi creandosi cosi una immagine unica, quella da  “lord". Un giorno di Maggio 2012 mi telefonò e mi disse  che stava organizzando un concerto ad Alassio, in memoria di Wegg, e mi avrebbe voluto sul palco come "special guest", in quanto batterista storico de' "The Trip". Indescrivibile la mia felicità di poter nuovamente suonare con lui dopo 40 anni. Una settimana prima che morisse mi venne una gran voglia (presentimento) di andare a trovarlo in quel di Grottammare dove risiedeva: in 40 anni non ci ero mai andato e ci sentivamo  solo al telefono). lo vidi nel letto in ospedale, fu felicissimo di incontrarmi, e sono riuscito a dirgli: “Joe ti voglio bene...”, al che lui mi rispose che non aveva alcun dubbio ed anche lui me ne voleva.
Una cosa mi fece ancora più felice fu quando la moglie che lo seguiva con amore mi disse: “Pino il tuo arrivo qui al suo capezzale lo sta facendo rivivere... si stava lasciando andare”Ebbi una grandissima soddisfazione quando mi disse che suonare con me era sempre una grande onore e piacere, e questa è la cosa che mi rimarrà per sempre nel cuore.
Purtroppo il 29 novembre, alle 23.30, ebbi l'amara notizia della sua morte.
In chiesa durante la messa (la chiesa era gremita), salii sul pulpito e dissi ai numerosi presenti: “Proviamo ad immaginare di trovarci alla stazione per accompagnare Joe all'ultimo suo viaggio... Lui è salito su di un treno, ha preso posto, i vetri sono oscurati, noi non lo vediamo ma lui siiiiii.... ci vede, ed è qui con noi”. Feci ascoltare un brano cantato da lui, Little Janie, composto nel 1969 e dedicato alla grande Janis Joplin.... a quel punto scoppiò un grande e lungo applauso... ciao Joe!

sabato 14 febbraio 2015

The Samurai Of Prog-The Imperial Hotel


La prendo alla lontana, è questo uno di quei casi in cui temo di non trovare le esatte parole per descrivere cosa può suscitare un album. I miei commenti musicali hanno un motivo ben preciso, la condivisione, e quando trovo qualcosa di livello superiore vorrei centrare l’obiettivo, e far sapere a tutti ciò che si può trovare in giro per il mondo.
Conoscevo Marco Bernard per i progetti targati Colossus all’insegna del prog, con largo coinvolgimento di artisti sparsi in giro per il mondo.
Attraverso il recente contatto con Marco sono arrivato ad un album da cui non riesco più a staccarmi, The Imperial Hotel, di The Samurai Of Prog.
La base di lavoro è la Finlandia, ma il progetto lo si può definire una multinazionale, tant’è che il pregio della varietà di competenze si trasforma poi in un limite, che è l’impossibilità, almeno al momento, di proporre la performance live.
La band è formata da tre musicisti, l’italiano Marco Bernard, domiciliato in Finlandia, Kimmo Pörsti, l’unico “del posto” e l’americano Steve Unruh, colui che nello scambio di battute a seguire ci aiuterà ad entrare nei meandri del progetto.
Assieme a loro un gruppo di musicisti di rango, vero e proprio ausilio compositivo, con l’aggiunta di un’ulteriore squadra dinamica, necessaria per realizzare lavori di tale spessore. Va da sé che i costi di reunion ad hoc sono difficilmente sostenibili, e dopo l’ascolto dell’album sarà ancora più chiaro che la proposizione live non è roba da mestieranti qualunque.
Parto dalla copertina e dall’artwork realizzato da Ed Unitsky, perché la sola vista indurrebbe all’acquisto immediato qualsiasi amante del genere, e non posso immaginare cosa poteva essere la trasposizione in vinile.
A memoria non ricordo niente di simile nel formato CD, un profumo di storia, un odore di storie, un vero racconto fatto di immagini e liriche, da gustare contemporaneamente all’ascolto. Il fulcro è un fantastico booklet e le immagini riportano indietro nel tempo, alla lunga suite - la title track - riammodernata dopo recupero diretto da metà anni ’70, quando fu creata dagli England di Robert Webb (uno degli “aiuti” a cui accennavo), ma non trovò mai una corretta collocazione.
Il disco inizia il primo giro e parte il viaggio a ritroso nel tempo, mentre idealmente appoggio la puntina sul piatto e mi appresto all’opera di sharing accanto ai miei giovani amici. Un tempo accadeva così!
Questa è la vera musica prog, capace di ricordare i miti di un tempo, ormai inossidabili, con il tocco della perfezione tecnica possibile ai giorni nostri, con assoluta cura dei dettagli e completa assenza di sbavature.
Probabilmente le trame inducono alla retorica, ai paragoni, alla sottolineatura delle contaminazioni, ma non riesco a trovare nessuna miscela migliore di quella che assembla Genesis, Yes e Gentle Giant, con una voce di scuola “Jon Anderson” che si adagia su tappeti musicali sinfonici, con un esercito di tastiere che volgono in orchestra, con tempi composti difficili da decodificare, con l’utilizzo di flauto e del violino, che fanno parte del DNA di questo progetto.
Cinque brani per oltre cinquantacinque minuti di magia pura, incentrata sul recupero del gioiello nascosto - The Imperial Hotel - che racconta le vicende di un vecchio stabile dell’era vittoriana, rinnovato e riproposto come hotel di lusso, ma con un segreto inquietante, palpabile tra ascolto e visione dell’inserto.
Per il resto direi… classe pura, con una varietà di situazioni tali che credo potrebbe essere il sunto del concetto di musica progressiva, definizione con cui spesso ci si cimenta, dimenticando sempre qualche risvolto importante. Ma se questo è “materiale” di nicchia è solo perché non si possiede la chiave per aprire il cuore delle nuove generazioni.
Il video a seguire penso potrà essere il giusto assaggio che… mette l’appetito.
Una grande, grandissima band, poco conosciuta dalle nostre parti, se non dagli specialisti di settore, e il motivo è forse da ricercarsi nella sola attività studio, ma non ho dubbi che il potenziale sia spaventoso e giudico The Imperial Hotel uno dei più bei dischi che abbia mai avuto la fortuna di ascoltare.
Sarà mia cura fare massima opera di divulgazione, in attesa di afferrare la musica futura che, come emerge dall’intervista, sarà basata sulla ricerca e la riqualificazione di antichi masterpiece che non hanno mai avuto la chance di risplendere adeguatamente;
come qualcuno dice, “ … la musica ha le ali e può volare nel tempo!”.

Intervista a Steve Unruh

Come e dove è nata la band? Vi chiedo a voi un po’ di storia per il pubblico italiano.

Il soprannome di Marco (Barnard) è "il Samurai del Prog". Alcuni anni fa gli venne voglia di fare un album solista, giusto per divertimento. E’ nato così un album di cover di alcune delle sue canzoni preferite in ambito prog. Per realizzarlo Marco ha chiesto a molti musicisti di unirsi al progetto, compresi Kimmo e me. (Marco e Kimmo vivono in Finlandia, e io vivo negli Stati Uniti. I musicisti ospiti sono sparsi per il mondo). Attraverso il processo di creazione di questo album - intitolato, Undercover - abbiamo scoperto che noi tre lavoravamo davvero bene insieme – condividiamo gli stessi gusti musicali, abbiamo la stessa etica di lavoro e personalità compatibili. Abbiamo quindi deciso di formare il nucleo del progetto musicale in corso, e definirci collettivamente "The Samurai di Prog" ("Samurai" in inglese è sia plurale che singolare). Il nostro trio vorrebbe creare album con un cast a rotazione di musicisti ospiti di alto profilo. Il nostro secondo album - intitolato Secrets of Disguise - era anch'esso un album di cover, ma siamo diventati sempre più creativi con le nostre interpretazioni, inserendo anche un paio di brani originali. Completando quel disco ci siamo resi conto di aver trovato un ottimo metodo di lavoro, e abbiamo deciso che era arrivato il momento di iniziare a creare album costituiti completamente da brani originali. Questo ci ha condotto al nostro ultimo lavoro, The Imperial Hotel. E mentre io rispondo a queste domande la band è al lavoro sul nostro quarto - e quinto! - album (N.d.r. - riferimento a  Firth of Fifth  dei Genesis).

Da dove arriva il vostro amore per la musica progressiva?

Penso che il prog rappresenti la crescita della musica rock. Amiamo l'energia e l'anima della musica rock, ma vogliamo qualcosa di più impegnativo. A mio parere, la musica progressiva è quella a cui i musicisti rock si rivolgono quando si annoiano e sono inquieti!

Avete pubblicato il vostro terzo album: c'è un legame tra l'ultimo lavoro e gli altri?

Il collegamento è la nostra affinità musicale e il metodo di lavoro. Ci sono voluti due album di (soprattutto) cover per raggiungere un alto livello di competenza nell’arrangiamento e nella registrazione di musica nelle nostre diverse location sparse per il mondo, prima di osare l’approccio verso un disco fatto di originali (tutti noi abbiamo sentito le registrazioni di altri progetti musicali che non sono andati bene, e siamo determinati nel non cadere in quella categoria). Penso sia stato il nostro brano originale Sweet Iphigenia (tratto dal secondo album) a mostrarci il nostro vero potenziale. Tutti noi abbiamo suonato in band regolari, in cui i musicisti hanno contatto immediato tra loro. Essere tutti nella stessa stanza, allo stesso tempo, ha grandi vantaggi, e ci è voluto molto tempo per trovare i pregi “nascosti” di una registrazione a distanza, nel tentativo che la nostra band potesse diventare qualcosa di veramente speciale, pur con musicisti che vivono in luoghi diversi. Inoltre, durante la realizzazione dei nostri primi due dischi abbiamo trovato alcuni compositori sorprendenti, e abbiamo pensato che i loro stili si sarebbero integrati alla perfezione, e quindi abbiamo chiesto loro di contribuire fornendo materiale originale per il nostro terzo album. Ma neanche noi avevamo previsto l'alto livello e la qualità del loro lavoro. E' stato un vero piacere collaborare su The Imperial Hotel.

Qual è l'anima di "The Hotel Imperial"? È un concept album?

L'album non è scritto su un tema preciso, come la maggior parte album dei "concept", ma la grande suite è un pezzo di storia concettuale, con personaggi e sviluppo della trama. Robert Webb ci portò quel pezzo. Lui  - e i membri della sua band “England” - ha scritto la storia e la maggior parte della musica nel 1970. Tuttavia England non arrivò mai realmente ad “afferrare” la melodia, come Robert dice, e quindi la band spostò la sua attenzione su altre musiche, che divennero successivamente il fantastico album Garden Shed. Gli England avevano realizzato una demo di  “Hotel” che abbiamo studiato, poi discusso (in dettaglio) per capire come creare una registrazione nuova e ufficiale. Abbiamo ampliato notevolmente il pezzo cambiando radicalmente diverse parti e scrivendo completamente nuove sezioni. Naturalmente l'originale non aveva violino o flauto, che hanno poi aggiunto una nuova dimensione alla trama. Kamran Alan Shikoh, dei Glass Hammer (che è felicemente diventato uno dei nostri "clienti abituali" nella band) ha ulteriormente elevato la qualità del pezzo. In qualche modo, credo che abbiamo raggiunto qualcosa di molto raro, abbiamo catturato l'anima e lo spirito del 1970, portandoli nel 21° secolo, con registrazioni meticolose miscelate alle nostre performance. Mi auguro di non esagerare, ma mi piace molto quel pezzo!

Mi ha sorpreso, la lunga e bellissima suite che fornisce il nome all'album: che cosa potrebbe significare eseguirla dal vivo?

Poiché come dicevo viviamo in luoghi molto lontani non abbiamo ancora avuto la possibilità di provarla dal vivo. Ne abbiamo discusso, e ci vogliamo arrivare. Tuttavia, la logistica sfavorevole e il conseguente lato economico determinano la necessità di essere sponsorizzati da chi organizza qualche festival o eventi, e solo così tutti noi potremmo permetterci di viaggiare e trascorrere qualche giorno nello stesso posto, tutti assieme nello stesso momento. La soluzione più fattibile per eseguire la nostra musica  dal vivo è quella di assemblare una band di pochi elementi che ci sia di supporto per un tour. Non tutta la nostra musica non può essere performata  con soli 5-6 elementi, ma gran parte di essa sì, e la lunga suite The Imperial Hotel è uno dei pezzi che riteniamo funzioni molto bene in fase live. Se mai ci esibiremo dal vivo dovremo sicuramente suonare “Hotel”.

A proposito ... che cosa potrebbe succedere ai vostri concerti?

Quando finalmente faremo un concerto lo scopriremo! Ho il sospetto che ci saranno spara-coriandoli, orsi danzanti, funghi gonfiabili giganti e tante belle ragazze. E se Ed ha qualcosa a che fare con tutto questo… ci sarà probabilmente una scimmia con le ali inspiegabilmente sul palco (N.d.r.- immagine inserita nel booklet).

E’ incredibile l'art work che avete realizzato, l'attenzione al dettaglio inusuale in Italia: chi ha curato questo aspetto? Ci sarà una distribuzione su vinile?

Grazie! Siamo d'accordo! La scelta grafica è frutto della visione (e del duro lavoro) di Ed Unitsky. Mentre noi iniziavamo a mixare l'album gli abbiamo inviato i testi di tutte le canzoni. Ed li ha studiati e ha creato l'artwork basandosi sulle liriche. La copertina, ovviamente, è dedicata interamente alla title track, e mostra il paesaggio e i personaggi che sono contenuti e raccontati in  The Imperial HotelPer quanto riguarda il vinile ne abbiamo discusso seriamente, ma purtroppo non abbiamo potuto giustificare la spesa. The Imperial Hotel è stato orgogliosamente “costruito” in Italia! Marco conosceva un produttore di CD italiano, capace di fornire altissima qualità, e il risultato si vede. Ci auguriamo di poter lavorare con la stessa company per i nostri futuri progetti, così come spero possa accadere con il prossimo album della mia band, i Resistors.

Cosa ne pensi dello stato della musica nel vostro paese?

Penso che artisticamente siamo in cima alla montagna. I musicisti sono potenziati e coadiuvati da studi di registrazione di qualità professionale che trovano spazio nei loro computer portatili. Vedo bambini (come il figlio del mio amico Barry, che suona con me nei Resistors) capaci di fare cose incredibili, che spazzano via qualsiasi cosa io abbia fatto quando avevo 20 anni. Tuttavia, la situazione finanziaria dei musicisti è terribile, e posso affermare che nessuno riesce a fare soldi con la sua arte. Forse un paio di band di livello di "grande nome" arrivano ad avere successo commerciale (necessario per sopravvivere), ma le band locali - come siamo noi -  suonano per passione, convivendo col fatto che non esiste un profitto significativo. E allora mi piace evidenziare il lato positivo, quello prettamente artistico! Marco, Kimmo ed io svolgiamo altre professioni, e facciamo musica per pura passione. Questa situazione è limitante, temporanea, ma permette di mantenere i piedi per terra. Non dobbiamo mai perdere il contatto con la vita "normale".

Sarà possibile vedervi suonare in Italia?

Sarebbe fantastico! Spero che succederà! A quanto pare ho un fan club italiano con cinque membri! Forse, se riusciremo a far crescere un po’ quel numero, potrai vederci in Italia!

Cosa avete in programma per il futuro?

Abbiamo un sacco di grandi cose in programma - in realtà stiamo già in fase di nuova registrazione. Siamo immersi nella creazione del nostro prossimo album, intitolato Lost and Found. Per realizzarlo Marco ha cercato e trovato molte band degli anni ‘70 che hanno creato capolavori epici, ma che non hanno mai avuto occasione di realizzare buone registrazioni. Li stiamo rispolverando e dando loro un trattamento regale - dopo decenni di buio potranno finalmente vedere la gloriosa luce del giorno! E, prima di essere arrivati a metà strada con Lost and Found, abbiamo già iniziato a lavorare sull'album che verrà dopo, che conterrà ancora tutti pezzi nuovi. Quindi, se ti piace quello che abbiamo fatto con The Imperial Hotel, preparati ad ascoltare un sacco di nostra musica per i  prossimi due anni!


1. After the Echoes (8:43)
2. Limoncello (7:58)
3. Victoria's Summer Home (2:54)
4. The Imperial Hotel (28:10)
5. Into the Lake (8:43)

Line up
Marco Bernard -  basso rickenbacker-coordinatore del progetto
Kimmo Pörsti - batteria, percussioni
Steve Unruh - voce, chitarra acustica, violino, flauto
Con…

Robert Webb (England) - tastiere, voce - compositore
Octavio Stampalia ( Jinetes Negros) - tastiere, voce e compositore
Linus Kåse (Änglagård) - tastiere, sax, voce compositore
David Myers dei (The Musical Box) - piano e compositore

Special Guests
Kamran Alan Shikoh (Glass Hammer) - chitarra elettrica, chitarra acustica in “ImperialYoshihisa Shimizu (Kens) - chitarre, synth in “Limoncello
 Johan Öijen - chitarra elettrica in “After the Echoes”
 Kristofer Eng - chitarra elettrica in “Into the Lake
Andrew Marshall - Moog Taurus in “Into the lake
Maria Kvist (armonie vocali in “Into the Lake


Artwork realizzato da Ed Unitsky.
The Imperial Hotel prende il titolo dall’omonima suite registrata nel 1975 dagli England di Robert Webb

Prodotto da The Samurai Of Prog
Regist e mix 2013-14
Produz. Propria