E’ difficile da spiegare… mi ritrovo davanti ad un tunnel, un condotto che porta ad una
zona di lavoro, una delle tante che all’interno delle nostre città testimoniano
la continua evoluzione, e… lo oltrepasso, torno indietro, e mando qualche
messaggio; lo fotografo, lo registro e torno sui miei passi, in uno stato d’animo
dalla vasta gamma, compreso tra il triste ed il sereno.
Un appuntamento di pseudo lavoro mi ha portato in via Canevari, e appena il mio
interlocutore fornisce le indicazioni per raggiungerlo mi illumino.
Un quarto d’ora di colloquio e mi ritrovo in strada, la attraverso e sono al
cospetto di un film, quello che racconta di una vita passata in un attimo.
Era destino che in questi giorni bazzicassi questi luoghi.
Dovevo rilasciare una intervista utile a creare un video/documento da utilizzare
per un’occasione importante, la celebrazione di una data e di un avvenimento
che per quelli come me ha enorme significato.
Il prossimo 6 ottobre,
Genova ricorderà il passaggio dei Genesis in Italia, arrivati per la
prima volta quarant’anni fa, nel 1972.
Il giorno preciso dei ricordi sotto alla lanterna è il 22
agosto, data in cui Peter Gabriel e compagni arrivarono al Teatro Alcione, ed era proprio sulle
rovine del teatro che avevamo programmato la mia testimonianza, ma poi un
imprevisto…
Ma come dicevo era destino, e il mio burattinaio mi riporta
verso il tunnel, simbolo della mia adolescenza.
Il Teatro Alcione sarà forse ricordato per molte altre cose,
non sono di Genova e non ho seguito nel tempo le vicende cittadine, ma per me
ha un significato molto preciso: la mia prima musica dal vivo, i Van Der Graaf, i Gentle Giant, i SoftMachine… non i Genesis, perché chissà dove mi portarono quel mese di agosto i miei
genitori! Ma non li persi a Torino, due anni dopo, nell’unico concerto italiano
del loro tour.
E ora mi trovo nel tunnel, e di colpo la mia testa si riempie
di capelli, mi ritrovo addosso una candida tunica indiana, la mia borsa di
pelle fatta a mano, rigorosamente a tracolla, i pantaloni a zampa di elefante e una valanga
di patchouli … farsi riconoscere da lontano è fondamentale. Siamo in tanti in
coda, è pomeriggio - di sera non potrei certo uscire - e ci raccontiamo da veri
esperti le ultime vicende catturate da CIAO
2001.
Vado avanti e indietro nel tunnel e sorrido, mi rivedo
bambino, incosciente, incapace di intravedere tracce di futuro.
Ma la musica di quei giorni mi ha accompagnato sino ad oggi,
un filo sottile ma impossibile da lacerare, una fune a cui mi sono sempre
aggrappato per trovare momenti di sano e intenso piacere.
La fotografia del tunnel resterà per sempre con me, e non
potendo vedere cosa c’è oltre, con un po’ di impegno potrò sempre pensare che alla
fine di quel cunicolo si trova comodamente seduto un manipolo di ragazzetti che
riescono ad infiammarsi per una musica nuova, sino a quel momento mai sentita.
E tra quei giovani ci sono anche io.
Tra qualche giorno incontrerò Steve Hackett e probabilmente avrò la chance di parlare con lui,
anche se difficilmente ricorderà qualcosa dell’Alcione, ma sono certo che sarà
l’occasione per ritrovare tanti di quei visi incontrati sotto a un tunnel di
cemento, persi rapidamente e ritrovati dopo svariati lustri.
E mentre mi guardo attorno, immaginando i percorsi di un
tempo, dalla stazione di Brignole al Teatro, dopo aver pregato in tutte le
lingue conosciute per ottenere il permesso di un viaggio in treno
Savona-Genova, trovo difficile giustificare l’insensibilità dei passanti che
tirano dritto senza accorgersi di niente, senza dare assistenza morale ad un
uomo maturo in preda ad un turbinio di emozioni… ora ne avrei davvero bisogno!
Più o meno 25 anni fa ci lasciava un musicista che ha rappresentato la
svolta innovativa relativamente all’utilizzo del basso elettrico, Jaco Pastorius.
di lui propongo un piccolo ricordo. John Francis Pastorius III (Norristown, Pennsylvania, 1 dicembre 1951 - 21 settembre 1987)
conosciuto come JacoPastorius, è stato un notissimo bassista di musica fusion.
Suonava generalmente un basso elettrico
fretless (senza tasti). Con il suo stile particolare è riuscito a
caratterizzare lo strumento come solista, e ridefinire il ruolo del basso
elettrico nella musica, suonando simultaneamente melodie, accordi, armonici ed
effetti percussivi.
Per numerosi bassisti è un importante
punto di riferimento.
Nato a Norristown (Pennsylvania),
Pastorius crebbe a Fort Lauderdale (Florida) dove si avvicinò alla musica
suonando la batteria verso la quale era molto portato. A causa della frattura
di un polso, cominciò a suonare il basso elettrico, prediligendo i generi
rhythm and blues e pop e guadagnandosi la fama locale.
Dal 1976 la sua fama iniziò ad
espandersi a livello internazionale con l’album Jaco Pastorius;
nello stesso anno iniziò a suonare con gli Weather Report in due brani
dell’album Black Market, e stabilmente dall’album Heavy Weather (1977),
pubblicando poi diversi album. Nello stesso anno collaborò con Pat Metheny e
Bob Moses nell’album Bright size life.
Nel tour che segue l’uscita di Heavy
Weather, in concomitanza con le prime manifestazioni dei suoi disturbi
psichici, Jaco cominciò a far uso di alcolici, che fino allora aveva sempre
ripudiato a causa dell’alcolismo di suo padre, e di cocaina.
L’anno successivo sempre con i W.R.
suonò in Mr Gone (1978), poi nel live 8:30 (1979)
e in Night Passage (1980).
A causa della crescente tensione con Joe
Zawinul, Jaco lasciò i Weather e iniziò una carriera da solista, pubblicando World
of mouth . Suonò in vari album di Joni Mitchell: Mingus, Hejira e
Shadows and lights con Metheny, Michael Brecker e Don Alias.
Le dipendenze da alcolici e droghe
accentuarono il suo squilibrio mentale (disturbo bipolare); le sue relazioni
con i manager dell’industria discografica e i gestori dei locali peggiorarono
al punto da non trovare nessuno disposto ad ingaggiarlo per un concerto.
Jaco trovò la morte il 21 settembre
1987, in seguito ad un brutale pestaggio da parte di un buttafuori di un locale
di Fort Lauderdale. Giorni prima, era il 12 settembre, Jaco, ubriaco fino
all’eccesso, venne cacciato da un concerto di Santana al Sunrise Music Theatre
per continui fastidi ed interruzioni. Egli vagò per tutta la notte fino a
trovare il “Midnight Bottle Club”, locale malfamato alla periferia di Fort
Lauderdale.
Sebbene gli fosse stato impedito di
entrare, dato che l’accesso era riservato ai soci, il bassista insistette
nonostante le negazioni del buttafuori, Luc Havan. Finchè
quest’ultimo, esperto in arti marziali, picchiò violentemente Pastorius con
diversi colpi di karate. Quando la polizia arrivò sul posto trovò il musicista
steso a terra, morente con il cranio fratturato e con gravi ferite. Havan fu
arrestato per omicidio di secondo grado e condannato a ventidue mesi di carcere
e cinque anni di libertà vigilata. Dopo quattro mesi fu rilasciato per buona
condotta. Dopo nove giorni di coma Pastorius morì ed il mondo della musica
perse uno dei più talentuosi bassisti della sua storia.
Curiosità
Il primo incontro con Joe Zawinul
avvenne nel 1975 quando Jaco era ancora sconosciuto, Zawinul ricorda che la
conversazione si svolse più o meno così:
Pastorius:
“Seguo la tua musica dai tempi di Cannonball Adderley e mi piace molto”.
Zawinul:
“Cosa vuoi?”
Pastorius:
“Mi chiamo Jaco Pastorius e sono il più grande bassista del mondo”.
Zawinul:
“Togliti dai piedi, imbecille”
Ma alla fine Pastorius riuscì a
consegnargli un nastro. Zawinul lo apprezzò, ma gli disse che i Weather Report
avevano già un bassista. Quando Alphonso Johnson lasciò i Weather Report,
Zawinul si ricordò di Pastorius che pochi giorni prima gli aveva inviato una
versione preliminare del brano “Continuum” (dal suo primo album) nel quale
aveva apprezzato il suono morbido e rotondo del suo basso, confondendolo con un
contrabbasso. Senza sapere che Jaco usasse un fretless, Zawinul gli telefonò e
gli disse: “È molto bello il brano che mi hai mandato. Hey, ragazzino, suoni
anche il basso elettrico?”.
“Microsolco” è il nuovo album dei Mangala Vallis,
sette brani di vera musica progressiva, se proprio si volesse dare una
etichetta ben definita, ma sarebbe preferibile dire di ottima musica. Punto.
Sono passati molti anni dall’uscita dell’ultimo disco, e nell’intervista
a seguire Gigi Cavalli Cocchi svela motivazioni e note realizzative, spaziando tra
argomenti di indubbio interesse comune.
Rispetto all’ultimo lavoro, sette anni fa, sono cambiati tre
componenti, ma è l’avvicendamento tra vocalist l’ultimo in ordine cronologico,
ed è di rilevante importanza. Il cantante mette la voce, la faccia e conduce il
pubblico per mano in tutta la fase live, e sia Bernardo Lanzetti, l’uscente, che Roberto Tiranti, l’entrante, sono musicisti di indiscutibile valore
che è difficile non apprezzare.
Tiranti, che ha nel suo DNA la vena hard rock, dimostra doti
di grande duttilità, in questo “Microsolco” di indubbia difficoltà
interpretativa. E anche il ruolo di bassista è suo.
Come racconta GigiCavalli Cocchi, l’album è diventato
ciò che non era nelle intenzioni, e cioè un concept, ma credo che l’argomento
proposto sia uno di quelli che prendono la mano, in un effetto domino in cui il
mosaico che prende forma non si può più “smontare”,
e va mostrato in toto.
Ma qual è la materia?
L’azione di un “pazzo”, o forse eccessivamente sano, che
riesce a distruggere tutto ciò che ormai rende il mondo schiavo di una tastiera e di un
monitor, obbligando l’uomo ad un faticoso ritorno a modelli antichi, anche se utilizzati
sino a pochi anni fa. Un tema estremamente attuale in questi momenti di
perdurante crisi materiale e di valori.
Partendo dalla conoscenza dei contenuti, l’evoluzione musicale
appare particolarmente adatta al tema
del concept, con modulazioni di atmosfere e sequenze armoniche che fanno da
tappeto ai tempi dispari del drummer Cavalli Cocchi. Il gusto tastieristico e
la capacità di trovare i giusti suoni vintage di Cristiano Roversi, si fondono con le chitarre di Mirco Consolini e Niki Milazzo, e ne esce fuori un concentrato di rock di impegno che,
partendo dall’ideologia musicale di inizio anni ’70, si evolve secondo canoni
moderni che ne fanno un esempio di New Prog.
Prog, Rock, New Prog… tutte etichette che facilitano la
comprensione a chi utilizza linguaggi in codice, eppure… basterebbe ascoltarlo
con attenzione per afferrarne la freschezza, inserita in un solido contenitore
che miscela la tecnica, il classicismo, il virtuosismo e il gusto propositivo.
E godiamoci questo “Microsolco”, nella speranza di vederlo
performato dal vivo, il più presto possibile.
L’INTERVISTA
Sono passati molti
anni, sette, dall’uscita dell’album precedente, Lycanthrope. Il rallentamento
in sala di incisione è legato allo sviluppo di altri progetti paralleli?
In parte
si, ognuno di noi in questo tempo è stato preso anche da altre cose di musica e
di vita, personalmente, album e tournèe con Massimo Zamboni (ex CCCP/CSI), il
tour con i Moongarden, il side project CCLR e un progetto chiamato
Lassociazione di musica rock folk che ha avuto un grande riscontro dalle nostre
parti e ora sta tentando il “salto nazionale”; ma grande importanza hanno avuto
anche gli sconvolgimenti di formazione all’interno del gruppo… da Lycanthrope a
oggi sono cambiate molte cose, e ben tre membri di quel combo non fanno più
parte dei Mangala Vallis, questo ci ha messo nella condizione di rivedere molte
cose rispetto al disco e anche al “modus operandi” della scrittura del
medesimo. Se poi a tutto questo aggiungi il nostro proverbiale perfezionismo,
il gioco è fatto.
L’ultima variazione
alla line up ha visto l’entrata di Roberto Tiranti in sostituzione di Bernardo
Lanzetti. Stiamo parlando di due artisti di valore assoluto, ma con differenti
caratteristiche vocali. Cosa cambia nella vostra musica con il nuovo innesto?
I
cambiamenti nel gruppo erano iniziati già molti anni fa con l’uscita di Enzo
Cattini, tastierista storico dei MV, che aveva fondato il gruppo insieme a me e
a Mirco Consolini(chitarra). La prima grande mutazione è avvenuta qui, perché
con l’entrata di Cristiano Roversi (Moongarden, Submarine Silence, Catafalchi
del Cyber), l’asse della scrittura si è spostato completamente e lui e Niki
Milazzo, l’altro chitarrista, hanno composto la maggior parte del materiale.
Poi Mirco come sempre ha tirato le fila di tutto. L’arrivo di Roberto ha
segnato sicuramente una svolta interpretativa forte, “sostituire” Bernardo era
molto difficile, è solo un artista con le capacità e pedigrèe di Tiranti poteva
occupare un ruolo così importante. La sua entrata rappresenta un ponte tra il
nostro universo prog e il suo più rock, ma la sua grande duttilità artistica ha
fatto si che facesse suo il materiale del nuovo disco come se lui stesso avesse
contribuito a scriverlo. E’ indubbio che il suo ingresso abbia contribuito
ancora di più a rendere diverso dai due precedenti questo disco.
Cosa avete previsto per
la pubblicizzazione dell’album? Avete in programma anche un tour fuori dai
nostri confini?
Con
Massimo Orlandini di Ma.Ra.Cash., il nostro discografico, abbiamo previsto un
piano promozionale che si muove a 360° e che coinvolge il web inevitabilmente
ma anche alcune testate giornalistiche. Ovviamente stiamo lavorando anche sul
live, saremo il 10 novembre a Verviers, allo spirit 66, storico locale del prog
europeo per il “Prog 66 Meeting” insieme a Agents of Mercy, Rpwl, French tv e
Tempio delle clessidre, ma come si suol dire il calendario è aperto, anche se
in un momento di difficoltà sempre crescente per la musica trasversale come il
prog rock, fare programmi non è facile.
Esiste un collegamento
tra il nuovo album e quello precedente?
“Microsolco”
inizialmente doveva essere una raccolta di brani senza un filo conduttore che
li univa, il primo “non concept” dei Mangala Vallis; in realtà strada facendo,
il mio sempre più crescente disagio rispetto il vivere di questo millennio, mi
ha spinto a sentire ancora una volta il bisogno di raccontare una storia.
Questa volta la molla è stato il pensiero di quanto l’era digitale e il culto
dell’immagine abbiano condizionato la nostra esistenza, così prendendo come
data il 21,12,12 ho raccontato una storia a metà tra la fantascienza e la new
age, di questo novello eroe “Microsolco”, un musicista hacker che immette nella
rete un virus che cancella tutte le memorie digitali del pianeta obbligando la
gente a riscoprire modi nuovi (e antichi) di confrontarsi con i propri simili e
la madre Terra. In fondo è lo stesso bisogno di ritorno all’essenza dell’uomo
che si trovava nel protagonista di “Lycanthrope”. Così ho scritto questa storia
che ancora una volta è diventata un concept, poi per i testi abbiamo coinvolto
Enrico Papi (non l’omonimo personaggio tv) un paroliere che ha scritto “Henna”
di Lucio Dalla tra le altre cose.
”Microsolco” è un concept
album che ipotizza un futuro, vicino, in cui si rende necessario abbandonare
parte della tecnologia con cui siamo soliti convivere, ritornando così ad un
mondo più semplice, ma intriso di valori di peso reale. Da dove nasce questo
vostro “racconto”? E’ forse l’idea di essere arrivati ad un punto di non
ritorno?
Ti dicevo
di questo bisogno che sento da tempo ormai, di ritornare ad una diversa qualità
di vita, cercando di limitare i danni dei condizionamenti quotidiani, impresa
non facile, ma allo stesso tempo credo che il mio ideale di esistenza non sia
così impossibile da raggiungere. Per questo penso che il “punto di non ritorno”
non riguardi tutti. Ovvio che occorre la sensibilità e di conseguenza avvertire
il bisogno di dare una direzione diversa alla propria esistenza. In sostanza
credo sia una cosa che riguarderà solo una parte della gente, il resto del
mondo andrà dritto verso la propria implosione e la propria infelicità dorata.
Sbaglio o lo spazio per
la musica progressiva sta aumentando?
Dipende in
che direzione si guarda, all’estero sicuramente c’è un’attenzione forte, pur
restando una nicchia. Nel nostro paese meno, pur essendo stati una delle
roccaforti degli anni 70 del cosiddetto progressive rock, ai concerti
partecipano solo poche decine di persone, nella maggior parte dei casi e l’età
media è abbastanza alta, diciamo che non c’è stato un ricambio generazionale.
In generale credo sia la risultante di una serie di problemi, che vanno
dall’ostracismo dei media rispetto un genere considerato defunto dalla maggior
parte degli addetti ai lavori o tutt’al più un trip per nostalgici (come se chi
ascolta jazz, musica classica o punk fosse molto diverso) al disinteresse
assoluto delle case discografiche che potevano fare la differenza, quando
ancora avevano potere (le major) e che ora stanno scomparendo una dopo l’altra.
In realtà il problema però è molto più articolato e ha a che fare anche con una
sempre più crescente mancanza di curiosità di un pubblico che ha un approccio
alla musica “mordi e fuggi” e che difficilmente si lancia in qualcosa di
diverso dalla musica di massa. Anche qui comunque vale il pensiero che ti
dicevo prima, alcune cose non sono per tutti, e questo non perché siamo più
bravi o più intelligenti, semplicemente perché così vanno le cose.
I Mangala Vallis
nascono quattordici anni fa. Provate a fare un bilancio di questo lungo
periodo.
I Mangala
Vallis sono nati come regalo a noi stessi. Personalmente dopo tanti anni di
professionismo, nei MV volevo convogliare quell’energia primordiale che mi ha
fatto avvicinare alla musica (il primo concerto della mia vita sono stati i
Genesis di Foxtrot e quel giorno decisi di diventare batterista) e allo stesso
tempo realizzare il sogno di fare quella musica che da adolescente non si era
concretizzata per motivi tecnici ed economici. Poi è accaduto che da semplice
cosa per noi abbiamo voluto farla diventare qualcosa di più ed ecco che i
nostri dischi hanno varcato i confini nazionali, ma lo spirito resta lo stesso,
sappiamo che di prog non si mangia, ma esiste un cibo che non ha bisogno di
coltello e forchetta e del quale siamo voraci, finche la nostra musica appagherà
questa fame i Mangala Vallis esisteranno. Il bilancio in termine di
soddisfazioni è molto grande e fino al giorno in cui suonare insieme rappresenterà un generatore di
emozioni continueremo questo cammino, con tutta la passione possibile.
Stralci dal sito…
A sette anni da “Licanthrope” esce
“Microsolco”, il nuovo attesissimo album della new prog band Mangala Vallis.
Un tempo lungo, dove molte cose sono
accadute, ad iniziare dal cambio di formazione, con l’uscita di Bernardo
Lanzetti (che continua peraltro il sodalizio artistico con Gigi Cavalli Cocchi
e Cristiano Roversi nel progetto CCLR) e Riccardo Sgavetti (basso), e l’arrivo
di Roberto Tiranti, cantante bassista dalle doti straordinarie e dal ricco
pedigree ( New Trolls, Labyrinth, Ian Paice e Glenn
Hughes).
Che i Mangala Vallis nel loro
perfezionismo dedicassero molto tempo alla realizzazione dei propri album non è
una novità, e anche questa trasformazione di line up, già iniziata all’indomani
della pubblicazione nel 2009 del DVD “Intergalactic Live Video Archives”, con
l’arrivo di Cristiano Roversi (Moongarden) alle tastiere, ha fatto sì che tutto
si dilatasse.
“Microsolco” è un concept album che lancia
un ponte virtuale con il precedente disco. Anche qui, i temi del ritmo
forsennato dei nostri tempi e il ritorno ad una dimensione più naturale sono
l’elemento portante della storia. Vi si racconta di ciò che accade
il 21/12/2012, prendendo spunto dalla tanto discussa teoria della fine del
mondo. In effetti in “Microsolco” avviene la “fine di un certo tipo di mondo”
quando un hacker nel suddetto giorno, immette nella rete un virus capace di
distruggere le memorie digitali di tutto il pianeta. Questo gesto ci obbligherà
ad una profonda riflessione e ad un recupero di modi di vivere sopiti da tempo.
Essenzialmente un riavvicinamento all’essenza dell’uomo e alla madre Terra.
Lo si potrebbe definire un
album di “fantasy-prog-new age”.
Dal punto di vista musicale invece, le
atmosfere tipiche dei MangalaVallis ci sono tutte, ma lasciano spazio anche ad
episodi più “rock”. La voce poliedrica di Tiranti interpreta in maniera
mirabile, un album che prosegue il solco stilistico tracciato con i primi due
album del gruppo, e che farà felici gli amanti del buon prog rock.
Vacanze
Romanes, è il disco
di esordio di 'o Rom, una formazione atipica, sintesi di due
culture, quella partenopea e quella rom.
Sei musicisti,
divisi in parti eque tra napoletani e rumeni di etnia rom, realizzano un
progetto che parte dalla strada, dall’esibizione spontanea, per arrivare sino ad
una proposta organica e organizzata che ridona luce a suoni che pare ci
appartengano da sempre, indistintamente, senza suddivisioni regionali o
ideologiche. E’ la riscoperta delle feste di paese che non hanno collocazioni esclusive, dei sentimenti di un tempo,
a volte sepolti in reconditi angoli della memoria, ma che saltano fuori alla
prima sollecitazione. E’ anche un profondo segno di civiltà e un esempio che
spinge ad abbattere i tanti luoghi comuni con cui spesso si regalano le
etichette e le categorie.
Strumenti antichi
e scevri dalla tecnologia aiutano a planare in una dimensione popolare che lascia
strascichi di tristezza, rinforzati dalle liriche, se si ha la possibilità di
leggerne le traduzioni. E non è un caso se azzardo, nel corso dell’intervista, un
accostamento col “dolore” tipico del blues, quello status senza il quale
parrebbe impossibile ottenere il pass verso percorsi di cui pochi posseggono, ufficialmente, l’accesso.
Un mondo nuovo
e antico allo stesso tempo, una realtà da seguire e, possibilmente, alimentare
con la condivisione.
L’INTERVISTA
Se è vero che la musica
ha una forte capacità aggregativa e riesce ad abbattere ogni barriera, la
realizzazione di un album resta un passo di un percorso e di un progetto
proiettato nel tempo. Che cosa vi ha spinto a credere che una fusione musicale
tra il Sud dell’Italia e la musica dei Balcani potesse funzionare?
E’ una scelta figlia del suo tempo, dell'epoca di internet
dove la contaminazione culturale avviene in modo naturale, scelta resa
possibile anche dal fatto che tra i due “mondi” ci sono molti elementi comuni
sia dal punto di vista musicale sia da quello dei testi delle canzoni. Nella
musica Balcanica e “Zingara” è possibile ascoltare influenze orientali, così come
nella musica mediterranea. Affinità soprattutto nel linguaggio melodico e
nell'uso dei melismi. I temi dei testi delle canzoni sono quelli che possiamo
trovare nelle tammuriate, nelle tarantelle nella musica napoletana… il
corteggiamento, la guerra, l’emigrazione, la voglia di ballare e di bere in
compagnia nonostante le difficoltà della vita.
Una delle cose che
ritengo più difficile in assoluto, in qualsiasi rappresentazione del sociale, è
il lavoro di squadra, che per essere vincente deve avere molte caratteristiche,
e tra queste un’identità di vedute (anche dopo accese discussioni). Come si
persegue lo stesso obiettivo quando ci sono di mezzo culture molto differenti
tra loro?
Come
abbiamo detto anche in altre occasioni, il lavoro più complesso è stato proprio
quello di legare due mentalità differenti di fare musica, sia per la
costruzione degli spettacoli live sia per la realizzazione del disco. Da una parte la cultura di
musicisti di strada per la parte rumena e dall’altra quella di estrazione
didattica per la parte italiana, per cui abbiamo dovuto creare una comunicazione
costituita da ascolto, istinto, sensazioni e non solo di linguaggio musicale.
La musica che ho
ascoltato riporta a visioni antiche, a tradizioni che spesso si fa fatica a mantenere, alla semplicità di vita, alla
spontanea unione in occasione di un evento. Credo sia qualcosa di cui si sente
molto la mancanza di questi tempi. Che cosa percepite nella gente quando vi
esibite dal vivo?
La diversità culturale che caratterizza la nostra unione
genera sempre curiosità e spesso anche scetticismo tra il pubblico, soprattutto
quando ci ascoltano per la prima volta.
Alla fine dei nostri concerti la diversità che ci caratterizza diviene
ricchezza condivisa col pubblico. Il risultato trascinante e genuino della
nostra musica è quasi sempre inaspettato.
Perché tra i brani
cantati nessuno è in lingua italiana?
Come dice anche lo stesso titolo del disco "Vacanze
Romanes", dove Romanes indica la lingua parlata dai rom, abbiamo proposto
un viaggio nella cultura "zingara" e balcanica, anche per avvicinare
le persone a questi popoli e alla loro ricca cultura. In cantiere ci sono già
brani cantati in italiano, che saranno contenuti nel prossimo disco... le
vacanze continuano!
Ho letto i vostri testi
e d’istinto mi sono ritrovato nel mondo blues… liriche semplici ma sofferte, tanto
da poter creare l’analogia “no pain no blues…”. E’ un errore dire che esiste
una similitudine tra il vostro modo di scrivere e pensare e quello utilizzato
sulle rive del Mississippi?
'o Rom è
una formazione molto blues! lo è perché come il blues si fonda soprattutto
sulla condivisione umana e l'impasto sonoro che ne deriva è un suono molto
verace e da le stesse suggestioni del blues acustico. Inoltre la cultura
musicale "zingara" sta influenzando il modo di suonare in Europa così
come hanno fatto i neri d'America con il jazz e il blues. Come avviene nel
blues i rom e i rumeni esprimono nella loro musica, nei loro canti e nel loro
modo di suonare la battaglia quotidiana per la vita e il lavoro.
Quali sono le vostre
esperienze musicali primarie? Con quale musica vi siete formati?
Per la
parte rumena del gruppo c'è una grande esperienza come musicisti di strada ed
una grande tradizione di musicisti in famiglia, un esempio su tutti è Ilie
Zbanghiu… nella sua famiglia ci sono due grandi musicisti, Grigore Ciuciu che è
stato il più grande contrabbassista di Romania, e Iane Ciuciu che è stato il
maestro di Toni Iordache, il più grande cembalista di sempre. Per la parte
napoletana le esperienze sono diverse ma sempre nell'ambito della world music…
Amedeo Della Rocca con le sue esperienze nella musica sudamericana, Carmine
D'Aniello nella musica popolare dell'Italia meridionale come voce del gruppo
Pietrarsa, Carmine Guarracino con la sua formazione classica e jazz che fonda negli anni ’90, con
Adnan Hozic e Lello Di Fenza, i Balkanija.
Utilizzate strumenti
acustici e presi dalla tradizione popolare. Avete qualche predisposizione alla
sperimentazione, intesa come inserimento di nuovi accorgimenti, sia in fase
live che in studio?
Siamo
aperti alla sperimentazione ma senza rischiare di perdere la nostra identità!
Se vi dico la parola
“businnes” musicale, che cosa vi viene in mente?
Ci viene
in mente qualcosa di molto lontano dal nostro modo di fare musica!
Perché di questi tempi
è praticamente impossibile vivere di sola musica?
Questo è
causato da problemi di diversa natura: da un lato c’è il cattivo costume di non
considerare il musicista come un lavoratore… ci arrivano continue proposte di
concerti gratuiti che sviliscono profondamente la nostra categoria e tutto il lavoro
che c'è dietro i nostri progetti; dall’altro le istituzioni che sempre meno
investono fondi per la cultura, pagano concerti diversi anni dopo oppure
applicano politiche clientelari favorendo sempre gli stessi personaggi. E poi le
case discografiche e i produttori che danno credito solo a prodotti televisivi
di dubbia qualità. Molte volte l’unico modo per proporre la propria musica in
modo continuativo è quello di suonare nei club, che però nella maggior parte
dei casi non sono in grado di offrire un cachet adeguato ai musicisti.
Provate a disegnare il
vostro futuro, da oggi al 2015… nessuno può impedirci di sognare!
Sicuramente
un nuovo disco e la realizzazione del nostro sogno di allargare la band con
l'inserimento di altri strumenti... ma soprattutto di suonare tanto e portare
il più possibile la nostra musica in giro per il mondo!
Stralcio del
comunicato stampa ufficiale…
'o Rom è il primo e più longevo esperimento di fusione tra musiche
tradizionali dell'Italia Meridionale e musiche balcaniche di
area rom e sinti. Un progetto nato nel 2008 a Napoli tra
vicoli e piazze, tra concerti improvvisati in strada e battaglie
civili, con l'obiettivo di divulgare una sintesi tra culture diverse,
apparentemente inconciliabili. Apprezzatissimi dal vivo per le trascinanti
performance, gli 'o Rom mostrano il loro
"sincretismo" a partire dal nome: “o rom” in lingua romanes
significa l’uomo “zingaro”, in napoletano la “o” con l’aggiunta di un
apostrofo diventa un articolo (‘o rom si traduce "lo zingaro").
Il disco - dedicato a Adnan Hozic - èun live
in studio che restituisce la freschezza e la visceralità delle
inconfondibili performance: tra Campania, Est europeo e Mediterraneo 11
pezzi vorticosi e raffinati, con reminiscenze swing, gipsy e manouche.
Vacanze Romanes è pubblicato dall'etichetta Terre in Moto,
I fan dei Jethro (perlomeno
quelli più “stagionati” come me) sanno bene che Ian non ha mai amato molto
suonare brani altrui o partecipare a jam session con altri artisti. Se si
eccettua qualche contributo al flauto in album di pochi colleghi o amici
(Steeleye Span, Fairport Convention, Richie Blackmore) ed un paio di
partecipazioni live (Uriah Heep e, più recentemente, PFM), Anderson ed il suo
enorme ego (giustificato visti i risultati!) hanno da sempre privilegiato solo
ed esclusivamente la propria musica. Eppure, volente o nolente, il 15 novembre
del 1983, a Monaco di Baviera, durante il live televisivo Rock Classic Night (aveva già
fatta la sua performance, smontato e riposto il flauto nella sua
custodia, ed era al bar tranquillo e rilassato) viene letteralmente trascinato
di nuovo sul palco, insieme a Jack Bruce, per una jam session con la band del
musicista africano Fela Kuti. Ancora
oggi la ricorda come un’esperienza orribile, lui a ricamare arrangiamenti e stacchi
solistici al flauto (riassemblato velocemente, come si vede nel video) su un
lungo brano che Ian definisce “just
musical bullshit which he passed off as avant garde playing” e Bruce
addirittura al… piano! Poor guy!
LP (Luoghi e Personaggi)
Nel 1970, Ian Anderson sposala diciannovenne Jennie Franks (allora segretaria presso la Island Records di Chris
Blackwell). I fan dei Jethro sanno che fu lei ad ispirare i primi due versi di Aqualung, originariamente semplici didascalie
a foto che Jennie aveva scattato a homeless londinesi (il brano è infatti
co-firmato Jennie Anderson-Ian Anderson). Sempre Jennie fu la destinataria di
brani ormai mitici, tra i quali Reasons
for Waiting (da Stand Up, 1969), With
You There to Help Me, To Cry You a Song (da
Benefit, 1970), Wonderin’ Aloud (da Aqualung,
1971), Black Satin Dancer, Requiem
(da Minstrel in the Gallery,
1975). “Che fine ha fatto ?” vi sarete spesso chiesti. Dopo
il divorzio da Ian nel 1974 ed un periodo come attrice nei teatri d’avanguardia
del West End, la Franks si è trasferita prima a Los Angeles e poi, nel 1993,
con il secondo marito (lo sceneggiatore Jeffrey Price) a Telluride, una
deliziosa cittadina del Colorado, nata a fine ‘800 come città mineraria e oggi
stazione sciistica e sede di un celebre Festival del Cinema. Qui Jennie, che con il marito ha fondato la
Sparky Production, una società che si occupa di cinema e teatro, vive e lavora
ancora oggi. Da qualche anno è anche direttore artistico del Telluride
Playwrights Festival. Attivissima, quindi, e per nulla “sitting on a park
bench”!
A sinistra: Ian e Jennie Anderson nel 1970. A
destra: Jennie oggi
Il magnifico scenario delle montagne che circondano Telluride. Nel
riquadro: Colorado Street, la via principale, con la classica struttura
urbana delle mining town viste in tanti film western.
IPSE
SCRIPSIT-DIXIT
“Martin
is a born loser. He trips over things, gets tea over his shirts and gets
electric shocks from door handles” (“Martin
è uno sfigato nato. Inciampa sulle cose, si versa il tè sulle camicie, e prende scosse
elettriche dalle maniglie delle porte”).
Fin dall’inizio della loro collaborazione, Ian ha spesso preso in giro
– in modo ferocemente ironico ma in fondo con intento bonario – il povero
Martin Barre, remissivo e succube della personalità dominante di Anderson. Lo
stesso sottile umorismo di Fat Man
(da Stand Up, 1969) sembra avere come
bersaglio proprio Martin che in quel periodo, e per molti anni a venire,
esibirà un abbondante giro vita. Ma forse (e per fortuna!) è stata proprio
questa complementarietà caratteriale – insieme all’indubbia bravura del
chitarrista – a creare l’alchimia che ha fatto di Martin Lancelot Barre l’unico
musicista sopravvissuto dal 1969 ad oggi ai frequenti cambi di line-up del
gruppo voluti dal Pifferaio Pazzo.
A sinistra: Martin nel 1977. A destra: molti anni (e chili in meno…) dopo
E’ da pochi giorni in distribuzione Rosso Rock “live in
Japan”, il nuovo album degli Osanna.
L’intervista a seguire, e le note del
comunicato stampa, tracciano in maniera molto chiara il pensiero di Lino Vairetti,
tra storia, presente e futuro.
Ed è significativo che un album live,
registrato fuori dai nostri confini, contenente elementi antichi rivisitati e
materiale inedito, nasca a quarant’anni di distanza da quel tour italiano dei
Genesis - il primo -, una serie di performance che il gruppo di Gabriel
condivise proprio con gli Osanna, in una sorta di rapporto alla pari. Date casuali?
Segno del destino? E’ piacevole fantasticarci sopra…
Vedere gli Osanna on stage è qualcosa che
lascia il segno, perché è la dimensione dove si supera l’elemento musicale, e
la teatralità, l’etnia, la tradizione e la cultura napoletana si fondono coinvolgendo
e trasportando il pubblico, che rimanda verso il palco tutta la gamma di
emozioni che scaturiscono, forti, alimentate da una sorta di atmosfera magica.
E tutto ciò è palese nell’album, e non sempre capita nelle registrazioni dal
vivo.
Il materiale base è la riproposizione di “Preludio, Tema, Variazioni e Canzona”,
colonna sonora del film “Milano Calibro 9”
(1972), realizzato a Kawasaki nel novembre scorso, con la collaborazione di
un’orchestra giapponese. In aggiunta tre bonus tracks registrate in studio, due
delle quali inedite (con un omaggio a Peter Hammill).
Ma le sorprese
legate a questo progetto trascendono la musica … scopriamo quali…
L’INTERVISTA
A distanza
di tre anni esce un nuovo album targato Osanna. Cosa rappresenta per te questo
nuovo capitolo?
Beh,
indubbiamente rappresenta la continuità… il giusto e naturale percorso della
nuova line up degli Osanna in questo cammino tra passato e futuro, iniziato già con Prog Family nel 2008
e forse già con Taka Boom nel 2001. “Rosso Rock”, in attesa del prossimo lavoro
“Palepolitana”, lo sento molto vicino a tutta la produzione storica, suonato
con l’energia giusta e con una formazione che degnamente e con il dovuto rispetto,
si confronta con quella degli anni ’70.
La relazione
con il mondo dei Van Der Graaf prosegue, con un tributo ad Hammill e la mano di
Jackson nell’artwork. Sbaglio nel dire
che esiste un link molto più profondo,
tra le due band, che non si spiega con il solo utilizzo comune dei fiati?
Il
mio amore e la mia stima per i VDGG (ma anche per i Genesis), non è un mistero.
È dal ’72 che sono diventato un loro fan
seguendoli con interesse e ammirazione, avendo
avuto anche il piacere e il privilegio di condividere lo stesso palco, quello
di Villa Pamphili a Roma con i VDGG e altri in giro per l’Italia con i Genesis. È vero,
tuttavia, che i VDGG mi sono stati più
vicini in questi anni di reunion degli
Osanna. Peter Hammill è stato ospite nel concerto del trentennale alla
presentazione di “Taka Boom” il 2 dicembre del 2001, scrivendo anche la
prefazione del libro di Carmine Aymone “Osanna – Naples in the world”, edito da
Afrakà. Nel 2008 poi David Jackson è entrato in formazione con gli Osanna come
elemento fondamentale dell’Album “Prog Famuly” e ora, nonostante alcuni
dissapori tra loro, in questo nuovo lavoro “Rosso Rock” c’è questa magica
citazione al brano di Peter Hammill "The Light Continent”, mentre David Jackson, invece che col sax, è presente
come autore dell’immagine di copertina con una sua foto scattata nei camerini
dell’Auditorium Club Città di Kawasaki. Sono stati, e sono tutt’ora, entrambi dei
miei miti che magicamente ho ritrovato come miei compagni di viaggio. Un grande
onore per me e per il gruppo.
Parte
dell’album è la registrazione di un concerto giapponese. Che tipo di esperienza
hai vissuto?
L’idea di realizzare un
“live in Japan” era già nata nel 2010, quando noi Osanna suonammo al Club Città
di Kawasaki, il 2 aprile, il concerto
“Prog Family” con David Jackson e Gianni Leone. Realizzammo anche una
buona registrazione sonora, ma poi, dopo l’uscita del CD e DVD del cofanetto del Festival “Prog Exhibition”, con il nostro
concerto di Roma il 6 ottobre 2010, sempre con David e Gianni, ci sembrava una
ripetizione dello stesso repertorio eseguito in Giappone. Così, avendo avuto
l’invito di ritornare in Giappone nel 2011 per “Italian Progressive Rock
Festival”, per eseguire il concerto con orchestra dell’ album storico “Preludio
Tema, Variazioni e Canzona” dal film Milano Calibro 9, abbiamo preferito
aspettare per fare un prodotto più attuale ed originale. Abbiamo registrato con
l’idea e la volontà di realizzare un CD live del nuovo concerto a Club Città.
Naturalmente tutto doveva essere perfetto, senza errori di esecuzione, anche
perché suonavamo per la prima volta con una orchestra giapponese. Abbiamo messo
tutto l’impegno possibile per realizzare un live buono sia artisticamente che tecnicamente.
Il nostro sound engineer Alfonso La Verghetta ha portato la sua attrezzatura
per registrare professionalmente il concerto live. Per nostra scelta abbiamo
preferito usare un registratore digitale stereofonico e non multi tracce,
perché volevamo una esecuzione fedele all’originale senza sovra incisioni o
doppiaggi. È stata una esperienza fantastica vissuta insieme all’Orchestra
“Tokyo Vielle Ensemble”, una esecuzione eccellente come si evince dal live
pubblicato in Rosso Rock. Siamo davvero soddisfatti.
Che cosa ti
è sembrata l’audience giapponese… quale il loro modo di vivere la musica?
Il pubblico giapponese è
davvero unico e fantastico. Noi
Osanna siamo stati ospiti in Giappone a Club Città di Kawasaki due anni
consecutivi: il 2 aprile del 2010 e il 6 e 7 novembre 2011. L’impressione non è
cambiata, è stata meravigliosa tutte e due le volte. Sono stati tre concerti
diversi tra loro, ma credo molto affascinanti e ben eseguiti. Le performance
sono state molto apprezzate dal popolo giapponese, tra i più attenti e
preparati nel mondo. Ho trovato una accoglienza e una ospitalità meravigliosa e
conservo un ricordo fantastico del popolo giapponese che ha una grande
tradizione culturale, con un profondo
rispetto per l’essere umano
davvero invidiabile. Mi ha molto colpito il senso di innovazione, di efficienza, di educazione
e di precisione unico al mondo. Anche l’organizzazione
giapponese è sempre stata precisa e impeccabile.
Come è andata la presentazione di “Rosso Rock”
, alla Casa del Jazz di Roma?
A
Roma è andata benissimo, oltre ogni nostra aspettativa. L’Auditorium era tutto
esaurito e molta gente non è riuscita ad entrare… mi è dispiaciuto molto. Noi
eravamo in piena forma e abbiamo fatto davvero un grande concerto con una
energia e un dinamismo che ha catturato il pubblico presente che è stato molto
partecipativo, manifestando a scena aperta un grande entusiasmo. Si è creata
una bella sinergia tra gruppo e pubblico che è continuata anche dopo il concerto
tra saluti, baci, abbracci, chiacchiere, commenti, foto di rito, autografi e un
brindisi tra i rimasti con il vino Osanna Rosso Rock.
Quanto ti ha
cambiato l’arrivo del tuo nipotino Samuel?
Non
credo mi abbia cambiato…. ha solo portato una ventata di gioia. Ho rivisto
Irvin piccolo… un segno di continuità della stirpe Vairetti. Speriamo diventi
un cantante anche lui e possa rappresentare il futuro della musica rock. Con
queste stesse parole è stato dedicato anche a lui il nuovo CD “Rosso Rock”, con
la complicità di tutto il gruppo. Ho detto “anche a lui”, perché il CD è
dedicato al grande Sergio Bardotti che è stato nel ’72 il produttore dell’Album
“Preludio, Tema, Variazioni e Canzona”.
Tra gli inediti
che presenti c’è un brano dedicato alla tua città, “O Culore ‘e Napule”. Mi dici la cosa
che più ami e quella che ti piace di meno della tua Napoli?
Io amo profondamente Napoli che è una bellissima
città dal punto di vista naturale e paesaggistico, ma anche ricca di storia, arte,
musica e cultura millenaria. Purtroppo è anche una città difficile, piena di
contraddizioni e di malessere dove, parallelamente a tante eccellenze, tante
innovazioni e tanti talenti, esiste e dilaga il malaffare, la camorra e spesso
anche l’ignoranza e l’incapacità nei luoghi di potere, che determinano stati di abbandono e di inciviltà
che mettono a dura prova la sopravvivenza degli stessi napoletani, costretti ad
arrangiarsi e cercare ogni espediente per tirare avanti. Con “’O Culore ‘e
Napule” tocchiamo ironicamente e criticamente questi argomenti, già messi in
luce con “Fuje ‘a chistu Paese” in Palepoli, 40 anni fa.
Tra le curiosità legate al disco, la creazione di un marchio di
vino, “Osanna Rosso Rock”, prodotto in
numero limitato. Come è nata l’idea?
Noi Osanna siamo tutti amanti del vino rosso. Io già
da qualche anno avevo questo pallino di produrre un vino a nome del gruppo, e quale occasione migliore
era questa avendo scelto come titolo dell’album Rosso Rock? Detto fatto. L’idea
è stata subito condivisa da un nuovo consorzio casertano “Terra Campanie”, che ha
voluto fare questo esperimento legando il vino alla musica. Abbiamo scelto i
vini di tre aziende del consorzio: l’Aglianico
(prodotto dalla Azienda Tenuta San Biagio con vigneti DOC della zona
Galluccio), il Primitivo (prodotto dall’Azienda Regina Viarum con vigneti della
zona di Falerno del Massico) e il Pallagrello Nero (prodotto dalle Cantine RAO
con vigneti della zona di Caiazzo). Una miscela esclusiva di 13,5 gradi,
prodotta in sole 1333 bottiglie tutte numerate e firmate da me una ad una.
A distanza di quarant’anni la musica di “Milano Calibro 9” non
sembra presenti il segno del tempo che passa. Cosa rappresenta per te nella
scala dei valori del lavoro globale degli Osanna?
Per natura io sono una persona che vive intensamente
il presente. Leggo e rileggo il passato
solo come esperienza formativa, ma senza alcuna nostalgia o rimpianto. Quando
rivedo la storia degli Osanna, quando riascolto i brani dei vari album storici,
spesso non mi rispecchio neanche. Come se quello che ascolto l’avesse fatto
qualcun altro. Indubbiamente riconosco il valore che ci è stato attribuito da
critici, giornalisti e operatori del settore e principalmente dal nostro
pubblico, di cui sono onorato, ma so anche che si poteva fare di più e che c’è
ancora tanto da fare. Il passato è passato. Voglio ancora confrontarmi con il
presente e desidero che quello che è stato fatto in precedenza sia il volano
per la nuova formazione che ha tanto da dire e da fare. Elio D’Anna, Danilo
Rustici, Massimo Guarino e Lello Brandi (insieme a me), hanno lasciato una
traccia indelebile testimoniata con album splendidi…. ora spazio a Gennaro
Barba, Pako Capobianco, Sasà Priore, Nello D’Anna e Irvin Vairetti, che con
grande amore e tanti sacrifici si sono
dedicati a questa nuova avventura Osanna.
Hai
già pianificato altri progetti per l’immediato futuro?
Abbiamo in cantiere il prossimo album concept con brani inediti
dal titolo: “Palepolitana”. Sarà un album dedicato alla città di Napoli e a
“Palepoli” a distanza di 40 anni della sua prima uscita nel 1973. È concepito
come un Rock Opera con una grande scenografia, costumi, attori e ballerini.
Sarà un lavoro multimdiale e sarà usato molto il dialetto napoletano. Ho già
scritto tutto il testo della Rock Opera e a gennaio 2013 lavoreremo alla parte
musicale, alla pre produzione e agli arrangiamenti dello spettacolo. Pensiamo
di registrare tutti I brani tra maggio e settembre 2013 e pubblicare il lavoro
discografico a dicembre del 2013.
Rosso Rock
“live in Japan”
Il nuovo lavoro degli Osanna in CD e LP
in distribuzione internazionale dal 4
settembre 2012
Etichetta:
Afrakà Records in collaborazione con
Maracash
Distribuzione
nazionale: SELF
Distribuzione
internazionale: Maracash e D.U. (Japan)
Nel
1972 usciva nelle sale cinematografiche italiane un film di genere
noir-poliziottesco scritto e diretto da Fernando Di
Leo, con Gastone
Moschin, Barbara Bouchet, Mario Adorf,
Philippe
Leroy e tanti altri attori: “Milano
Calibro 9” oggi rivalutato da Quentin Tarantino. La colonna sonora del film fu affidata
agli Osanna con le composizioni e la fantastica direzione d’orchestra del
maestro argentino Luis Enriquez Bacalov
(Premio Oscar per Il Postino). A
quarant’ anni di distanza dall’uscita di quell’album dal titolo “Preludio, Tema, Variazioni e Canzona”,
gli Osanna celebrano con un concerto tributo esclusivo il film “Milano Calibro
9”, con l’uscita di un nuovo lavoro discografico dal titolo “Rosso Rock”, con un “live” registrato
in Giappone all’Auditorium “Club Città”
di Kawasaki il 6 e 7 novembre 2011 ed eseguito per la prima volta dal vivo con
la nuova formazione composta da Lino
Vairetti chitarra e voce solista, Gennaro
Barba alla batteria, Nello D’Anna
al basso, Pako Capobianco alla
chitarra elettrica, Sasà Priore al
piano, organo e keyboards e Irvin
Vairetti al mellotron, synth e voce. Il concerto, che insieme agli Osanna
ha visto sul palco l’orchestra di archi giapponese: “Tokyo Vielle Ensemble”, è stata registrato dal sound engineer Alfonso La Verghetta (valente fonico
degli Osanna), ripreso e realizzato rigorosamente in diretta in stereofonia e
pubblicato senza alcuna modifica o editing. Oltre alle tracce del concerto
“live in Japan” di “Milano Calibro 9” ovvero: “Preludio”, “Tema”, le “Variazioni” e “There Will Be Time”, gli Osanna hanno voluto regalare ai propri fans
e a tutti gli appassionati di rock, tre bonus tracks registrate in studio (con
l’inserimento di un ensemble d’archi napoletano diretti da Gianluca Falasca), tra
aprile e maggio 2012: il brano “Fiume”
dall’ LP “Landscape iof Life” del
‘73, e due brani nuovi inediti “’O
Culore ‘e Napule” (dedicato alla città di Napoli esaltandone pregi e
difetti), e “Rosso Rock”, in cui c’è
un omaggio a Peter Hammill, leader
dei Van Der Graaf Generator, con una citazione tratta dal suo brano "The Light Continent”. Il lavoro è
dedicato alla memoria di Sergio Bardotti
(che nel 1972 è stata il produttore e la vera anima del progetto discografico
legato a ”Milano Calibro 9”) e al piccolo Samuel
Vairetti, nato nel 2012, quale testimone nel segno della continuità, del
futuro della musica rock. Ospiti del CD, che sarà stampato anche in vinile su
etichetta Afrakà Record (con la
collaborazione e la distribuzione di Maracash
/ Camelot Club, della Self e
della DU giapponese), sono il
chitarrista Roberto Petrella, il
cantante Gianni Biondi e il
musicista e compositore Stefano Maria Longobardi
autore della musica di Rosso Rock. I testi dei brani inediti sono di Lino Vairetti che è anche produttore
artistico del progetto.
PRESENTAZIONE
“Rosso Rock” con Osanna in concerto, è stato presentato in prima nazionale il 15 settembre 2012 alla Casa del Jazz di Roma.
A Napoli è prevista la presentazione il giorno 14 ottobre 2012
nell’ambito della manifestazione Disco
Days, con successivo concerto con orchestra (con data e luogo da definire)
previsto tra fine ottobre e inizio novembre 2012.
BRANI
DEL CD / LP
Live
in Japan:
1.Preludio (by Luis E.
Bacalov)
2.Tema (by Luis E. Bacalov)
3.Dianalogo (by Osanna)
4. Spunti
dallo spartito n. 14728 del Prof. Imolo Meninge (by Osanna)
5. To Plinius
(by Osanna)
6. My Mind Flies (by L. Vairetti – Osanna)
7. Tempo
- 13° Cortile
(by L.Vairetti – Osanna)
8. Posizione
Raggiunta (by Osanna)
9. There Will Be Time
(by L. E. Bacalov - S. Bardotti - F. Baldazzi)
10. Preludio reprise (by Luis E. Bacalov)
Special tracks in studio:
11. Fiume (by L. Vairetti – D. Rustici)
12. ‘O
Culore ‘e Napule (by Lino Vairetti)
13. Rosso Rock (by L.
Vairetti – P. Hammill - S.
Longobardi)
OSANNA LINE UP
Lino Vairetti - lead vocals and electro-acoustic “Greg Bennet”
guitar
Gennaro Barba - drums “Ufip cymbals”
Pasquale Capobianco - electric lead guitar
Nello D’Anna - electric bass
Sasà Priore - piano, organ and keyboards
Irvin Vairetti - vocals, mellotron and synth
Special guests:
Tokyo Vielle Ensemble Orchestra in “Milano Calibro 9” live in Japan
Gianluca Falasca Strings
Ensemble in “Fiume - ‘O Culore ‘e Napule
- Rosso Rock”
Stefano Longobardi keyboards and
vocals in “Rosso Rock”
Roberto Petrella acoustic guitar in “Fiume”
Gianni Biondi vocals in “Rosso Rock”
CREDITS
Produzione
artistica: Lino Vairetti – Produzione
esecutiva: Afrakà Records
Arrangiamenti:
Osanna eccetto “Rosso Rock” arrangiato
con Stefano Longobardi
e
“Fiume” arrangiato con Gianluca Falasca Strings Ensemble
Gli
arrangiamenti originali per orchestra di “Milano Calibro 9” sono di
Luis Enriquez Bacalov con nuove
trascrizioni di Gianluca Falasca
I
brani del “live in Japan” sono registrati presso l’Auditorium Club Città di Kawasaki
I
brani nuovi sono stati registrati all’ Italy Sound Lab Studio di San Paolo
Belsito Napoli
Sound
Engineer: Alfonso La Verghetta –
Mixato
da: Alfonso La Verghetta e Lino Vairetti
Mastering
di: Bob Fix - Napoli
LA COPERTINA
Progetto grafico e artistico della
copertina del CD e LP “Rosso Rock”: è di Lino
Vairetti
con la collaborazione di:
David Jackson (sua la foto in copertina),
Angelo Formisano (per la splendida immagine interno
copertina),
Antonio Aragona (foto back stage del videoclip “Rosso
Rock” nella Piscina Mirabilis)
Tina De Luca per le foto di scena.
IL VIDEO
Il Videoclip del brano “Rosso Rock” è
stato girato presso il sito archeologico “Piscina
Mirabilis”
di Bacoli (Napoli) – Patrocinio della Sovrintendenza Beni Culturali
Soggetto e sceneggiatura di Stefano Maria Longobardi
Regia e montaggio di Lucio Maria Lo Gatto.
Fotografia di Antonio Aragona e riprese di Stefano
Matino.
IL VINO
“Osanna Rosso
Rock” - sarà anche il
marchio di un vino omonimo IGP di origine campana prodotto da“Terra Campanie” (un nuovo Consorzio del
casertano formato da piccole aziende vinicole che producono solo prodotti di
qualità). “Rosso Rock” (prodotto in solo
1333 bottiglie tutte numerate e firmate
a mano da Lino Vairetti), è una miscela esclusiva di tre tipologie di vino:
Aglianico (prodotto dalla Azienda Tenuta San Biagio